lunedì 17 giugno 2013
Editoria
Libri che qualche anno fa costavano al massimo 20mila lire, oggi non costano meno di 30 euro, quando va bene. Il risultato è che l'80 % dei libri pubblicati in Italia dopo qualche mese viene già scambiato sotterraneamente in pdf. E' giusto che sia così e gli editori italiani hanno le responsabilità maggiori [SGA].
La nostra editoria moribonda
Non solo il calo delle vendite anche scelte improbabili o scorrette Troppi titoli, sostituiti continuamente quando invenduti, con qualche best seller che recupera i conti E una disparità esasperata nella visibilità tra i grandi gruppi e i piccoli editori Tagli ingenti al personale, sparite alcune figure come i correttori di bozze... rimasti privilegiati i dirigenti
di Daniele Brolli l’Unità 16.5.13
DISCLAIMER: NIENTE DI QUANTO LEGGERETE DI QUI ALLA FINE DI QUESTO PEZZO
PUÒ SORPRENDERVI, PERCHÉ SIETE ITALIANI, potete però meravigliarvi che
anche i libri, che dovrebbero essere portatori di un’etica legata alla
cultura, siano strumenti di un complesso raggiro oggi giunto, forse, al
capolinea.
Non siamo autorizzati a credere che abbia diritto alla sopravvivenza
solo perché il suo ambito di pertinenza è la cultura. Del resto a volte
l’estinzione è il metodo migliore per ridare fiato a un ecosistema.
L’editoria libraria italiana è moribonda per tanti motivi, tra i quali
ce ne sono alcuni oggettivi, altri che appartengono alla tipica
furbetteria locale.
Intanto bisogna sgombrare il campo dall’idea che da noi con i libri ci
lavori solo gente intelligente, colta e inappuntabile. Di intellettuali
fané alla Calasso ne sono rimasti pochi, travasati da un passato che non
esiste più. È il segno dei tempi, lo spirito manageriale ha preso il
sopravvento, l’idea che con i soldi che circolano in casa editrice ci si
possa fare anche altro non è una scoperta per nessuno: scatole cinesi
con passaggi di denaro più o meno puliti che vedono nelle acquisizioni
il loro cavallo di battaglia. Per fare un esempio non troppo lontano,
appena dopo la metà degli anni Novanta esplodeva il bubbone delle
perdite generate dal settore libri del gruppo Rcs, circa 800 miliardi di
lire, una vicenda figlia di un sistema truffaldino che ci ricorda che
politica e oligarchie finanziarie oggi possono tutto, specie trovare
metodi «onesti» per rubare. Non è una novità.
Andando con ordine, è possibile elencare i fattori che hanno determinato
la crisi dell’editoria libraria italiana oggi? Ecco alcuni punti, che
forse non sono tutti ma sicuramente danno un’idea. Primo e di base: un
taglio alla radice. Abbiamo una disincentivazione della lettura nella
scolarizzazione, cresce l’analfabetismo di ritorno, cioè l’incapacità di
comprensione minima di un testo, e, come una malattia endemica che
sembrava debellata ma il cui virus covava nell’ombra, è riapparso
l’analfabetismo vero. A scuola, fino a tutti gli anni Settanta, si
trasmetteva il concetto che la cultura fosse la base di un’emancipazione
sociale, dopodiché si è passato a urlare che lo sono i beni di consumo.
Il progetto di una popolazione incapace di interpretare la sfera
sociale in cui vive è il presupposto dell’affermarsi di ogni dittatura. E
quelle dell’Occidente contemporaneo sono più raffinate che nel passato,
hanno imparato a essere discrete: si ammantano d’invisibilità.A
seguire: sempre meno fondi per le biblioteche e meno acquisizioni.
D’altra parte se uno crepa e lascia i suoi volumi a una biblioteca, la
metà viene buttata perché sono dei classici (e non c’è spazio per dieci
copie de I fratelli Karamazov, per fare un esempio) gli altri creano
grande imbarazzo perché vanno catalogati: se sono d’epoca pre-codice a
barre il lavoro si allunga e non c’è sufficiente personale per farlo;
quindi vengono messi nelle cantine. Ergo, le biblioteche dovrebbero
assortire i libri regolarmente, ma il denaro scarseggia, oltre che
spesso, per la stessa ragione, la carta igienica nei bagni, il che le
accomuna alla scuola dell’obbligo.
La distribuzione in libreria è completamente in tilt: per anni i
distributori e i librai sono stati costretti a veicolare per il 90% i
libri dei grandi gruppi, con un sistema finanziario più spaventoso di
quello dei future. Libri sostituiti continuamente quando invenduti con
qualche best-seller che recuperava i conti: in periodo di crisi il
meccanismo si è bloccato. E anche le catene librarie, che, a discapito
soprattutto dell’editoria indipendente, non hanno mai tenuto nei negozi
tutte le uscite ma solo un ristretto numero di titoli dei soliti noti
per fare fatturato, oggi si trovano al palo. In epoca di crisi il
lettore occasionale è il primo ad aver ceduto, mentre il lettore forte
ha bisogno di un libraio esperto che sappia essere interlocutore delle
sue passioni di lettura.
Gli strumenti nazionali di promozione del libro premiano chi è più
scaltro (eufemismo): è quasi umoristico, oltre che emblematico, il caso
del volume Rizzoli Fumetto! finanziato dal comitato dei 150° dell’Unità
d’Italia: peccato che il fumetto nasca nel 1896 negli Stati Uniti e se
vogliamo essere approssimativi in Italia appaia all’inizio del Novecento
(e stendiamo un velo pietoso sul contenuto del volume, a cui
incautamente, e pro bono, ha partecipato anche il sottoscritto). Ovvero,
i soliti potentati editoriali, legati in linea diretta con quelli
politici, si mettono d’accordo per sfruttare l’opportunità di far
circolare del denaro pubblico in casse private. Al contrario un romanzo o
un graphic novel prodotto qui da un piccolo editore investendo e
rimettendoci del suo può essere tradotto da un altrettanto piccolo
editore francese con il sostegno dell’Istituto del libro.
Rcs libri è stato fino a poco più di un anno fa, prima di riunirsi per
questioni di costi nel palazzo Rizzoli di Crescenzago, in un palazzo
sito in via Mecenate a Milano appartenuto nel periodo bello del così
detto «collezionabile» (ovvero le enciclopedie a dispense e le grandi
opere a rate) alla Fratelli Fabbri Editore. I piani erano grandi
open-space in cui le aree erano suddivise soprattutto da grandi
armadi/archivi di metallo. Frequentandoli per lavoro nel corso degli
ultimi venti anni mi è capitato di vedere apparire sulla moquette
progressivamente sempre più aree chiare: intere filiere della produzione
sparivano, insieme agli armadi, fino a che gli ultimi sopravvissuti
stavano rintanati negli angoli dei piani.
È un po’ la metafora del cambiamento dei processi editoriali: i primi a
essersene andati sono stati appunto i fotocompositori, i personal
computer li hanno resi obsoleti. Poi tutti i processi esternalizzabili,
con i relativi lavoratori, dalla semplice correzione bozze alla
redazione sono stati smantellati e affidati a service esterni.
Naturalmente la qualità aveva già smesso di essere un problema da tempo,
ma va riconosciuto che esistono anche service con competenze molto
elevate. Ciò per spendere meno e, non secondario, mantenere i privilegi
economici dei vertici aziendali, dirigenti che prendono stipendi
paragonabili per esempio a quelli dei loro corrispondenti alla Fiat
(perdonate il parallelo infelice e del tutto casuale...). Per quanto ci
sia una rincorsa del taglio dei costi del lavoro altrui, il meccanismo
si è accelerato così velocemente che tagliare non basta, non basterà
mai. È una rincorsa impossibile. Come si fa, per ipotesi, a sostenere un
direttore editoriale dei volumi economici che magari prende 150mila
euro all’anno (un’iperbole? Anche se fossero la metà i conti non
tornerebbero comunque) con volumi che vanno al pubblico a 10 o meno euro
l’uno? Non ci vuole un economista per fare il calcolo.
È interessante vedere quante di queste persone hanno amicizie o
parentele illustri, per cui occupano posti di rilievo al di là dei loro
meriti effettivi e delle competenze maturate e in alcuni casi sorprende
l’applicazione del passaggio ereditario degli incarichi da padre in
figlio, o a da zio a nipote, e soprattutto la capacità cangiante per cui
transitano dai posti di vertice di una casa editrice a quelli di
un’altra non grazie a un processo di ricerca di dirigenti che
funzionano, ma avendo spesso prodotto disastri e abbandonando la barca
prima che la falla la faccia inclinare.
Per anni alcune grandi case editrici sono state finanziate dalle banche.
Pagare gli interessi passivi è una voce debitoria che il libro sostiene
difficilmente, ma non è mai stato un problema perché se ne occupava il
politico di turno. Basta scorrere i cataloghi per capire chi sono o sono
stati i politici che si sono adoperati affinché alcune case editrici
ricevessero fidi e finanziamenti improbabili. Ho pensato che fare una
storia dei volumi inutili scritti dai politici (e dei loro romanzi che
sono la punta di diamante del pensiero debole e della scrittura insulsa)
sarebbe forse un bel ritratto della degenerazione della coscienza
collettiva e dell’utilizzo della lingua italiana, ma questa è un’altra
storia. Poi magari è capitato che quel circolo vizioso del denaro: «ti
faccio avere un fido, mi fai il libro e poi magari fai rientrare qualche
soldo al partito sotto forma di finanziamento, non preoccuparti, non te
li chiederanno mai indietro»; si sia spezzato e adesso quei soldi
debbano rientrare. Nessun problema, si chiude la casa editrice, si
lasciano i debiti a collaboratori, aventi diritto e tipografi e si
riapre con un altro nome simile, così il lettore ci riconosce. Tanto una
società a responsabilità limitata, ovvero «srl», in Italia permette
questo e altro. Mentre il tipografo magari fallisce e il collaboratore
oltre ad aver perso lavoro non ha i soldi con cui doveva vivere,
l’editore in questione ha salvaguardato il suo patrimonio privato
accumulato in anni di soldi facili e si può permettere di ricominciare a
suo piacimento.
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