martedì 25 giugno 2013
Freudismo italiano
Il volume
propone un itinerario che prende in esame alcuni temi classici della
riflessione psicoanalitica. Al centro della teorizzazione viene
collocato l’amore per il padre. La necessaria trasformazione di questo
amore consente l’individuazione, arricchisce la struttura psichica e
offre energie per accostarsi al nuovo. Il vertice proposto porta in
primo piano la prospettiva del divenire, del futuro sviluppo
dell’individuo, a differenza di visioni focalizzate sulla storia passata
che privilegiano le precoci vicissitudini traumatiche. La particolarità
di questo testo consiste nel continuo riferimento a Freud dal vertice
della teorizzazione di Bion, secondo uno stile di pensiero
caratteristico degli autori. - See more at:
http://www.raffaellocortina.it/pensare-con-freud#sthash.rlzt3bo2.dpuf
Il volume
propone un itinerario che prende in esame alcuni temi classici della
riflessione psicoanalitica. Al centro della teorizzazione viene
collocato l’amore per il padre. La necessaria trasformazione di questo
amore consente l’individuazione, arricchisce la struttura psichica e
offre energie per accostarsi al nuovo. Il vertice proposto porta in
primo piano la prospettiva del divenire, del futuro sviluppo
dell’individuo, a differenza di visioni focalizzate sulla storia passata
che privilegiano le precoci vicissitudini traumatiche. La particolarità
di questo testo consiste nel continuo riferimento a Freud dal vertice
della teorizzazione di Bion, secondo uno stile di pensiero
caratteristico degli autori. - See more at:
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Il volume
propone un itinerario che prende in esame alcuni temi classici della
riflessione psicoanalitica. Al centro della teorizzazione viene
collocato l’amore per il padre. La necessaria trasformazione di questo
amore consente l’individuazione, arricchisce la struttura psichica e
offre energie per accostarsi al nuovo. Il vertice proposto porta in
primo piano la prospettiva del divenire, del futuro sviluppo
dell’individuo, a differenza di visioni focalizzate sulla storia passata
che privilegiano le precoci vicissitudini traumatiche. La particolarità
di questo testo consiste nel continuo riferimento a Freud dal vertice
della teorizzazione di Bion, secondo uno stile di pensiero
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Eugenio Gaburri, un battitore libero della psicoanalisi
Il libro postumo dello studioso scomparso di recente
di Massimo Recalcati Repubblica 25.6.13
Non sono in molti i nomi degli psicoanalisti italiani che hanno saputo
fare avanzare la dottrina della psicoanalisi in modo originale e
creativo. Franco Fornari e Elvio Fachinelli si distinguono probabilmente
su tutti. Ma al loro fianco andrebbe inserito anche il nome di Eugenio
Gaburri, scomparso all’età di 78 anni il 6 dicembre del 2012 a Milano,
dopo una lunga malattia vissuta con grande dignità e coraggio.
Medico-psichiatra, formatosi alla durezza del lavoro istituzionale a
Varese negli anni Sessanta, svolse la sua formazione tra Milano e
Ginevra e fu uno degli psicoanalisti italiani che maggiormente si
entusiasmarono per il lavoro clinico coi gruppi. Battitore libero,
insofferente alle teorizzazioni scolastiche della dottrina colpevoli di
irrigidire i concetti separandoli dall’esperienza viva dell’analisi, fu
uno dei più sensibili lettori di Wilfred Bion che contribuì, insieme a
Francesco Corrao, Claudio Neri e Antonino Ferro, a far penetrare nella
cultura psicoanalitica del nostro paese.
Amava confrontarsi senza pregiudizi e senza darsi arie con le nuove
generazioni. Ogni volta che ho potuto dialogare con lui restavo colpito
dalla assenza di chiusure ideologiche, dalla curiosità e dalla
flessibilità del suo modo di interrogare l’esperienza dell’analisi.
