La Monarchia è lo scritto in cui Dante intende dimostrare la necessità di un impero universale a governo del mondo, un impero che nella sua visione si identificava con quello germanico erede di Roma antica e doveva agire senza il condizionamento dall’autorità papale. Fin dal prologo Dante dichiara che questa è l’opera attraverso la quale soprattutto egli ritiene di recare un proprio contributo al bene dell’umanità, portando alla luce conoscenze fino a quel momento trascurate, e si propone in questo modo ad un tempo come scienziato della politica e come profeta di verità nascoste: un profilo molto alto, dunque, che mostra la centralità del trattato e del suo tema nella storia biografica e poetica dell’autore. Il volume comprende il testo dell’opera dantesca, una nuova traduzione italiana e un commento che insiste parallelamente sul piano filosofico e su quello letterario, per renderli correttamente decifrabili dal lettore d’oggi. In appendice sono pubblicati il volgarizzamento italiano quattrocentesco della Monarchia eseguito da Marsilio Ficino; le glosse al testo composte da Cola di Rienzo; e tre opere che illustrano il contesto ideologico in cui nacque ed ebbe prima diffusione il trattato dantesco.
martedì 8 ottobre 2013
Luciano Canfora sulla Monarchia di Dante
Nuova Edizione Commentata delle Opere di Dante - IV, pp. CLII-600
Risvolto
La Monarchia è lo scritto in cui Dante intende dimostrare la necessità di un impero universale a governo del mondo, un impero che nella sua visione si identificava con quello germanico erede di Roma antica e doveva agire senza il condizionamento dall’autorità papale. Fin dal prologo Dante dichiara che questa è l’opera attraverso la quale soprattutto egli ritiene di recare un proprio contributo al bene dell’umanità, portando alla luce conoscenze fino a quel momento trascurate, e si propone in questo modo ad un tempo come scienziato della politica e come profeta di verità nascoste: un profilo molto alto, dunque, che mostra la centralità del trattato e del suo tema nella storia biografica e poetica dell’autore. Il volume comprende il testo dell’opera dantesca, una nuova traduzione italiana e un commento che insiste parallelamente sul piano filosofico e su quello letterario, per renderli correttamente decifrabili dal lettore d’oggi. In appendice sono pubblicati il volgarizzamento italiano quattrocentesco della Monarchia eseguito da Marsilio Ficino; le glosse al testo composte da Cola di Rienzo; e tre opere che illustrano il contesto ideologico in cui nacque ed ebbe prima diffusione il trattato dantesco.
La Monarchia è lo scritto in cui Dante intende dimostrare la necessità di un impero universale a governo del mondo, un impero che nella sua visione si identificava con quello germanico erede di Roma antica e doveva agire senza il condizionamento dall’autorità papale. Fin dal prologo Dante dichiara che questa è l’opera attraverso la quale soprattutto egli ritiene di recare un proprio contributo al bene dell’umanità, portando alla luce conoscenze fino a quel momento trascurate, e si propone in questo modo ad un tempo come scienziato della politica e come profeta di verità nascoste: un profilo molto alto, dunque, che mostra la centralità del trattato e del suo tema nella storia biografica e poetica dell’autore. Il volume comprende il testo dell’opera dantesca, una nuova traduzione italiana e un commento che insiste parallelamente sul piano filosofico e su quello letterario, per renderli correttamente decifrabili dal lettore d’oggi. In appendice sono pubblicati il volgarizzamento italiano quattrocentesco della Monarchia eseguito da Marsilio Ficino; le glosse al testo composte da Cola di Rienzo; e tre opere che illustrano il contesto ideologico in cui nacque ed ebbe prima diffusione il trattato dantesco.
