venerdì 15 marzo 2013
Sergio Romano su Hugo Chávez
Il presidente venezuelano Hugo Chávez è morto. Era un satrapo o un leader illuminato?
Sergio Romano Corriere Martedì 12 marzo 2013
Caro Fornasier, Chávez era un tribuno della plebe, un imbonitore (il
suo programma televisivo della domenica durava più dei discorsi di
Hitler), un capitan Fracassa, un caudillo populista. Lascia ai suoi
successori un’economia quasi interamente basata sul petrolio che
registra alcuni dati abbastanza soddisfacenti (la crescita fra il 4 e il
5%, la disoccupazione al 5,9%), ma anche un deficit di bilancio pari al
15% del prodotto interno lordo, l’inflazione al 21%, un considerevole
divario (75%) fra il valore ufficiale e il valore reale della moneta
nazionale. Se ci fermassimo a questi dati, tuttavia, non comprenderemmo
le ragioni del suo successo e della sua popolarità. Non comprenderemmo,
ad esempio, perché Luiz Inacio Lula da Silva (ex presidente del Brasile,
molto stimato anche in Europa e negli Stati Uniti) gli abbia dedicato,
sul New York Times, un necrologio sostanzialmente positivo. Chávez era
poco amato a nord del Rio Grande e al di qua dell’Atlantico, ma la
politica internazionale richiede analisi più realistiche e distaccate.
Negli ultimi quindici anni il «presidente comandante », come è chiamato
in Venezuela, ha quasi dimezzato il tasso di povertà del Paese e il
tasso di mortalità infantile. La sua spesa pubblica è stata spesso
dissennata e pericolosa, ma ha liberato una parte della popolazione
dalla prigionia dei barrio. Le sue clamorose filippiche contro gli Stati
Uniti hanno riscaldato il cuore dei suoi connazionali, hanno infiammato
il loro orgoglio, gli hanno procurato amicizie, non soltanto in America
Latina, fra tutti coloro che hanno qualche motivo per ribellarsi
all’egemonia del nord, al Fondo monetario internazionale, al «Washington
consensus» (la formula con cui vengono generalmente definiti i
capisaldi del liberismo internazionale). Quando George W. Bush cercò di
estendere all’intero sub-continente la zona di libero scambio che il suo
predecessore aveva creato con il Canada e il Messico, Chávez divenne la
voce più popolare di un fronte contrario composto da Argentina,
Bolivia, Uruguay e Brasile. Alla prospettiva di un’America Latina
dominata da Washington Chávez oppose quella di una Unione dei Paesi
dell’America del Sud e dei Caraibi ispirata al modello dell’Unione
Europea. Le sue relazioni con il regime cubano dei fratelli Castro, con
la Russia di Putin e con l’Iran di Ahmadinejad erano chiaramente
altrettante provocazioni contro gli Stati Uniti, ma non lo privarono mai
della solidarietà deimaggiori Paesi latino-americani. Anche quelli che
non erano disposti a seguirlo su questa strada capirono che Chávez
incarnava, soprattutto durante la presidenza di George W. Bush, un
diffuso risentimento contro lo stile autoritario della grande potenza
del nord. Chávez è morto, ma quei risentimenti continuano a esistere e
sarebbe pericoloso ignorarli.
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