giovedì 27 giugno 2013
Cosa produce valore, il lavoro o la vita in quanto tale? Evoluzioni del post-operaismo
Risvolto
Spazio di contraddizioni, di dibattito, di
ansie private e collettive, il lavoro è, oggi più che mai, un tema che è
importante analizzare. Il lavoro è un bene? Cosa significa che non il
lavoro, ma la vita stessa produce valore? Che peso avranno, nel futuro
anche vicino, figure mai contemplate negli indicatori tradizionali come i
precari, gli scoraggiati, i giovani che non studiano e non lavorano, i
lavoratori irregolari? Descrivere correttamente la situazione è solo il
primo passo per intervenire. Perché è arrivato il momento di pensare a
nuovi modelli. E questo libro sostiene senza timidezza una proposta
forte, discutendone presupposti, possibili esiti e concrete vie di
attuazione: il reddito di base garantito.
WORKING CLASS
Il precario è disponibile
APERTURA - Stefano Lucarelli il manifesto 2013.06.26 - 10 CULTURA
Andrea Fumagalli nel
suo pamphlet «Lavoro male comune», pubblicato da Bruno Mondadori,
ribadisce la necessità di un welfare che tenga conto del diritto alla
scelta del proprio mestiere
Non è facile, dinanzi ai dati sulla
disoccupazione dilagante (11,5% su scala nazionale, ma la disoccupazione
giovanile supera il 35%), di fronte ai volti dei disoccupati che si
sempre più si trasformano in mendicanti, di fronte alle tantissime
storie rintracciabili sul web di chi ha scelto di togliersi la vita
perché ha perso il lavoro, recensire un libro intitolato Lavoro male
comune, apparentemente così distante dal ciò che è l'idea di giustizia
nel nostro senso comune più radicato.
Nel migliore dei casi il
titolo farà tornare alla mente il protagonista di Vogliamo tutto di
Nanni Balestrini - un'opera che è però scritta in anni (1971) in cui la
disoccupazione in Italia era molto più contenuta (4%): «la cosa che non
aveva differenza era la nostra volontà la nostra logica la nostra
scoperta che il lavoro è l'unico nemico l'unica malattia.... E le lotte
che fino allora facevo per cazzi miei contro il lavoro avevo visto che
erano le lotte che tutti noi potevamo farle insieme e così vincerle».
Quelle lotte hanno tuttavia contribuito notevolmente a produrre diritti
effettivi perché costrinsero le istituzioni democratiche a definire un
modo di regolazione all'altezza delle rivendicazioni degli operai e
della società. L'agile pamphlet scritto da Andrea Fumagalli (Bruno
Mondadori, pp. 135, euro 12,75) è figlio della stessa cultura che ispirò
Balestrini: in esso si cerca di mostrare come l'etica del lavoro
rappresenti in realtà una struttura di pensiero funzionale agli
interessi capitalistici tanto più dopo la crisi del modello fordista.
Nella
prima parte l'autore propone a tal fine un breve profilo di storia del
pensiero economico dai Classici, a Marx, dai neoclassici a Keynes, a
Weber sino al nuovo mainstream; attraverso una linea interpretativa in
parte discutibile (soprattutto in relazione alla sostenibilità
all'interno dell'opera di Keynes di una teoria del salario variabile
indipendente) Fumagalli mostra come il lavoro non sia un bene economico,
dunque neanche un bene comune: la domanda di lavoro espressa dalle
imprese è in realtà domanda di prestazione lavorativa, l'offerta di
lavoro da parte degli individui è in realtà offerta di disponibilità
lavorativa, cioè tempo di vita.
Nella seconda parte - dopo una
disamina completa e precisa delle riforme del mercato del lavoro che
hanno colpito l'Italia dal Protocollo Scotti (1984) alla legge Fornero
(2012) e attraverso una rilettura critica delle statistiche - si dà una
descrizione rigorosa del processo di precarizzazione che fa del nostro
Paese un caso esemplare di fallimento delle ricette di politica
economica propinate dal mainstream.
Nella terza parte Fumagalli si
concentra innanzitutto sulla «trappola delle precarietà» e osserva che
se prima della crisi del 2008 la crescita di occupazione si accompagnava
ad un aumento dei contratti precari con un effetto di sostituzione
rispetto ai vecchi contratti, a partire dal 2008 sono i lavoratori
precari i primi a perdere il lavoro, alimentando il numero degli
scoraggiati e dei giovani Neet (coloro che non sono occupati, né si
stanno dedicando all'istruzione o alla formazione). L'autore si sofferma
poi sul ritardo tecnologico che caratterizza l'economia italiana.
Infine
propone di affrontare i cambiamenti strutturali del sistema economico a
partire innanzitutto da un nuovo sistema di sicurezza sociale. La
stabilità del reddito, attraverso l'istituzione di un reddito di
esistenza da concepire come reddito primario, favorendo le economie di
apprendimento e di rete, migliorerebbe la capacità produttiva.
Tuttavia,
come Fumagalli riconosce, l'introduzione di un reddito di esistenza
potrebbe anche innescare una dinamica altamente conflittuale, perché -
se fosse accompagnato dall'introduzione di un salario minino - si
ridurrebbe la possibilità di ricatto sui lavoratori. Inoltre il
rafforzamento delle economie di apprendimento e di rete (ma qui
all'autore va ricordato che il collocamento dell'economia italiana nella
filiera produttiva internazionale è dirimente!) ridurrebbe il grado di
controllo capitalistico sui processi produttivi. Ci troveremmo dunque
dinanzi ad una nuova forma della dinamica conflitto-sviluppo
(capitalistico?), che rappresenta un tema delicato ma evidentemente
inaggirabile per chi ha a cuore le sorti della classe degli sfruttati.
