domenica 19 maggio 2013
"Exattamento"
Homo symbolicus
Ecco il momento esatto in cui siamo diventati umani La diversità rispetto agli altri viventi non è frutto dell’evoluzione, ma di un “evento” improvviso
di Ian Tattersall Repubblica 17.5.13
Noi
esseri umani siamo parte a tutti gli effetti del Grande Albero della
Vita che abbraccia l’insieme delle cose oggi viventi sulla Terra. E
siamo saldamente collocati fra i primati, all’interno dell’ordine dei
mammiferi. Ma è innegabile che in noi c’è anche qualcosa di
fondamentalmente diverso da ogni altra creatura vivente. A prima vista,
naturalmente, la cosa che più salta all’occhio sono le nostre
peculiarità fisiche, in gran parte collegate al nostro strano modo di
muoverci e riconducibili alla postura eretta e alla bipedalità,
l’adattamento dei primi ominidi da cui è disceso tutto il resto.
Ma
la cosa che veramente ci distingue e ci fa sentire così diversi da tutti
gli altri esseri viventi è il modo di elaborare le informazioni nel
nostro cervello. Quello che solo noi esseri umani facciamo è
disassemblare mentalmente il mondo che ci circonda in un vocabolario
sterminato di simboli mentali. Questa capacità unica si palesa in ogni
aspetto delle nostre vite. Gli esemplari di altre specie reagiscono, più
o meno direttamente e in modo più o meno sofisticato, agli stimoli
dell’ambiente esterno. Ma la nostra capacità simbolica ci mette nelle
condizioni di immaginare alternative e di porci domande come «Che
succede se…? ». E il risultato è che non ci limitiamo a fare
semplicemente le stesse cose che fanno le altre creature, solo un po’
meglio: noi gestiamo le informazioni in modo completamente diverso.
Una
delle evidenze materiali delle prime opere di menti simboliche è
l’ormai famoso motivo geometrico inciso settantacinquemila anni fa su
una placca di ocra levigata nella grotta di Blombos, sulla costa
meridionale dell’Africa: insieme a molti altri ritrovamenti è l’indizio
che centomila anni fa, nel continente nero, tirava aria di cambiamenti
comportamentali di vasta portata. Quarantamila anni fa circa, questa
rivoluzione comportamentale ancora embrionale trovò la sua piena
realizzazione nelle straordinarie pitture rupestri della regione
franco-cantabrica. Società simili produssero le prime evidenze
dell’avvento della musica, sotto forma di flauti ricavati da ossa di
uccello.
Per comprendere le caratteristiche di questo nuovo fenomeno è
importante ricordarsi che l’Homo sapiens con capacità cognitive moderne
non è semplicemente un’estrapolazione di tendenze precedenti. I
ritrovamenti archeologici mostrano piuttosto chiaramente che noi non
facciamo le stesse cose che facevano i nostri predecessori, solo un po’
meglio: ricreando mentalmente il mondo noi di fatto facciamo, nella
nostra testa, qualcosa di completamente nuovo e diverso. E dal momento
che questa innovazione radicale rappresenta una rottura totale con il
passato, non siamo in grado di spiegarla ricorrendo alla classica
selezione naturale, che non è un processo creativo.
Che cosa
successe, allora? La produzione di cognizione simbolica è iniziata in
una fase molto recente nella storia del cervello umano. Il nuovo modo di
pensare sembra essere nato molto dopo la nascita dell’Homo sapiens come
entità anatomicamente distinta, e dunque dopo l’acquisizione del
cervello anatomicamente moderno. Non c’è niente di sorprendente in
questo, perché le innovazioni comportamentali, e presumibilmente
cognitive, di regola sono avvenute durante il periodo di prevalenza
delle specie di ominidi esistenti, e non all’inizio.
Tutto questo
rende ragionevole giungere alla conclusione che l’innovazione neurale
decisiva è stata acquisita come sottoprodotto della grande
riorganizzazione evolutiva che ha dato origine all’Homo sapiens come
entità fisicamente distinta, circa duecentomila anni fa. In altre
parole, questa innovazione è emersa non come adattamento, ma come
exattamento, cioè un adattamento nato per assolvere a una certa funzione
e che poi finisce per assolvere anche o soprattutto un’altra funzione
indipendente da quella originaria. Queste nuove potenzialità, che hanno
fornito il sostrato biologico per la cognizione simbolica, sono rimaste
«in sonno» fino a quando, sotto l’impulso probabilmente di uno stimolo
culturale, non si sono concretizzate. La mia idea è che questo stimolo è
stato l’invenzione del linguaggio, cioè l’attività simbolica per
eccellenza. Per noi, linguaggio è praticamente sinonimo di pensiero.
Come il pensiero, il linguaggio implica la formazione e la manipolazione
di simboli nella mente. E in assenza del linguaggio la nostra capacità
di ragionare per simboli è quasi inconcepibile.
Immaginazione e
creatività sono parte dello stesso processo, perché solo dopo aver
creato simboli mentali siamo in grado di combinarli in modo nuovo e di
chiedere: «Che cosa succede se…?».
C’è di più: se il linguaggio è
venuto dopo le trasformazioni anatomiche dell’Homo sapiens, allora i
primi individui linguistici possedevano già, chiaramente, l’apparato
vocale necessario per esprimere il linguaggio, apparato che avevano
acquisito inizialmente, una volta di più, in un contesto a tutti gli
effetti di exattamento.
L’exattamento, tra l’altro, è un evento
assolutamente ordinario in termini evolutivi, se si pensa che gli
antenati degli uccelli hanno avuto le piume per milioni di anni prima di
scoprire che potevano usarle per volare.
Non ci sono dubbi che
quello che ci differenzia più di ogni altra cosa dai Neanderthal e da
tutti gli altri nostri parenti estinti è il pensiero simbolico: è il
pensiero simbolico che spiega perché oggi noi siamo qui e loro no.
La
capacità cognitiva specifica della nostra specie, dunque, è
un’acquisizione straordinariamente recente, ed è il prodotto immediato
di un evento di breve durata e probabilmente casuale, che ha
capitalizzato i frutti di centinaia di milioni di anni di evoluzione
vertebrata.
Tutto questo a sua volta sembra indicare che noi esseri
umani non siamo le creature che siamo grazie a una selezione naturale
protrattasi per ere intere.
E naturalmente può aiutarci a capire
perché i nostri processi decisionali sono così contorti, perché i
comportamenti umani sono così spesso irrazionali e autodistruttivi
e perché la nostra psiche è notoriamente così impenetrabile.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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