mercoledì 15 maggio 2013
Una nuova storia della Seconda guerra mondiale
Antony Beevor: La seconda guerra mondiale, Rizzoli, pagine 1.088, 53 foto fuori testo, 25
Risvolto
Giugno
1944: sulla costa della Normandia gli Alleati catturano il coreano Yang
Kyoungjong. Yang è stato arruolato a forza dall'esercito imperiale
nipponico, dall'Armata Rossa, dalla Wehrmacht, ed emigrerà poi negli
Stati Uniti. È solo uno dei protagonisti del ricco mosaico composto da
Antony Beevor in un'opera che, attingendo alle ultime scoperte
d'archivio, affronta la seconda guerra mondiale da una prospettiva
nuova. Beevor spazia da fronti noti ad altri meno conosciuti, dal Sahara
alla giungla birmana, dalle atrocità dei gruppi d'assalto delle SS e
dei gulag sovietici fino alla barbarie dello scontro sino-giapponese. E
sul solido telaio di un racconto globale del conflitto, tesse i fili di
mille micro-storie personali, restituendo alla guerra più crudele e
distruttiva che il mondo ricordi una dimensione e una verità
profondamente umane.
di Paolo Rastelli Corriere 14.5.13
«Se
siamo americani, pensiamo alla guerra come a qualcosa iniziata con
Pearl Harbour nel 1941 e finita con la bomba atomica nel 1945. Se siamo
inglesi, ricordiamo il bombardamento di Londra del 1940 e la liberazione
di Belsen. Se siamo francesi, ricordiamo Vichy e la Resistenza. Se
siamo olandesi, pensiamo ad Anna Frank. Perfino se siamo tedeschi
conosciamo solo una parte della storia». In queste parole della storica
americana Anne Applebaum è racchiusa una delle tante chiavi di lettura
della Seconda guerra mondiale, uno dei motivi per cui essa continua a
ricevere l'attenzione degli studiosi e a esercitare un enorme fascino
(perverso, se volete, ma indubitabile) sugli appassionati di storia.
L'ultimo
conflitto è stato una tragedia talmente immensa che è quasi impossibile
da cogliere nella sua interezza e sul quale, quindi, si continua a
tornare per capirne di più. E non solo per i milioni di morti (60-70,
manca ancora una cifra precisa, soprattutto per la difficoltà di
ottenere cifre attendibili sulle vittime sovietiche e cinesi, le più
numerose), ma anche per lo sconvolgimento che portò nello scorrere
ordinato (magari povero e stentato, come nei villaggi minerari inglesi o
nelle campagne birmane, ma comunque familiare) dei milioni e milioni
che pure sono sopravvissuti. Scrive Max Hastings in Inferno (Neri
Pozza): «Quasi tutto quello che i popoli civili davano per scontato in
tempo di pace fu spazzato via, e più di ogni altra cosa l'idea di vivere
al sicuro dalla violenza». E in un certo senso non conta che lo
sconvolgimento imposto dalla guerra a un'ebrea polacca, con la
persecuzione e la quasi sicura fine in un campo di sterminio, sia stato
incomparabilmente peggiore rispetto, per esempio, a quello di una
casalinga inglese middle class di campagna, costretta a ospitare in casa
quattro bambini sfollati dell'East End londinese con i vestiti
stracciati e i capelli pieni di pidocchi. Entrambe si trovarono ad
attraversare esperienze fino ad allora impensabili e in un certo senso
incommensurabili.
Proprio con quest'ottica Antony Beevor ha scritto
il libro La seconda guerra mondiale, proposto in Italia da Rizzoli
(pagine 1.088, 53 foto fuori testo, 25), sottotitolo I sei anni che
hanno cambiato la storia (volume nel quale, tra l'altro, compare la
frase di Anne Applebaum sopra citata). L'intenzione dello storico
inglese (finora autore di opere settoriali sull'ultimo conflitto
mondiale) è quella di tentare di mettere insieme un quadro ordinato del
disastro, lasciando nello stesso tempo spazio alle vite individuali
travolte da forze storiche fuori dal loro controllo.
Non è un caso
che il libro si apra con la vicenda di Yang Kyoungjong, un orientale di
24 anni fatto prigioniero dagli americani in Normandia nel 1944. I
paracadutisti che lo catturarono pensavano fosse un giapponese: invece
era un coreano arruolato a forza dai nipponici nel 1938 nel loro
esercito del Guangdong, catturato dai sovietici nel 1939 durante gli
scontri del Khalkhin-Gol e rinchiuso in un campo di lavoro, rimandato al
fronte dai russi durante le crisi del 1942, catturato dai tedeschi nel
1943 e poi arruolato in un Ost-Bataillon della Wehrmacht di guarnigione
in Normandia (sarebbe poi morto in Illinois, Stati Uniti, nel 1992).
Nel
libro si trovano molte storie come questa, oltre, naturalmente, ad
aspetti più «classici», diplomatici e militari: la caduta della Francia,
la battaglia di Stalingrado, l'assedio di Leningrado, gli scontri
africani, la resa dell'Italia, il conflitto aeronavale del Pacifico tra
americani e giapponesi, le conferenze di Yalta e Potsdam. Ma forse è più
interessante sapere che nei rifugi tedeschi nella Berlino martoriata
dai bombardieri angloamericani si spandeva il tanfo delle alitosi per le
carie provocate dalla mancanza di vitamine. Oppure che «un'anziana
viandante — scriveva il giornalista sovietico Vasilij Grossman nel 1945
descrivendo una profuga — sta lasciando Berlino con uno scialle in
testa. Dal suo aspetto sembra che si stia recando in pellegrinaggio — un
pellegrinaggio nelle distese della Russia —. Tiene un ombrello di
traverso sulla spalla. Una grossa casseruola di alluminio è appesa al
manico dell'ombrello». Chissà se ci è arrivata, in Russia.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento