giovedì 4 aprile 2013
La sessualità nel Medioevo: un libro in Francia
Ovvero: "Futti futti, ca Diu pirdona a tutti" [SGA].
Jacques Rossiaud: Sexualité au Moyen Age, Editions Gisserot
Risvolto
En matière de sexualité, il existe des Moyen Ages et non
un seul. Sur le fond commun d'une infériorisation de la femme plus ou
moins marquée selon les milieux, les perceptions de la chair et de ses
faiblesses, en un premier temps rigoureusement condamnées, évoluent,
avec les comportements et les pratiques sociales. Aux moines, recteurs
des moeurs, succèdent - vers 1200 des théologiens attentifs à la nature
et à ses impératifs. Alors s'épanouit, dans le cadre du mariage (seul
espace d'abord consenti à la " charnalité " humaine) puis bien souvent
en dehors de lui, une sexualité mâle fort libre à condition qu'elle
demeure naturelle. Le présent ouvrage s'efforce d'expliquer cette
évolution des moeurs en ménageant leur place aux amours sodomitiques et
homosexuelles progressivement rejetées dans l'ombre, mais partout
discernables.
Così facevan tutti nel Medioevo. Anche i preti
Un
libro sulla sessualità nell'Età di mezzo fa giustizia di molti miti: a
partire dalla cintura di castità e dallo “ius primae noctis” «Niente di quel che è naturale è vergognoso, poiché è un dono della creazione»di Alberto Mattioli La Stampa 3.4.13
All’epoca
le case di piacere erano diffusissime e tollerate dalla Chiesa. Del
resto, come informa Jacques Rossiaud nel suo saggio Sexualité au Moyen
Age , nel XV secolo, in una città come Digione, il 20 per cento dei
clienti erano ecclesiastici
Altro che Maggio ’68. La prima vera
rivoluzione sessuale dell’Occidente risale al XIII secolo quando, contro
la castità a oltranza predicata dagli eretici, catari in primis, anche i
teologi più ortodossi riscoprono il corpo e i suoi piaceri. Già
Guillaume de Conches, intorno al 1150, spiegava ai fedeli
presumibilmente sollevati che «niente di quel che è naturale potrebbe
essere vergognoso, poiché è un dono della creazione. Solo gli ipocriti
lo ignorano». Risultato: se certi libri penitenziali carolingi
moltiplicano i giorni interdetti al piacere arrivando fino a 250
all’anno, per i canonisti del Duecento ci si deve astenere solo a
Natale, a Pasqua, alla Pentecoste e all’Assunzione. Per il sollievo dei
frenetici, comunque, i bordelli restano aperti: chiudono unicamente il
Venerdì santo.
Questo saggio su Sexualités au Moyen Age di Jacques
Rossiaud ha davvero tutti i pregi, compreso quello della sintesi: 126
pagine per sapere quel che non avete mai osato chiedere su usi e costumi
(e anche consumi, vista la diffusione della prostituzione) del Medioevo
a letto. E per fare piazza pulita dei nostri luoghi comuni, oscillanti
fra immagini di cupi predicatori ossessionanti perché ossessionati e di
allegre partouze nei castelli come nei filmetti sexy molto vagamente
ispirati dal Boccaccio. Fino a miti come la cintura di castità,
inventata dal Rinascimento, o lo ius primae noctis, inventato dagli
storici.
Certo, la religione è onnipresente e i suoi imperativi
(rimasti da allora sostanzialmente gli stessi) condizionano la teoria
sessuale. Quanto alla pratica, è forse un altro discorso. Il Medioevo
resta comunque, come scrive sapidamente Libération, «il millennio del
missionario». La relativa posizione è considerata quella giusta,
consigliata sia dai preti perché più atta a procreare sia dai medici
perché meno pericolosa. Non stupisce che in fabliaux e romanzi
cavallereschi ci si sbizzarrisca con una varietà di amplessi (tipo «à
pisse chien», ci asteniamo dalla traduzione) degna del Kamasutra.
La
continenza è una virtù. Ma anche una precauzione medica: «L’abuso del
coito - spiega Rossiaud citando le fonti - accorcia la vita, secca e
debilita il corpo, affievolisce il cervello, danneggia gli occhi e
conduce alla stupidità». Però si fa. Anzi, lo fan tutti, preti compresi.
E forse pure di più. «Un giorno una donna si lamenta con il vescovo
Hugues di Lincoln che suo marito non compie il dovere coniugale. “Vuoi
che tuo marito ritrovi il suo ardore? Ne farò un prete”, le risponde
Hugues: appena un uomo è prete, brucia». Uno statuto di Belluno del 1428
proclama che «non bisogna presumere vergine alcuna donna di più di
vent’anni, a meno che la sua castità non possa essere provata». E
Giordano da Pisa, intorno al Trecento, è categorico: «Ragazzi e ragazze
di Firenze non arrivano mai vergini al matrimonio».
Matrimonio che si
contrae, a differenza di quel che si pensa, piuttosto tardi. A
Montaillou, verso il 1320, l’età media dei maschi che si sposano è di 25
anni. Fra gli artigiani di Digione, un secolo dopo, idem; fra i patrizi
toscani, di 30. Nel XIV e XV secolo, un marito di vent’anni è una
rarità. E allora, se le attese sono lunghe, sedurre una vergine
pericoloso e i rapporti gay ancora di più (c’è il rogo), proliferano i
bordelli. Le case chiuse sono apertissime, con l’assenso, o almeno la
non condanna, della Chiesa: «Godere pagando è godere senza peccare» è un
detto comune. Del resto, nel XV secolo, a Digione, il 20% dei clienti
sono ecclesiastici. Però solo nei postriboli privati, non in quelli
comunali, in omaggio alla vecchia gloriosa regola: «Nisi caste, tamen
caute», se non casto, sii almeno cauto.
Le folgori di Chiesa e Stato
si abbattono sulla «sodomia», peccato immondo in cui rientrano anche il
sesso orale e la masturbazione. Il giro di vite arriva nel Duecento; per
san Tommaso, il sesso fra uomini è grave come il cannibalismo. Tanto
che gli europei se lo rinfacciano reciprocamente. Per i tedeschi, il
male arriva dalla Francia, per i francesi dall’Italia o della Spagna,
per tutti dall’Islam, anzi è la causa per cui i crociati hanno perso i
luoghi santi. Di più, è contagiosa. Ma, scrive Rossiaud, tutte le
testimonianze dimostrano che già allora c’era una bella differenza «fra
quello che i moralisti impongono di fare e quello che la gente fa». Per
fortuna.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento