India e Cina L’accordo dei giganti ridisegna il mondo
La rete cinese dall'India fino ai Caraibi
di Guido Santevecchi Corriere 22.5.13
PECHINO — C'è un nuovo «consenso strategico» tra la Cina e l'India, come annuncia il premier Li Keqiang di fronte al suo collega di New Delhi Manmohan Singh? Di fatto, il capo del governo cinese ha scelto il vicino-rivale per la sua prima missione all'estero; il tradizionale alleato Pakistan è solo la seconda tappa del viaggio. E i due Paesi sono già partner nel club dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che riunisce il gruppo di economie che crescono più rapidamente in un mondo ancora investito dalla crisi globalizzata.
Però i rapporti per decenni sono stati tesi. Ancora all'inizio di maggio, i militari cinesi e indiani si sono sfidati per tre settimane nella regione himalayana, dove nel 1962 i due Paesi si fecero guerra. Reparti dell'Esercito di Liberazione Popolare si sono spinti per 18 km in territorio controllato dagli indiani. Poi c'è il disappunto di Pechino perché New Delhi ospita il Dalai Lama, leader tibetano in esilio.
E soprattutto, c'è la rivalità economica. Il Prodotto interno lordo della Cina è sei volte più grande di quello indiano, l'interscambio commerciale vale oltre 66 miliardi di dollari l'anno, ma è sbilanciato a favore dei cinesi, che hanno un surplus di 28 miliardi. La Cina è il secondo partner dell'India, che rappresenta per Pechino solo il 12°. Ma i due giganti non si possono ignorare, i loro sistemi produttivi hanno bisogno l'uno dell'altro per bilanciare la crisi dell'Europa e la lentezza della ripresa Usa.
Così Li Keqiang ha giocato la carta dell'umiltà, tattica preferita della Cina che ama ancora definirsi «Paese in via di sviluppo». Il premier si è presentato portando «a un popolo di 1,2 miliardi di persone il saluto di un popolo di 1,3 miliardi di persone» e ha insistito che l'obiettivo di Pechino «è sempre di soddisfare le sette necessità di base quotidiane dei cinesi che sono: legna, riso, olio per cucinare, sale, salsa di soia, aceto e tè». Poi ha detto di capire le preoccupazioni indiane per lo squilibrio nella bilancia commerciale e ha promesso che l'accesso delle merci di New Delhi sarà facilitato, per raggiungere quota 100 miliardi di dollari di scambi nel 2015. Sono seguiti accordi sull'agricoltura, le risorse idriche, per lo sviluppo di zone industriali e la costruzione di infrastrutture. Si è discusso del progetto di aprire un corridoio commerciale attraverso Birmania e Bangladesh.
Non sembra un caso che proprio nel corso di queste cerimonie da Washington sia arrivato l'annuncio che il 7 e l'8 giugno Obama incontrerà il presidente Xi Jinping in California per un vertice tra la prima e la seconda economia del mondo.
Ma intanto Pechino continua ad allargare la sua rete, fino ai Caraibi: gli inviati (e i miliardi) cinesi sono arrivati in quello che George Bush chiamava «il terzo confine» degli Stati Uniti. Hanno stretto accordi con Grenada, Barbados, Giamaica. Il primo ministro di Grenada ha detto al Financial Times che «Pechino aiuta i Caraibi perché ha colto la frustrazione della regione per il disinteresse Usa». Colpisce questa avanzata cinese a Grenada: nel 1983 Ronald Reagan spedì nell'isola i Rangers dopo aver accusato il governo (golpista) locale di essersi venduto a cubani e sovietici. Ora la Cina compra tutto in blocco.
Alle Bahamas i cinesi stanno costruendo un resort da diversi miliardi di dollari; alla Giamaica hanno concesso 300 milioni per strade e ponti; ad Antigua hanno costruito uno stadio per il cricket. Questi investimenti non hanno significato economico per la Cina, perché i Caraibi non sono un gran mercato e non hanno particolari risorse naturali: si tratta di espansione politica.
La partita è appena all'inizio e la Cina conosce l'arte dell'attesa.
Cina-India, il confine invisibile della guerra
di Jaswant Singh* La Stampa 23.5.13
Mezzo secolo dopo la guerra sino-indiana del 1962, il confine tra la Cina e l’India rimane indefinito ed è una costante fonte di attrito tra i due Paesi più popolosi del mondo. Nel 1962, dopo tre settimane di combattimenti, si concordò una linea di controllo effettivo (Lac). Ma, dopo cinque decenni, la mappa dev’essere ancora tracciata. Di conseguenza, entrambe le parti inviano sistematicamente pattuglie fino al punto in cui ritengono passi il confine. L’ultimo episodio è un’incursione di tre settimane delle truppe cinesi in territorio indiano che ha avuto inizio ad aprile.
Trovarsi faccia a faccia nella terra di nessuno tra le due linee di confine riconosciute dalla Cina e dall’India è così comune che i militari dei due Paesi hanno sviluppato un modus vivendi e in genere invitano l’altro a ritirarsi pacificamente. Entrambe le parti hanno regolarmente rispettato il protocollo informale che si è evoluto nel corso degli anni.
