sabato 25 maggio 2013
Barenboim spiega Beethoven
Il genio che rovesciò il senso dell’armonia
di Daniel Barenboim Repubblica 25.5.13
L’importanza del compositore nella storia della musica è nella sua natura rivoluzionaria
Era un libero pensatore che invita chi lo esegue a spingersi fin sull’orlo del precipizio
È
sempre interessante, talvolta perfino importante, conoscere a fondo la
vita di un compo-sitore, ma non è essenziale per comprenderne le opere.
Nel caso di Beethoven, non bisogna dimenticarsi che nel 1802, l’anno in
cui contemplava il suicidio – come scrisse in una lettera mai spedita ai
suoi fratelli, che è diventata nota come il «Testamento di
Heiligenstadt» – compose anche la Seconda sinfonia, una delle sue opere
più ottimiste e positive: è la dimostrazione di quanto sia importante
separare la sua musica dalla sua storia personale, senza confonderle in
una cosa sola.
Non cercherò quindi di realizzare un accurato studio
psicologico dell’uomo Beethoven attraverso un’analisi delle sue opere o
viceversa. Questo articolo si concentrerà sulla musica, pur nella
consapevolezza che è impossibile spiegare la natura del messaggio
musicale attraverso le parole. La musica ha significati diversi per
persone diverse, a volte significa addirittura cose diverse per la
stessa persona in diversi momenti della sua vita. La musica può essere
poetica, filosofica, sensuale o matematica, ma in qualsiasi caso, a mio
parere, ha a che fare con l’anima dell’essere umano. È metafisica,
dunque, ma il mezzo di espressione – il suono – è puramente ed
esclusivamente fisico. proprio questa coesistenza permanente fra
messaggio metafisico e mezzi fisici costituisce secondo me la forza
della musica. Ed è anche il motivo per cui, quando cerchiamo di
descrivere questa forma d’arte con le parole, tutto quello che riusciamo
a fare è esprimere le nostre reazioni alla musica, e non afferrare la
musica stessa.
L’importanza di Beethoven nella storia della musica è
data principalmente dalla natura rivoluzionaria delle sue composizioni.
Beethoven liberò la musica dalle convenzioni dell’armonia e della
struttura, fino a quel momento predominanti. A tratti, nelle sue ultime
opere, avverto la volontà di rompere ogni segno di continuità: la musica
è brusca e apparentemente sconnessa, come nell’ultima sonata per
pianoforte (Op. 111).
Nell’espressione musicale, Beethoven non si
sentiva vincolato dal peso delle convenzioni. Secondo tutte le fonti era
un libero pensatore, un uomo di coraggio, e a mio parere il coraggio è
una qualità essenziale per comprendere, e ancora di più per eseguire, le
sue opere.
Diventa anzi un requisito indispensabile per chi esegue
Beethoven. Le sue composizioni impongono all’esecutore di dar prova di
coraggio, per esempio nell’uso della dinamica. L’abitudine di Beethoven
di incrementare il volume con un crescendo intenso, facendo seguire
bruscamente un passaggio più morbido, un «subito piano», era molto rara
nei compositori precedenti. In altre parole, Beethoven chiede ai
musicisti di mostrare coraggio, di non avere paura di spingersi fin
sull’orlo del precipizio, costringe l’esecutore a trovare la «linea di
maggior resistenza», un’espressione coniata dal grande pianista Artur
Schnabel.
Beethoven era un uomo profondamente politico, nel senso più
ampio del termine. Non era interessato alla politica di tutti i giorni,
ma era attento alle questioni legate al comportamento morale e alle
problematiche più generali di giusto e sbagliato che interessavano
l’intera società. Particolare rilevanza rivestiva la sua visione della
libertà, che per lui era associata ai diritti e ai doveri
dell’individuo: era un fautore della libertà di pensiero e di
espressione personale.
Beethoven non avrebbe avuto alcuna simpatia
per la visione, oggi così diffusa, della libertà come libertà
essenzialmente economica, necessaria al funzionamento dell’economia di
mercato. Un esempio relativamente recente della definizione economica di
libertà lo possiamo trovare nella «Strategia di sicurezza nazionale
degli Stati Uniti d’America», il documento pubblicato dal presidente
George W. Bush il 17 settembre 2002 per definire la relazione
dell’America con il resto del mondo, e in cui si dichiarava che lo scopo
degli Stati Uniti, nella loro qualità di nazione più potente del
pianeta, era estendere i benefici della libertà a tutto il mondo… Se tu
produci qualcosa che per gli altri ha valore, devi poterglielo vendere.
Se gli altri producono qualcosa che per te ha valore, devi poterglielo
comprare. Questa è la vera libertà, la libertà per una persona – o per
una nazione – di guadagnarsi da vivere.
La musica di Beethoven troppo
spesso viene vista esclusivamente nel suo aspetto drammatico, come
espressione di una lotta titanica. A questo riguardo la Terza sinfonia
(l’Eroica) e la Quinta sinfonia rappresentano solo un aspetto della sua
opera: bisogna tener conto anche, per esempio, della Sesta sinfonia, la
Pastorale.
La sua musica è introversa ed estroversa al tempo stesso e
sovrappone ripetutamente queste due qualità. L’unico tratto umano che
non è presente nella sua musica è la superficialità. E nemmeno la si può
definire «timida» o «graziosa», al contrario: anche quando è intima,
come nel Quarto concerto per pianoforte e nella Pastorale, ha un
elemento di grandiosità. E quando è grandiosa, rimane al tempo stesso
intensamente personale, come è evidente nel caso della Nona sinfonia.
Beethoven
a mio parere riuscì a raggiungere un equilibrio perfetto fra pressione
verticale – la pressione esercitata dalla padronanza della forma
musicale da parte del compositore – e flusso orizzontale: combina
costantemente fattori verticali come l’armonia, la tonalità, gli accenti
o il tempo (tutti elementi legati a un senso di rigore), con una grande
percezione di libertà e fluidità. Questa questione degli estremi e
dell’equilibrio doveva essere, credo, una preoccupazione costante per
lui. Se ne trova un’espressione nel Fidelio: la composizione contiene un
movimento costante fra due poli opposti, tra la luce e l’oscurità, tra
il negativo e il positivo, tra gli eventi che avvengono sopra, in
superficie, e quelli che hanno luogo sottoterra. Così come era incapace
di scrivere qualcosa di superficiale, o semplicemente di grazioso, non
riusciva o non voleva scrivere nulla che raffigurasse qualcosa di
fondamentalmente ed esclusivamente malvagio. Perfino un personaggio come
Pizarro, il governatore della prigione di Fidelio, può essere visto
come una personificazione della corruzione e dell’oppressione, ma non
del male.
La musica di Beethoven tende a muoversi dal caos all’ordine
(come nell’introduzione della Quarta sinfonia), come se l’ordine fosse
un imperativo dell’esistenza umana. Per lui, l’ordine non significa
dimenticare o ignorare i disordini che affliggono la nostra esistenza:
l’ordine è uno sviluppo necessario, un miglioramento che può portare
all’ideale greco della catarsi. Non a casa la Marcia Funebre non è
l’ultimo movimento della sinfonia Eroica, ma il secondo, affinché la
sofferenza non abbia l’ultima parola. Gran parte dell’opera di Beethoven
si potrebbe parafrasare così: la sofferenza è inevitabile, ma è il
coraggio di combatterla che rende la vita degna di essere vissuta.
© 2013 The New York Review of Books.
Distributed by The New York Times Syndicate. Traduzione di Fabio Galimberti
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