Risvolto
domenica 9 giugno 2013
Mito del sonderweg tedesco, necessità e difficoltà del Grande Spazio europeo
Angelo Bolaffi: Cuore tedesco. Il modello Germania, l'Italia e la crisi europea, Donzelli
Risvolto
Possiamo fare a meno della Germania? Possiamo
scrollarci di dosso l'Europa? Dietro le convulsioni della crisi,
continua a serpeggiare lo spettro di queste domande. Ma che cos'è, oggi,
la Germania? È lo stesso paese che ha rappresentato, da Bismarck in
poi, il più grande problema dell'Europa moderna, o non è intervenuto un
cambiamento epocale che l'ha trasfigurata? In principio c'è una data, il
9 novembre 1989: la caduta del Muro di Berlino. Quel giorno, nella
città simbolo della guerra fredda, è finito il Novecento, il "secolo più
violento della storia dell'umanità": si è dissolto l'ordine geopolitico
stabilito dalla seconda guerra mondiale e nel cuore del Vecchio
continente è tornata, protagonista assoluta, la Germania. A oltre
vent'anni dalla caduta del Muro, infatti, il modello tedesco si sta
rivelando il più efficiente dal punto di vista economico e il più deciso
nella difesa del sistema di welfare europeo. E alla nuova Germania è
intimamente legata l'idea stessa di una nuova Europa. Anche l'Europa, in
effetti, è uscita radicalmente trasformata da quell'evento: la generosa
speranza dei padri europeisti era nata come risposta all'epoca "di
sangue e di ferro" della guerra civile europea, avendo come presupposto
implicito la persistenza di una Germania divisa. Ma l'unificazione
tedesca ha cambiato tutto. Cosa ne sappiamo noi, oggi, di questa nuova
Germania, del gigante d'Europa che suscita nei suoi partner scarsa
simpatia e crescente apprensione? Non sarebbe meglio cercare di capirla?
La questione tedesca è chiusa. Quasi
A
colloquio con Angelo Bolaffi, che illustra l'emancipazione della
Germania: la caduta del Muro come spartiacque, l'occidentalizzazione,
Auschwitz come mito fondante
di Paolo Valentino Corriere La Lettura 9.6.13
«Quando Thomas Mann formulò la famosa drammatica alternativa
tra una Germania europea e un'Europa tedesca, aveva memoria delle tragedie
della Storia... Oggi è possibile ipotizzare che l'Europa si germanizza proprio
e nella misura in cui la Germania si è completamente e convintamente
europeizzata. Liquidare la questione tedesca significa infatti costruire
finalmente l'Europa. E la Germania ha la forza, l'interesse e soprattutto la
necessità storica e morale di farlo». Si chiude così il libro che Angelo
Bolaffi, filosofo della politica e tra i pochi germanisti italiani di fascia
alta, pubblica per Donzelli. Cuore tedesco è un viaggio colto, avvincente e
rigoroso dentro un triangolo in pieno corto circuito — il modello Germania, l'Italia
e la crisi europea — che non nasconde l'ambizione di colmare una lacuna più che
evidente, oggi, nel nostro Paese: non si tratta tanto di amare la Germania,
spiega l'autore a «la Lettura», quanto «di capirla e conoscerla, forse
cominciando a vedere se è possibile pensare alla Storia d'Europa dal e non
contro il punto di vista tedesco».
L'evento intorno al quale ruota la narrazione del libro è la caduta del Muro di
Berlino, «spartiacque spirituale, equivalente geopolitico della presa della
Bastiglia, rappresentazione simbolica e fisica del crollo di tutti i
presupposti storici e strategici dell'integrazione europea». Piaccia o no,
l'Europa aveva un padre e una madre: il problema tedesco e la minaccia
sovietica. Sparito il Muro, venne meno la sua placenta.
Bolaffi ricostruisce il panico di cui furono preda i leader politici europei:
Thatcher, Mitterrand, Andreotti, ognuno a suo modo, cercarono di ostacolare
l'ipotesi dell'unità tedesca. «Fu uno scherzo della Storia, imprevisto e non
voluto. C'erano due strade: costruire l'Europa politica, come proponevano i
tedeschi. Oppure, quella indicata in un secondo tempo da Mitterrand, che
riprese il Piano Delors e indicò la prospettiva della moneta unica: l'idea era
di togliere alla Germania la sua particolare bomba atomica, il marco. Kohl,
nonostante il parere contrario di tutti gli economisti, disse che non si poteva
tradire il mandato europeista e dette il suo accordo. Funzionò all'inizio. Ci
si illuse che l'euro fosse da solo la garanzia della stabilità tedesca portata
a tutta l'Europa. Ma senza sovrano, senza pagatore di ultima istanza e senza
unione politica, non poteva funzionare nel lungo periodo. Oggi, quando la
cancelliera Merkel dice che bisogna correggere gli errori iniziali dell'euro,
dice una cosa vera».