Ma non questa volta. Nella zona di Daulat Beg Oldie, vicino all’altopiano di Depsang, nella regione del Ladakh dello stato di Jammu e Kashmir, una pattuglia di circa 15 soldati dell’Esercito di Liberazione Popolare è entrata nel territorio controllato dall’India e ha costruito un accampamento, preparandosi per un soggiorno prolungato.
Dallo strategico passo del Karakorum, nel Nord, vicino al Pakistan, la Lac si estende verso sud, lungo i crinali della catena dell’Himalaya orientale fino all’antica città monastica buddista di Tawang. Poi, ripercorre la vecchia linea McMahon tracciata nel 1914 - e respinta dalla Cina come un dettato imperiale - per separare l’India britannica da quello che allora era il Tibet. La LAC quindi serpeggia fino al punto in cui s’incontrano l’India, la Cina e la Birmania.
L’interesse strategico della Cina nel confine che separa l’India dall’irrequieto e dalla provincia ribelle dello Xinjiang è semplice da capire. Per l’India, Daulat Beg Oldie è un importante avamposto vicino all’ingresso del passo di Karakorum e la regione del ghiacciaio Siachen. Quindi, l’incursione della Cina in territorio indiano è stato l’errore di un comandante locale? O si tratta di un calcolo più complesso?
Il torreggiante passo del Karakorum faceva parte della vecchia via della seta che collegava il Ladakh e il Kashmir con lo Xinjiang – che ora è, come il Tibet, una «regione autonoma» della Cina. Come hanno di recente detto due osservatori, Daulat Beg Oldie era una sorta di punto di trasferimento delle merci da caricare sui pony «per il crudele viaggio attraverso il Saser La fino alla più ospitale valle del fiume Shyok» per arrivare a «Leh, Turtok, o Srinagar [in Kashmir]».
Non a caso il Parlamento indiano ha condannato severamente l’incursione cinese. Il governo, dopo un’iniziale perplessità, ha cercato invano di fare luce sulla presenza delle truppe cinesi. E ne è seguita un’escalation e l’India ha rilanciato. Il Financial Times ha citato Sun Hongnian, un esperto dei confini cinesi: «Per l’India, ogni metro di strada e ogni bunker in quella zona è una vittoria strategica sul territorio» che li porta «più vicino alla strada principale dalla nostra parte».
Il braccio di ferro si è concluso il 6 maggio, improvvisamente com’era iniziato. Il ministro degli Esteri indiano, dopo aver inizialmente definito l’incursione un «incidente localizzato», ha dovuto cambiare tono sotto la pressione parlamentare, ammonendo la Cina che l’India potrebbe dover riconsiderare la sua progettata visita a Pechino.
Tutto ciò è stato un tentativo cinese di ottenere, nelle parole di Henry Kissinger, una «deterrenza strategica»? O un passo deliberato verso la realizzazione della proposta fatta dal presidente cinese Xi Jinping al primo ministro indiano Manmohan Singh a marzo, a margine del vertice Brics in Sudafrica? Xi aveva detto a Singh di stare cercando «una soluzione equa, ragionevole e reciprocamente accettabile basata sulla reciproca comprensione e accettazione», aggiungendo significativamente: «Stabiliamo in tempi brevi un accordo di massima sui confini». L’incursione cinese era destinata a servire come una sorta di acceleratore diplomatico?
L’India dovrebbe fare tesoro della preveggente osservazione dell’ex primo ministro australiano Kevin Rudd: «La Cina, una nazione di realisti in materia di politica estera e di sicurezza, rispetta la forza strategica e disprezza l’indecisione e la debolezza». Dopotutto, una delle lezioni della guerra del 1962 è stata che una risposta incerta all’aggressione cinese è controproducente, soprattutto in situazioni come quella posta dall’incursione a Daulat Beg Oldie.
Una cosa sembra emergere in modo chiaro dal recente incidente: una nuova disposizione d’animo regna in Cina e continuerà a guidare la politica per i prossimi dieci anni sotto la guida di Xi. Le truppe cinesi a Daulat Beg Oldie servono a ricordare che la Cina non ha alcuna intenzione di permettere che questioni irrisolte di confine restino ignorate. Infatti, quasi in contemporanea con l’incursione dell’esercito, gli studiosi di un simposio cinese hanno messo in discussione la sovranità giapponese su Okinawa.
Sia che l’appello di Xi all’India per «definire rapidamente la questione dei confini» fosse solo un’esortazione o piuttosto un avvertimento, gli altri paesi asiatici non possono più permettersi di ignorare le proprie dispute di confine con la Cina. Come dimostra quello che è successo a Daulat Beg Oldie, i nuovi leader cinesi non sono interessati a mantenere lo status quo.
*Ex ministro indiano delle Finanze, degli Esteri e della Difesa, è l’autore di Jinnah: India - Partition – Indipendence Copyright: Project Syndicate, 2013. www.project-syndicate.org Traduzione di Carla Reschia
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