E Dante immaginò il potere globale
Nella Monarchia, la più compiuta e moderna delle sue opere dottrinali, Dante si schierava contro l'ingerenza della Chiesa nei confronti del potere laico e proclamava l'uguaglianza delle due autorità. Il suo cuore batteva per l'impero
di Luciano Canfora Corriere 7.10.13
La Monarchia, che non è solo la più compiuta
delle opere dottrinali di Dante, ma anche la più moderna, fu messa
dalla Chiesa all'Indice dei libri proibiti, nel primo «indice» elaborato
dal Sant'Uffizio nel 1559. La ragione di ciò è molto semplice: ad una
lettura disincantata appare evidente che il grande poeta cristiano del
Medioevo, che aveva messo la teologia in poesia allo stesso modo in cui
Lucrezio aveva messo in poesia la fisica epicurea, si schierava — col
suo trattato politico — contro l'ingerenza della Chiesa nei confronti
del potere laico e proclamava la totale uguaglianza e parità delle due
autorità. Pur consapevoli del rischio di frettolosi cortocircuiti,
possiamo ben collocare quel trattato al vertice di una nobile, ma non
folta tradizione rappresentata emblematicamente dalla formula cavouriana
«libera Chiesa in libero Stato». Quel celebre e davvero memorabile
discorso parlamentare di Cavour, malvisto dal sanfedismo del tempo suo,
era in realtà sommamente rispettoso della dignità e della libertà della
Chiesa. È storia nota come la Chiesa abbia impiegato moltissimo tempo a
comprendere questo e a prenderne atto e ad agire di conseguenza:
agevolata in ciò dalla definitiva perdita del potere temporale, ma
rallentata in tale processo dal diverso e spesso altalenante
orientamento dei pontefici volta a volta regnanti. I quali — in quanto
sovrani assoluti e depositari perciò di poteri vastissimi — possono
imprimere rapide e radicali inversioni di rotta. Come vediamo ancora
oggi.
Resta il fatto che il cuore di Dante batte per l'impero (si passi
l'espressione metaforica). Nel primo libro di questo trattato sulla
monarchia, Dante dimostra che la monarchia universale è necessaria al
benessere terreno in quanto permette, tramite la pace universale che ne è
il portato, il fine supremo: l'attuazione e il pieno dispiegamento
dell'intelletto in ambito speculativo e in ambito pratico. Nel secondo
libro rivendica, come già nel Convivio, al popolo romano il diritto
all'impero. Nel terzo affronta il tema più delicato: la monarchia
universale trae il suo diritto e la sua legittimità direttamente da Dio,
non attraverso la mediazione papale, non ha cioè bisogno del «Vicario».
E la nota ancora più audace, che dà il tono e il senso all'intero
trattato, consiste nel proclamare che il fine naturale dell'uomo — cioè
la perfetta moralità sorretta dalla filosofia — è autonomo rispetto al
fine soprannaturale che a sua volta consiste nella felicità eterna,
verso cui l'uomo è guidato dalla «rivelazione». Come l'impero è autonomo
dalla Chiesa, così la ragione lo è rispetto alla fede.
Questo impianto teorico spiega bene perché a Giustiniano, cioè
all'imperatore cesaropapista per eccellenza, venga riservato un posto di
così grande spicco nel Paradiso di Dante e a lui tocchi di tessere
l'esaltante elogio di Giulio Cesare. Elogio che stride con il
privilegiato trattamento ammirativo riservato al nemico implacato di
Cesare, cioè Catone Uticense, quale guardiano del Purgatorio.
Ma soprattutto non sfuggirà la forte carica utopica che è racchiusa in
tutto il trattato: l'idea di una pace universale conseguente all'unico
governo universale. Tale governo però viene concepito non già come
sostitutivo dei molteplici poteri statali e comunali già esistenti, ma è
sovraordinato ad essi. Non si tratta di «un governo di tutti i popoli
fusi in un solo Stato, ma di una suprema giurisdizione, fatti salvi gli
Stati particolari con proprie leggi e propri governi» (Luigi Russo). Non
è chi non veda in tale concezione l'utopia anticipatrice di una istanza
che sempre fu viva, e che al tempo nostro è antidoto indispensabile
all'arroganza di singole potenze inclini ad attribuirsi unilateralmente
il ruolo di gendarmi del mondo.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento