mercoledì 9 ottobre 2013
Il congresso dell'Associazione italiana di sociologia
INCONTRI
TAGLIO MEDIO - Vanni Codeluppi il manifesto 2013.10.08 - 11
Dal 10 al 12 ottobre si svolgerà a Firenze il convegno nazionale
dell'Ais, l'Associazione Italiana di Sociologia, che ha per titolo «La
qualità del sapere sociologico». Durante l'incontro, circa mille
sociologi italiani discuteranno della crisi di questa disciplina delle
cosiddette scienze sociali. Qualche tempo fa su tale crisi si è
sviluppato anche un acceso dibattito che ha coinvolto molti accademici
dopo la pubblicazione di un lungo intervento sul portale
dell'Enciclopedia Treccani di Guido Martinotti, recentemente scomparso e
ricordato proprio dal convegno di Firenze, insieme ad Antonio De Lillo.
Alcuni sociologi hanno persino parlato di scomparsa della società o di
ingresso nell'era della post-società. L'ha fatto per primo, nel 2000,
l'inglese John Urry in Sociology Beyond Societies e l'ha fatto nelle
ultime settimane anche un «grande vecchio» della sociologia europea come
Alain Touraine, che ha dedicato più di 600 pagine a questo tema con il
volume La fin dessociétés (Seuil, pp. 656, euro 28).
La discussione
sulla crisi della sociologia è avviata negli anni Ottanta, quando tale
disciplina ha smesso di ricoprire il ruolo che si era autoassegnata sin
dai suoi esordi nella seconda metà dell'Ottocento: analizzare, per
svelarne il funionamento, la società. È stata una disciplina usata sia
per rafforzare gli assetti di potere nella società capitalistica, ma
anche da parte di chi l'ha usata, forzandone anche i confini, per una
critica delle strutture di potere domeninanti. Negli anni Ottanta del
Novecento, tuttavia la sociologia, in Europa e Negli Stati Uniti, ha
messo da parte i concetti e i preziosi insegnamenti dei suoi autori
classici, cominciando ad interrogarsi su concetti astratti come quello
di «complessità», abbandonando temi chiave come «stratificazione» e
«conflitto».
I radicali cambiamenti sociali avvenuti negli ultimi
decenni hanno certamente reso i tradizionali strumenti di analisi della
sociologia meno efficaci di un tempo, ma questo non deve impedire a tale
disciplina di rinunciare a portare avanti il suo sforzo di comprensione
della natura e delle dinamiche delle società. Certo, è evidente che
oggi, come le altre scienze umane, essa è costretta a fronteggiare
l'aggressivo attacco che le viene rivolto dagli ambiti scientifici
aperti dalle nuove possibilità tecnologiche. Come il trattamento dei
cosiddetti «big data» o le ricerche delle neuroscienze, che promettono
di sostituire quella soggettività interpretativa che la caratterizza con
le certezze offerte dalla possibilità di trattare grandi quantità di
datio dalle immagini che mostrano il cervello in azione. Ma questi nuovi
ambiti, seppure estremamente rassicuranti, sono destinati a mostrare
prima o poi la loro fallibilità. Ignorano, infatti, che registrare dei
comportamenti è qualcosa che riguarda inevitabilmente il passato. Mentre
è soltanto individuando e interpretando le cause di tali comportamenti
che si può tentare di comprendere almeno in parte quello che avverrà.
La home del convegno
ARTICOLO - Francesco Antonelli il manifesto 2013.10.19 - 11
RICERCA · Le scienze sociali nella crisi della «società della conoscenza»
Una disciplina in cerca di identità
Un'intervista con Paola Di Nicola, nuova presidente dell'«Associazione italiana dei sociologi»
Come risultato della travagliata storia che
ha caratterizzato la sociologia italiana e la sua istituzionalizzazione
nell'Accademia, profondamente avversate sia dal fascismo sia dalla a
lungo egemone cultura idealista, l'Associazione Italiana di Sociologia
(Ais) si è costituita solo nel 1983 (molto in ritardo rispetto ad altre
analoghe Società, se si pensa che l' American Sociological Association è
nata nel 1905) con l'intento di rappresentare un punto di raccordo per
una «comunità» si studiosi caratterizzata da un ampio pluralismo
politico-culturale e territoriale, se non di una vera e propria
frammentazione. Da allora, con cadenza triennale, si svolge il Convegno
Nazionale attraverso il quale gli «scienziati sociali» cercano di
riflettere sullo stato dell'arte della loro disciplina e per discutire
sui cambiamenti che investono la società italiana. A differenza delle
più recenti edizioni, l'ultima, che si è svolta a Firenze e dedicata ad
Antonio De Lillo e Guido Martinotti, studiosi di fama internazionale
recentemente scomparsi, si è concentrata sulla «qualità del sapere
sociologico». In realtà, a dispetto di quello che potrebbe sembrare a
prima vista, è un tema che entra nel cuore stesso delle dinamiche
sociali contemporanee. Discutere del sapere sociologico significa
infatti andare al cuore delle trasformazioni sociali che hanno investito
il capitalismo contemporaneo. La rinuncia a fare ciò determina, secondo
il neo direttore della London School of Economics Craig Calhoun, una
marginalizzazione delle delle scienze sociali sia nelle università che
nel più generale mondo della ricerca sociale. Calhoun lo ha fatto,
partendo, dalla perdita di potere perfomativo della «nuova utopia» della
fine del XX secolo, la cosiddetta «società della conoscenza», a causa
della metamorfosi che ha assunto sotto i colpi della crisi economica
globale. In alcuni contesti, invece, come quello australiano, anche in
presenza di rilevanti tassi di crescita economica, è in atto una
riduzione dei finanziamenti pubblici ai Dipartimenti di Scienze Sociali,
proprio mentre cominciano ad essere inglobati nell'ambito degli studi
aziendalistici o nel marketing. In sintesi, la sociologia, forse più di
altre scienze sociali, vive la sua riduzione a semplice «sapere
pratico», perdendo così la sua tensione ad essere anche interrogazione
critica e razionale sull'azione collettiva e dei rapporti di potere
esistenti nella realtà sociale. Di questi temi abbiamo parlato con Paola
Di Nicola, ordinaria di sociologia all'Università di Verona e
neo-eletta Presidentessa dell'Ais. Dopo 16 anni (dall'elezione di Laura
Balbo nel 1998) le sociologhe e i sociologhi italiani hanno scelto
nuovamente una donna come presidente. In più, nel 2011 è nata una
sezione di «Studi di Genere» nell'Associazione. Nonostante questo, dai
dati Istat leggiamo che l'Università (e la stessa sociologia) è ancora
molto lontana da una condizione di effettiva parità tra uomini e donne.
