lunedì 20 maggio 2013
Fuori tempo massimo! Vitiello candida Severino ma ormai è troppo tardi
Essere e Verità, vita e morte: il nuovo saggio di Emanuele Severino
L’autore torna sui temi a lui cari e integra in parte il suo pensiero precendente.
Partendo
dalla «Struttura originaria», la prima formulazione del sistema
filosofico, affronta una questione necessaria quanto impossibile da
spiegare
di Vincenzo Vitiello l’Unità 20.5.13
CON AMMIREVOLE COSTANZA
EMANUELE SEVERINO PROSEGUE NELL’INCESSANTE, e per certi aspetti finanche
ossessiva, interrogazione sui temi propri della sua filosofia: il
nulla, il destino, l’isolamento della Terra. Non sono ancora trascorsi
due anni dalla pubblicazione de La morte e la Terra, che esce il suo
nuovo saggio, Intorno al senso del nulla (Adelphi, Milano 2013), che sta
a mezzo tra il commento e la integrazione-revisione del precedente.
Il
tema di quest’ultimo libro l’«aporia del nulla» lo collega direttamente
alla Struttura originaria, la prima formulazione del sistema
filosofico, che l’impose giovanissimo, all’attenzione della repubblica
dei filosofi per l’arditezza delle sue tesi. Ma in che consiste questa
aporia del nulla, peraltro già rilevata dal monaco Fredegiso di Tours
agli albori del IX secolo? In ciò, che parlare del nulla è tanto
necessario quanto impossibile: necessario per potere definire l’essere,
impossibile, perché con l’atto stesso di opporlo all’essere gli si
conferisce uno statuto d’essere, che lo nega come nulla.
La soluzione
prospettata nella Struttura originaria, e variamente ribadita nelle
opere successive, consiste nel distinguere il contenuto dell’enunciato,
il significato «nulla», che per la sua contraddittorietà si nega da sé,
dall’enunciare stesso, il positivo significare il nulla,
l’incontraddittorio dire: «il nulla è nulla». Non è questa la sede per
esporre le obiezioni che a tale soluzione sono state mosse (tra gli
altri da chi firma questa nota). Più conveniente a questa sede, e in
generale più interessante, ci sembra ragionare sulla strategia messa in
atto da Severino per spiegare com’è possibile, per una filosofia che
afferma con la negazione del nulla l’eternità di tutte le cose,
ammettere un «nuovo tipo di aporia del nulla» rimasta «irrisolta», che
consiste in quel problematico «non è» che pur ricorre, esplicitamente o
implicitamente, in tutti i giudizi che noi, abitatori della Terra
isolata dal Destino, correntemente adoperiamo.
E ancora come è
possibile una «terza forma di autocontraddizione del nulla». La
strategia è presto detta: quanto di nuovo dell’«aporetica del nulla» si
presenta nel libro ultimo è nella sua forma essenziale già incluso nella
Struttura originaria. Incluso, anche se non era detto. Il che è affatto
coerente con la tesi fondamentale di questa filosofia che spiega la
nascita delle cose eterne in quanto riposano nello sfondo inapparente
dell’Infinito con il loro entrare negli orizzonti sempre finiti
dell’apparire del Tutto, e la loro morte con la loro uscita.
Ma come
spiegare la differenza tra l’apparire del Tutto in orizzonti sempre
finiti, e l’inapparente essere infinito del Tutto? Severino ha dapprima
risposto che l’Infinito appare negli infiniti circoli finiti del suo mai
compiuto apparire. Risposta che lui stesso ha riconosciuto
nsufficiente, dacché non colma la distanza tra l’apparire e l’essere (se
si vuole: tra il pensiero e l’essere), al contrario l’eternizza. Nel
libro La morte e la Terra si spinge oltre, affermando che nell’istante
della morte «appare la totalità concreta e infinita dello sfondo». È,
questo, un passaggio necessario della sua filosofia. Ma non ancora
sufficiente: in Intorno al senso del nulla va ancora oltre: oltre
l’istante della morte. Scrive: «A differenza di quanto si dice ne La
morte e la Terra», lo «splendore dello sfondo» avviene «subito dopo tale
istante, nell’avvento della Terra che salva, liberando lo sfondo e la
pura terra dal contrasto con la terra isolata». (p. 98).
Le
distinzioni si moltiplicano, «sfondo» e «splendore dello sfondo» sono
diversi, come l’apparire della Totalità è diverso dall’apparire della
Totalità liberata dal contrasto con la Terra isolata. Ma se l’istante
della morte è ancora troppo legato alla vita, alla Terra isolata dal
Destino, lo «splendore dello sfondo» che avviene subito dopo ricorda
troppo da vicino quella pagina del Mondo come volontà e come
rappresentazione sulla morte come liberazione dai limiti dell’io
empirico. «L’uomo scrive Severino non muore all’interno di un vortice,
di un divenire che lo travalica e sopravanza spingendolo nel nulla.
L’uomo muore all’interno di se stesso. Muore come volontà singola
all’interno di sé come cerchio eterno dell’apparire del destino» (ivi).
Esito
paradossale di una filosofia che ha osato spingere il pensiero oltre
ogni limite, anche quello della morte; ma che nel momento stesso che
trova l’identità di Verità ed Essere scopre l’abisso che li tiene
divisi. In eterno. Nell’eternità del Destino della necessità, che
riconosce deve riconoscere eterna anche la Terra isolata dal Destino. La
Pasqua della resurrezione e il Venerdì della passione restano in eterno
uniti.
Esito paradossale, anzi sommamente aporetico, ma quanto mai
istruttivo. L’incessante ritorno del filosofo sulle proprie soluzioni
testimonia di un’inquietudine del pensiero che mai non s’acquieta;
testimonia di quella infirmitas che è il carattere più proprio della
pratica filosofica, che è sempre oltre la teoria in cui essa pur si
costringe ad esporsi.
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