Moreno Montanari: Vivere la filosofia, Mursia pagg. 314 euro 14
Uscire dalla crisi con la filosofia
Una proposta originale nel saggio di Moreno Montanari
di Umberto Galimberti Repubblica 3.7.13
Stiamo attraversando un periodo di crisi oggettiva e soggettiva. La
crisi oggettiva è determinata dal fatto che le leggi del mercato
confliggono con il mondo della vita: dai giovani che non trovano lavoro,
agli occupati che lo perdono, dagli imprenditori che chiudono le loro
imprese, all’aumento progressivo e generalizzato della soglia dalla
povertà. E la domanda che spontanea e drammatica sorge è quella del
filosofo Franco Totaro: «Ma i fini dell’economia sono anche i nostri
fini?».
La crisi soggettiva è determinata dalla rassegnazione generalizzata,
perché il conflitto non è più tra imprenditori e lavoratori, perché sia
gli uni che gli altri si trovano dalla stessa parte e han-no come
controparte il mercato. E come fai a prendertela con il mercato? Il
mercato è nessuno, anche se il filosofo Romano Madera ci ricorda che,
come leggiamo in Omero: «Nessuno è sempre il nome di Qualcuno», ma
questo Qualcuno non è identificabile.
Da questa considerazione prende avvio il libro, di Moreno Montanari,
Vivere la filosofia (Mursia, 2013, p. 154, 14 euro), la cui lettura
consiglio a tutti, perché segnala come una possibile via d’uscita quella
di tornare al messaggio che la filosofia, al suo nascere e prima di
diventare disciplina di Accademie, ha consegnato all’uomo, invitandolo a
rispettare la sua natura che, a differenza di quella animale, non si
accontenta della realtà quale è data, ma la vuole trascendere, la vuole
oltrepassare, rifiutando la rassegnazione, il cinismo, i vissuti di
impotenza, gli atteggiamenti vittimistici e persino l’indignazione, se
poiquesta lascia le cose così come sono.
La filosofia, infatti, non è nata come “teoria”, ma come “rifiuto a
imprigionare la vita in ciò che è”, e quindi nell’accettazione
rassegnata del dato, nell’inerzia che non promuove la problematizzazione
dell’ovvio, dell’opinione diffusa e acriticamente accolta come
inoltrepassabile, riducendo l’uomo, da attore della propria vita, a
semplice spettatore e vittima di poteri che lo sovrastano e,
soggiogandolo, ne decidono il destino. Si tratta della filosofia che si
pone domande non tanto per trovare risposte teoriche, ma, come scrive
María Zambrano, per indurre gli uomini ad «essere loro stessi risposte
che mettono in moto la vita».
Per questo occorre superare lo sguardo individualistico che giudica lo
stato delle cose dall’angolatura ristretta del proprio punto di vista, e
guardarle nella prospettiva del Tutto, dove la scala dei valori subisce
una radicale trasformazione. E allora diventeremo responsabili delle
sorti dell’aria, dell’acqua, della biosfera, della vegetazione, della
sorte degli animali, in una parola della Terra, nei confronti della
quale non abbiamo ancora formulato alcuna etica, perché finora abbiamo
limitato l’etica a regolare i conflitti tra gli uomini, ma non ancora a
farsi carico degli enti di natura. E già la Terra non regge, se è vero,
come ci informa il “Global Footprint Network”, che se tutti vivessimo
con lo stile divita americano avremmo bisogno di cinque terre, e con lo
stile italiano di 2,7. Quello di guardare le cose dall’alto e non dal
nostro particolare punto di vista, quello di pensarci parte di un Tutto e
non al vertice del creato è il primo esercizio filosofico trasmessoci
dagli antichi Greci, e divenuto per la prima volta nella storia umana
particolarmente concreto con la globalizzazione.
Un altro esercizio filosofico è quello indicato da Platone come
“esercizio di morte” dove l’aver presente che si deve morire, si
trasforma, come scrive Pierre Hadot, nell’invito a “ricordarsi di
vivere”, e quindi a fare una nuova gerarchia dei nostri bisogni e
desideri soprattutto in riferimento a quelli superflui, una diversa
gradazione delle nostre urgenze e dei nostri valori, una più
significativa valorizzazione delle nostre relazioni affettive, in una
parola un modo nuovo di essere uomo, non appiattito sulle istanze del
presente, ma prospettico e rivolto al futuro, non col tratto passivo di
chi spera o attende, ma con quello attivo, conforme alla natura propria
dell’uomo che non si consegna alla realtà di fatto, ma vuole
oltrepassarla.
Questi sono alcuni degli esercizi filosofici ben illustrati ed
esemplificati da Moreno Montanari. Altri se ne aggiungono come la
scrittura meditativa che riflette sui testi che leggiamo, disposti a
farci modificare da loro non solo in ordine alle nostre idee ma
soprattutto in ordine alla nostra esperienza, accompagnati in questo da
quell’atteggiamento che è l’amore, che per Platone è “filo-sofo”, perché
non possiede l’altro, come la filosofia, che non possiede la verità, ma
la cerca perché la ama.
Si dirà: con questi esercizi filosofici si trasforma se stessi, ma non
il mondo. Non è vero perché, come ci ricorda Michel Foucault ne La cura
di sé:«Il punto di Archimede sul quale posso da parte mia sollevare il
mondo è la trasformazione di me steso», perché «quando riusciamo a
curare le ferite del nostro mal di vita – scrive Montanari – ne
beneficiano tutte le persone che intrecciano la loro esistenza con la
nostra, mentre quando ciò non riesce finiamo inevitabilmente per
intossicarle». La lezione di “vivere la filosofia” è impartita, ora
spetta a noi praticarla.
Nessun commento:
Posta un commento