Secondo Lei cosa occorrerebbe fare per superare queste storture? Al di
là di dire che il problema è culturale e generazionale, per cui in
prospettiva le cose miglioreranno, credo che alcune iniziative si
potrebbero intraprendere. In particolare si potrebbe fare passare il
principio che nelle strutture, in questo caso universitarie, in cui il
rapporto numerico uomo-donna sia particolarmente sfavorevole per le
donne, nell'assunzione di personale, anche docente, a parità assoluta ed
effettiva di merito, la preferenza sia data alla donna. Pratica che
dovrebbe venire meno quando la parità o quasi-parità numerica sia
raggiunta. Una palese discriminazione al positivo, che verrebbe a
colmare la tradizionale e spesso silenziosa discriminazione di cui le
donne sono state e sono ancora vittime. Come presidente dell'Ais quali
sono i principali obiettivi che si propone di realizzare per il suo
mandato? L'università sta vivendo da anni momenti di grandi cambiamenti e
turbolenze, i cui effetti futuri sono ancora tutti da valutare. I
problemi sono molti, ma credo che sia necessario in questo momento
affrontare in prima battuta il temaproblema del reclutamento dei docenti
universitari, il cui futuro, in termini di ingresso e di carriera, è
diventato incerto, oltre che sempre più complesso. È importante
impegnarsi perché torni la figura del ricercatore a tempo indeterminato e
perché nei concorsi di prima e seconda fascia i candidati concorrano
per posti e posizioni reali e non per avere una idoneità a termine che
non sempre può essere spesa come credenziale per lavorare in università o
in altre istituzioni. Pensa che le scienze sociali oggi godano di buona
salute in Italia? In Italia, come del resto in tanti altri paesi
cosiddetti «sviluppati», le scienze sociali hanno perso la loro
legittimazione. Si ritiene che nelle società ad elevata
industrializzazione o postindustriali sia valido e utile (produttore di
ricchezza) solo il sapere tecnico. Si tagliano i corsi in scienze
umanistiche e sociali e nei corsi tecnici si eliminano le materie
umanistiche. Non si finanzia la ricerca in tali settori. Si dimentica
che il sapere umanistico e sociale è alla base del pensiero critico e
della crescita della auto-consapevolezza dei cittadini e non si vuole
dire che un tecnico «ignorante» è un ottimo esecutore. Il sociologo del
XXI secolo, quello che viene formato nelle università, dovrà essere più
un «tecnico» o più un «intellettuale», un professionista oppure
mantenere alta anche una funzione critica e di stimolo per la società? E
quale delle due figure servirebbe di più alla società italiana? Esiste
un ricco bagaglio di conoscenze metodologiche e tecniche di ricerca che
il sociologo possiede e che è giusto che venga messo al servizio della
professione. Sociologi non ci si improvvisa e non diventa per caso.
Tuttavia l'applicazione di una «tecnica» non è mai neutrale, per cui è
importante che il sociologo conservi una sua funzione di analisi critica
dei fenomeni sociali su cui è chiamato a riflettere e agire, per avere
spazi di negoziazione con la committenza e una visione realistica della
situazione in cui si muove. Credo che in questo momento, sia importante
poter contare non solo su bravi tecnici ma anche su analisti seri e
«realistici», che diano il senso di dove sta andando o non andando la
nostra società. Nell'ambito della grave crisi economica che ha colpito
il nostro paese, spesso si è sentita la mancanza della voce della
sociologia, intesa come comunità intellettuale, nel dibattito pubblico
italiano. Michel Burawoy, presidente dell'«International Sociological
Association», parla da anni di Sociologia Pubblica come modo di
impostare il rapporto tra sociologia e società, in un momento in cui si
ha sempre più bisogno di riflessione critica e sempre meno occasioni per
costruirla. Cosa pensa di questo programma? Crede che sia adatto al
contesto italiano? Negli accesi dibattiti sul destino del nostro mondo
spesso il palcoscenico dei sociologi è stato occupato da altri
specialisti. Ma non dimentichiamoci che uno dei più significativi e
profondi interpreti del disagio della società globale è il sociologo
Zygmunt Bauman. Ma a parte questa considerazione, che può suonare come
una consolazione, è vero che la comunità dei sociologi è poco
intervenuta nel dibattito, forse perché in questi ultimi decenni alcuni
temi cari alla sociologia classica quali le disuguaglianze, l'esclusione
sociale, i diritti di cittadinanza sono stati poco frequentati dal
punto di vista delle ricerche empiriche. Credo che su questi temi e
tanti altri cruciali si possa tentare di impostare una Sociologia
Pubblica, che voglia costruire un rapporto con la società centrato sulla
riflessione critica.
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