Roosevelt e gli ebrei “Era ostile, fece poco per salvarli da Hitler”
mercoledì 15 maggio 2013
Storiografia revisionista giudeocentrica
Ovvero rileggere l'intera storia universale da un punto di vista esclusivo implicitamente inteso come il culmine della creazione [SGA].
Roosevelt e gli ebrei “Era ostile, fece poco per salvarli da Hitler”
Roosevelt e gli ebrei “Era ostile, fece poco per salvarli da Hitler”
Lo storico Medoff: non volle colpire i lager
Il fondatore dell’Istituto degli studi sull’Olocausto ha raccolto nuove prove
FDR limitò l’accesso negli Usa a quelli in fuga dalla Germania «Poteva aiutarne 190mila»
di M. Mo. La Stampa 14.5.13
Per
i visitatori del Museo dell’Olocausto di Washington uno degli aspetti
più sorprendenti sono le testimonianze su come Franklin Delano Roosevelt
fosse a conoscenza dello sterminio degli ebrei nei lager nazisti ma
decise di non bombardarli. A gettare nuova luce su quella controversa
scelta dell’allora Presidente degli Stati Uniti, la cui entrata in
guerra fu determinante per la sconfitta del nazifascismo, è Rafael
Medoff, fondatore dell’Istituto per gli studi sull’Olocausto a
Washington, nel libro «FDR and the Holocaust: A Breach of Faith» in
libreria.
Sulla base di nuovi documenti, Medoff descrive un Roosevelt
privato ostile agli ebrei. Nel maggio del 1943, oltre un anno prima del
D-Day, durante una conversazione con il premier britannico Winston
Churchill alla Casa Bianca, Roosevelt illustra la sua idea di soluzione
della questione ebraica «dopo la vittoria» sposando la tesi del geografo
Isaiah Bowman, secondo il quale «gli ebrei devono essere distribuiti
geograficamente» fra nazioni e città, in maniera da non dare troppo
fastidio a nessuno e la dose considerata appropriata era di «4 o 5
famiglie» per quartiere.
L’idea di Roosevelt era di «rendere più
sottile la presenza ebraica» per consentire alle singole nazioni di
accettarla e forse tale approccio aiuta a comprendere - questa è la tesi
di Medoff perché durante la Seconda Guerra Mondiale limitò al massimo
l’arrivo degli ebrei in fuga dalla Germania nazista. La quota annuale
permessa era di appena 26 mila persone e inoltre venne colmata solo al
25 per cento in quanto molti venivano respinti con la motivazione di
avere «parenti in Germania» e poter dunque diventare «spie nemiche». Se
Roosevelt avesse applicato la legge vigente, senza ostacolarla, circa
190 mila ebrei tedeschi avrebbero potuto essere salvati.
La
conversazione con Churchill, annotata dal vicepresidente Henry Wallace, è
solo uno dei tasselli del mosaico composto da Medoff che documenta una
miriade di altri eventi. Nel 1923, quando Roosevelt fa parte del
consiglio di Harvard, decide che vi sono troppi ebrei fra gli studenti e
ne fa ridurre la quota. Nel 1938, in una conversazione privata, imputa
l’antisemitismo in Polonia al «dominio dell’economia da parte degli
ebrei». Nel 1941, durante una riunione del gabinetto di ministri, si
lamenta dell’eccessivo numero di ebrei fra i dipendenti federali in
Oregon e nel 1943 dà disposizione ai comandi alleati affinché nelle zone
liberate dell’Africa del Nord «il numero di ebrei nelle professioni
debba essere limitato per eliminare le comprensibili ragioni di
lamentela che i tedeschi hanno maturato verso gli ebrei in Germania».
In
altri documenti Roosevelt mostra fastidio per i «piagnistei ebraici»
sulla limitazione dell’arrivo dei rifugiati, si vanta di «non avere
sangue ebraico nella vene» e descrive un’operazione fiscale da parte di
un editore ebreo come «uno sporco trucco ebraico». Più in generale il
tema che più ricorre nelle riflessioni di Roosevelt è il fastidio per
l’«eccesso di presenza nelle professioni» e la conseguente possibilità
di «esercitare un’influenza immeritata». Altri presidenti sono noti per
aver espresso opinioni ostili agli ebrei - da Truman a Nixon - ma a
renderle più importanti nel caso di Roosevelt è la possibilità che
spieghino il mancato bombardamento di Auschwitz.
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