il ritorno della lotta di classe - intervista con domenico losurdo
Domenico Losurdo è uno degli studiosi di filosofia italiani più tradotti al mondo. Tutti i suoi libri hanno visto, infatti, edizioni in inglese, americano, tedesco, francese, spagnolo, ma anche portoghese, cinese, giapponese, greco. Qualche lingua la dimentichiamo sicuramente. Il Financial Times e la Frankfurter Allgmeine Zeitung, fra gli altri, gli hanno dedicato pagine intere. Un trattamento che stride oltremodo con quello che gli viene riservato in patria, dove spesso e volentieri i suoi lavori sono fatti oggetto di un silenzio studiato. Che pur tuttavia non incide sulle vendite, viste le reiterate edizioni dei suoi libri.
Mentre la crisi economica infuria, si infittiscono i saggi che evocano il «ritorno della lotta di classe». Era dileguata? In realtà, gli intellettuali e i politici che proclamavano il tramonto della teoria marxiana della lotta di classe commettevano un duplice errore. Per un verso abbellivano la realtà del capitalismo. Negli anni ’50 Ralf Dahrendorf affermava che si stava verificando un «livellamento delle differenze sociali» e che quelle stesse modeste «differenze» erano solo il risultato del merito scolastico; sennonché, bastava leggere la stampa statunitense anche la più allineata, per rendersi conto che anche nel paese-guida dell’Occidente sussistevano sacche paurose di una miseria che si trasmetteva ereditariamente da una generazione all’altra. Ancora più grave era il secondo errore, quello di carattere più propriamente teorico. Erano gli anni in cui si sviluppava la rivoluzione anticoloniale in Vietnam, a Cuba, nel Terzo Mondo; negli USA i neri lottavano per porre fine alla white supremacy, al sistema di segregazione, discriminazione e oppressione razziale che ancora pesava su di loro. I teorici del superamento della lotta di classe erano ciechi dinanzi alle aspre lotte di classe che si svolgevano sotto i loro occhi...
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