Il
testo di Fumagalli nel suo complesso ripresenta, aggiornate dopo sei
anni di crisi, alcune delle tesi del più impegnativo Bioeconomia e
Capitalismo Cognitivo, e invita ad un difficile cambiamento culturale
volto principalmente a due obiettivi: primo, un'analisi critica degli
indicatori con cui tradizionalmente si esamina il mercato del lavoro -
compito che l'autore porta a termine in modo convincente, nella seconda
parte del testo, la migliore; secondo, una riforma del welfare che
istituisca di fatto il «diritto di scelta del lavoro» - punto questo di
grande interesse che tuttavia si presta ai consueti dubbi che
accompagnano ogni formulazione di un assetto politico e sociale,
proposto come ideale, ma che stenta a trovare riscontro nella realtà. Il
punto è importante perché Fumagalli finalizza la sua analisi critica
alla istituzione di un nuovo diritto alla scelta del lavoro, e ciò porta
a riflettere non solo sulla convenienza di una riforma costituzionale
(questa è la prospettiva resa esplicita dall'autore), ma sul significato
che si vuole attribuire a un sistema economico che non sia fondato sui
rapporti capitalistici.
Fumagalli si sforza di utilizzare un
linguaggio quasi colloquiale, estremamente accessibile per i non
economisti, ma anche e soprattutto per «la moltitudine di poveri
laboriosi» dei nostri giorni poco avvezza alle categorie della critica
dell'economia politica. Per questo egli utilizza Marx con in contagocce
ed abusa dell'espressione bio-capitalismo cognitivo nominando solo
parzialmente le novità principali del regime di accumulazione in cui
viviamo. Per esempio un riferimento al ruolo assunto dalla
finanziarizzazione nel processo di captazione del valore avrebbe reso
più chiaro in cosa consista il tratto biopolitico del capitalismo
contemporaneo. Ripresentare a partire da Marx la struttura analitica che
costituisce l'ossatura su cui Fumagalli avanza le sue proposte, ci
sembra dunque importante: nel capitalismo contemporaneo il lavoro
sociale è stato sussunto dal capitale in modo tale da modificare anche
le forme della produzione e della riproduzione della società stessa. Il
funzionamento del capitale avviene dunque a livello sociale. Ne consegue
che il comando sul lavoro avviene anche al di fuori dei cancelli della
fabbrica. Ciò non vuol dire tuttavia che il valore trovi fondamento in
qualcosa di distinto dallo sfruttamento della forza-lavoro. Significa
invece che: 1. la forza-lavoro viene impiegata in forme nuove e diverse,
cioè che la mercificazione delle attività umane non è necessariamente
certificata da contratti di lavoro; 2. le forme dello sfruttamento
capitalistico si sono evolute e non sono limitate al comando delle
mansioni da svolgere durante le ore che costituiscono, per legge, la
giornata lavorativa. Ciò avviene in un mondo in cui, quantomeno a
livello tendenziale, cioè in altri termini guardando al paradigma
tecnologico dominante, si assiste ad un aumento del valore d'uso della
forza lavoro. Ciò significa che le cose che gli uomini sono in grado di
fare e produrre aumentano, e ciò significa anche che le qualità che gli
uomini possono esercitare nel fare le cose migliorano.
Tutte queste
capacità - l'insieme di skill, dexterity e judgement che Adam Smith pone
a fondamento della ricchezza delle nazioni - non riguardano solamente i
lavoratori impiegati in segmenti isolati dei settori produttivi, ma
assumono una dimensione pervasiva (come mostrano tra l'altro i rapporti
Eurofound sulle condizioni lavorative in Europa, che l'autore avrebbe
fatto bene a considerare). E ancora, si tratta di capacità che gli
uomini sviluppano collettivamente, nel momento in cui si mettono in
relazione gli uni con gli altri anche al di fuori del tradizionale
rapporto di lavoro; anzi, spesso, nel tentativo di liberare il proprio
lavoro e la propria vita dal comando che caratterizza i rapporti
capitalistici. Eppure la società capitalistica tende violentemente a
riorganizzarsi per ricondurre alle proprie logiche produttive e di
mercato ogni frutto della libera cooperazione sociale, che Fumagalli
tenta di classificare distinguendo fra prestazione lavorativa, opera,
ozio, svago.
Rivendicare un reddito di esistenza in questo contesto
significa pretendere un riconoscimento monetario dinanzi alla
espropriazione capitalistica della libera cooperazione sociale, e più
semplicemente di tutte le prestazioni lavorative non certificate che
però producono valore, che presumibilmente, nel nuovo capitalismo,
assume la forma di rendita finanziaria (un problema che come abbiamo
visto l'autore non approfondisce).
Fumagalli conclude il libro
mostrando, numeri alla mano, come in Italia sia possibile e auspicabile
una sostituzione degli attuali ammortizzatori di sostegno al reddito con
un reddito di base incondizionato. Seguendo un suggerimento di
Christian Marazzi, vorremmo sottolineare l'importanza di rivendicare un
reddito di esistenza come denaro creato ex nihilo, come forma di
risocializzazione della moneta, soprattutto oggi dinanzi ad una politica
monetaria europea che - come lo stesso Fumagalli ha mostrato altrove -
appare ostaggio degli speculatori finanziari.
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