Lacan diceva che il peggio che possa capitare ad uno psicoanalista era
sentirsi installato come psicoanalista. Ecco questo non era accaduto a
Gaburri che non parlava dell’analisi a partire dal suo titolo di
didatta, ma sempre a partire dalle manifestazioni originali
dell’inconscio. Il suo amore per il mare non era solo un gusto estetico,
ma caratterizzava la sua tendenza ad allargare i concetti, a dilatarli
per impedire che il loro uso stereotipato ne sterilizzasse la vitalità.
Per lui, davvero, pensare era come viaggiare in barca a vela: seguire la
direzione imprevedibile del vento, farsi portare dal non ancora saputo,
dal non ancora visto. Di questo psicoanalista illuminato è stato
recentemente pubblicato, per i tipi di Raffaello Cortina, un libro
postumo, scritto a quattro mani con la sua compagna Laura Ambrosiano,
titolato Pensare con Freud. Esso conclude idealmente una sorta di
trittico preceduto dallo straordinario Ululare coi lupi (Bollati
Boringhieri, 2003) e da La spinta a esistere (Borla, 2008), pubblicati
mentre la malattia era già in corso, scritti sempre insieme ad
Ambrosiano. Si tratta di un libro splendido e imperdibile che ha un
valore testamentario. Il lettore vi troverà tutti i temi freudiani e
bioniani cari a Gaburri: la nozione di “campo”, di “capacità negativa”,
di “narcisismo e socialismo”, la spinta “impersonale” a esistere e il
problema della sua soggettivazione. Ma, soprattutto, l’idea che la
psicoanalisi non sia affatto una “cura del passato”, ma un “recupero del
futuro”, una “cura del futuro”. Da questo accento bioniano e, mi
permetterei di aggiungere, lacaniano, dell’inconscio come apertura verso
l’inedito, scaturisce tutto il valore paradigmatico che i Gaburri
assegnano alla figura freudiana della sublimazione intesa non tanto come
un processo di difesa o di soddisfazione pulsionale secondaria rispetto
a quella direttamente sessuale, ma come prototipo di ogni possibile
processo di soggettivazione e di umanizzazione della vita. In che
consiste la forza trasformativa della psicoanalisi se non nell’attivare
la capacità di sublimazione intesa come capacità di allargare il proprio
mondo, di rendere plastica la propria esperienza del corpo pulsionale,
di rendere possibile il pensiero?
Per poter accedere a questa possibilità bisogna separarsi dalla
dimensione avida e acefala degli “agiti antropofagi” della pulsione ed
apprendere ad aprirsi all’imprevisto. Scritto per resistere all’ombra
cupa e incombente della malattia e della morte, questo libro è prima di
tutto testimonianza di come vi possa essere “gaia scienza” che non
escluda la finitezza della vita. La morte, infatti, non è l’ultima
parola della vita, ma è ciò che spinge la vita a “fare spazio”
all’inedito e al non ancora pensato. In questo senso la parola
“sublimazione” diventa l’indice della possibilità dell’umano di
appassionarsi alla propria esistenza, al fine di simbolizzare «la paura
ad esistere in quanto individui separati» e di liberarsi dalla «fame
cannibalica e dalla coazione a tappare tutte le mancanze».
L’immagine dell’inconscio come serbatoio del passato, come baule dove
giacciono sepolti i nostri ricordi, viene sostituita dall’immagine
dell’inconscio come “spazio in divenire”, come forza di espansione. E’
questa la posta in gioco di ogni analisi: «allargare lo spazio mentale
dell’inconscio, venire fuori dagli intrappolamenti della coazione a
ripetere». Quando invece lo spazio per pensare si chiude, quando
l’identità si irrigidisce su se stessa, c’è massa senza mente, senza
pensiero, vita morta, passione paranoica che spinge la vita individuale e
collettiva a serrarsi nelle proprie nicchie difensive e
autoidentitarie. Diversamente, scrivono i Gaburri, l’esperienza
analitica dell’inconscio «richiede sempre di andare oltre quello che si
sa già». Per questo la mano di Eugenio Gaburri ci lascia ricordandoci
che «la cosa più importante da trasmettere ai nostri figli è proprio la
capacità di sublimazione, intesa come interesse per la vita nonostante
il dolore».
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