Il che non assolve del tutto la classe politica berlinese. «La tesi del libro è
che il modello socio-economico tedesco non è solo quello socialmente più
inclusivo ed equo, ma anche quello più efficace dal punto di vista produttivo.
E per questo ha vinto, mettendo la Germania in una condizione egemonica. Ma a
questa condizione oggettiva non ha corrisposto una cultura di governo
dell'egemonia da parte delle élite tedesche. Soprattutto negli ultimi anni,
sono state riluttanti: in effetti non hanno deciso di assumersi in pieno le
responsabilità imposte dalla Storia, dalla collocazione geopolitica e
dall'economia. Detto questo, la cancelliera Merkel è stata l'unico leader
europeo a visitare tutti i 27 Paesi dell'Unione, pur sapendo che in alcune
capitali sarebbe stata accolta malissimo. È la dimostrazione che si rende conto
della responsabilità egemonica della Germania. E parlo di egemonia in senso
gramsciano, quindi benevola, gentile, che organizza il consenso e non impone
agli altri la propria volontà».
Bolaffi individua una delle cause della crisi attuale nell'abbandono della
Germania da parte dell'Italia. È un'analisi intrigante, che indica il nostro
Paese, insieme all'Urss, come uno dei due perdenti della Guerra Fredda. Nel
1989, Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna erano grosso modo sullo stesso
livello dal punto di vista della potenza politico-economica. Caduto il Muro
l'equilibrio strategico si è allontanato dal Reno, spostandosi verso l'Elba,
isolando Francia e Italia. La Germania, anche sul piano demografico, è
diventata il Paese decisivo. Francia e Gran Bretagna hanno compensato in
qualche modo con l'antico status di potenze vincitrici, il seggio al Consiglio
di Sicurezza e l'arma nucleare. Mentre l'Italia si è ritrovata su una faglia
geopolitica in pieno movimento sussultorio.
Avremmo potuto gestire diversamente quella fase? «Sì, se avessimo capito ed
elaborato cosa significava. Ricordo che firmammo Maastricht, un accordo che
vincolava le generazioni future, senza un dibattito parlamentare, invano invocato
dal solo Marco Pannella. Guido Carli commentò "non sanno cos'hanno
fatto". In quel momento rinunciammo ai pilastri del sistema italiano,
governi deboli e moneta debole. Il modello vincente fu quello tedesco, governi
stabili e moneta stabile. Ci abbiamo provato dieci anni dopo, col governo
Prodi-Ciampi, facendo uno sforzo sovrumano per entrare subito nell'euro.
Qualcuno fece cadere Prodi e lì abbiamo perso non solo la Guerra Fredda, ma
anche la battaglia con noi stessi. Poi venne il decennio berlusconiano, che non
solo ha snaturato la tradizione italiana dell'europeismo, ma ha sprecato un
tempo prezioso nel quale, grazie all'euro, prima che scoppiasse la crisi dei
mutui in America e il contagio si estendesse all'Europa, avevamo avuto gratis
uno spread ai minimi storici. In quegli anni, mentre la Germania si
ristrutturava grazie all'Agenda 2010, l'Italia dilapidò quel tesoretto per una
politica di sperpero pubblico».
Bolaffi pensa tuttavia che siamo ancora in tempo per aprire una nuova pagina.
Non crede, al contrario del ministro degli Esteri, Emma Bonino, che proprio la
drammaticità della situazione rilanci l'ipotesi del federalismo. Obietta che «i
popoli, non i governi hanno già detto di no alla Costituzione europea, il più
generoso tentativo di darsi una struttura federale». E critica l'idea che
«l'unica istanza democratica sia il Parlamento europeo isolato da quelli
nazionali». Sostiene invece che «bisogna costruire una legittimità nuova,
fondata su quest'ultimi». Gli Stati Uniti d'Europa, a differenza di quanto
succede in America ed è scritto sul dollaro, ex pluribus unum, dovranno
rimanere ex pluribus plures, salvaguardando la loro incomparabile ricchezza di
culture e di linguaggi».
Tornando a Thomas Mann e alla dicotomia di cui il libro celebra il superamento,
perché questa Germania è diversa? «Perché è post tedesca. Peter Sloterdijk
parla di metanoia, di auto-ravvedimento della Germania. C'è stata una
occidentalizzazione politica, iniziata da Adenauer. Poi c'è stata
l'occidentalizzazione dello spirito tedesco, avvenuta attraverso la riscoperta
della colpa tedesca della Shoah, i conti col passato innescati dalla
generazione del Sessantotto. Auschwitz è diventato il mito fondante della
Repubblica Federale. Sulla base di questo ravvedimento, che è stato spirituale,
politico, storico, oggi la Germania è un Paese più europeo degli altri».
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