INGRAO, LO HA SCRITTO E DETTO TANTE VOLTE, NASCE POETA, AMANTE DELLA LETTERATURA DEL SUO TEMPO E, IN SEGUITO, SI AVVICINA AL CINEMA ISCRIVENDOSI CON L’AMICO fraterno Gianni Puccini all’appena nato Centro sperimentale di cinematografia dove, tra parentesi, insegnava anche il russo Pietro Sharov al quale, dagli anni Cinquanta e fino alla sua morte, mi legherà una profonda amicizia. Ingrao ci racconta del suo entusiasmo giovanile per le scoperte di Chaplin e dei grandi registi russi, del valore dell’insegnamento di un Umberto Barbaro e degli incontri formativi con un Rudolf Arnheim. Insomma, pare avviato a una brillante carriera nel cinema quando, del tutto improvvisamente, abbandona il Centro sperimentale (...).
martedì 8 ottobre 2013
Maalox plus
L’anticipazione La lezione dello scrittore sull’ex presidente della Camera fa parte del primo volume della collana «Carte Pietro Ingrao» in uscita per le edizioni Ediesse
Il dubbio di Pietro che cambiò Ingrao
Camilleri racconta il leader del Pci: un viaggio dalla poesia alla politica
di Andrea Camilleri l’Unità 7.10.13
INGRAO, LO HA SCRITTO E DETTO TANTE VOLTE, NASCE POETA, AMANTE DELLA LETTERATURA DEL SUO TEMPO E, IN SEGUITO, SI AVVICINA AL CINEMA ISCRIVENDOSI CON L’AMICO fraterno Gianni Puccini all’appena nato Centro sperimentale di cinematografia dove, tra parentesi, insegnava anche il russo Pietro Sharov al quale, dagli anni Cinquanta e fino alla sua morte, mi legherà una profonda amicizia. Ingrao ci racconta del suo entusiasmo giovanile per le scoperte di Chaplin e dei grandi registi russi, del valore dell’insegnamento di un Umberto Barbaro e degli incontri formativi con un Rudolf Arnheim. Insomma, pare avviato a una brillante carriera nel cinema quando, del tutto improvvisamente, abbandona il Centro sperimentale (...).
Ingrao ne fornisce una sua spiegazione. Scrive che l’abbandono del
Centro sperimentale fu motivato in sostanza dal contraccolpo provato per
l’inizio della guerra di Spagna. Considero questo un punto
assolutamente nodale del suo percorso, ma Ingrao mi pare che si limiti
sempre a farne breve cenno. Forse per un alto senso di pudore. Perché
penso che la guerra di Spagna invece sia stata per lui qualcosa di più
di un tragico impatto, sia stato un autentico, squassante cortocircuito.
Penso che Ingrao ebbe in quel momento la lucida percezione di quello
che in realtà veniva a significare la guerra di Spagna e ne ebbe
esistenziale sgomento. Su di lui, sulla sua sensibilità, gravavano già
da tempo quelli che Vittorini avrebbe chiamato «i dolori del mondo
offeso» e la guerra di Spagna consisteva in un insopportabile aggravio
dell’offesa (...).
Ecco, sono convinto che Ingrao venne allora preso da un dubbio che
indirizzò diversamente la sua vita: il dubbio cioè che l’arte da sola e
in sé, e in quel momento specifico, fosse assolutamente inadeguata a far
barriera contro il fascismo(...). Quindi dal dubbio nasce un meditato
agire. Il dubitare di Ingrao è sempre, come dire, la messa in moto di un
motore che attivamente elabora il che fare più attinente al fine
proposto. In altri termini, non è mai la messa in dubbio del perché, ma
del come (...).
Ma c’è un altro punto nodale nella vita politica di Ingrao che, ai miei
occhi, ha la stessa valenza di quello del 1936. È la richiesta da lui
fatta, nel 1966, nel corso dell’XI congresso del partito, di libertà del
dissenso. Com’è logico supporre, una tale ardita richiesta all’interno
di una struttura rigida, gerarchica e centralista non può essere che la
disperata, e ormai non più cancellabile somma finale di un innumerevole
dubitare accumulato nel corso degli anni. E questa somma finale ha una
precisa definizione: dissenso.
Perché questo dissenso? Scrive Ingrao: «In quella mia rivendicazione di
libertà del dissenso c’era non solo il drammatico stimolo che era venuto
dalla rivelazione dei delitti di Stalin, ma una convinzione più
profonda che aveva anche a che fare con una riflessione sull’esistere.
Mi muoveva non solo la tutela della libertà d’opinione, ma ancor più la
convinzione che il soggetto rivoluzionario era un farsi del molteplice:
l’incontro fluttuante di una pluralità oppressa che costruiva e
verificava nella lotta il suo volto».
«Un farsi del molteplice». È in sostanza, anche questa, una crisi
esistenziale e politica che nasce dalla crisi di una certa concezione
ristretta della politica e postula una sua rifondazione nel recupero di
quella che Hanna Arendt chiamava la politica perduta, vale a dire quella
messa in rapporto diretto tra gli uomini, attraverso un’azione che
corrisponda alla condizione umana della pluralità, della molteplicità.
Anche se tutti gli aspetti della nostra esistenza sono in qualche modo
connessi alla politica scrive la Arendt questa pluralità è
specificamente «la» condizione non solo la condicio sine qua non, ma la
condicio per quam di ogni vita politica(...).
Allora, qual è la funzione positiva del dubbio secondo Ingrao? Sentiamo
le sue parole: «Mi appassionava la ricerca. E il dubbio mi scuoteva,
vorrei dire: mi attraeva. Vedevo in esso un’apertura alla complessità
della vita. Dubitare mi sembrava l’impulso primo a cercare: aprirsi al
‘molteplice’ del mondo...». E ancora: «Il dubbio per me non significava
povertà: anzi apertura di orizzonti, audacia nel cercare. Sì, vivevo il
piacere del dubbio. E avvertivo anche una ricchezza per
quell’interrogarsi, cercando. Come se il mondo nella sua problematicità
si dilatasse intorno a me». «Dubitare mi sembrava l’impulso primo a
cercare», afferma Ingrao (...).
Il dubbio allora nasceva non dall’opportunità ma dalla necessità di
accogliere o meno le inevitabili modificazioni che quelle basilari
opinioni via via subivano nel convulso procedere della Storia, senza che
però ne intaccassero la verità di fondo. È stato il secolo che ha
avuto, rispetto a quelli che l’hanno preceduto, una massa, proprio nel
senso che vien dato in fisica a questo termine, di gran lunga superiore.
La qualità del dubbio di Ingrao perciò non attiene alla sfera del
sistematicismo o se volete dello scetticismo, ma assume il carattere di
un procedimento metodico di volta in volta tendente a un fine, a uno
scopo: e cioè la verifica del fondamento di una ulteriore certezza.
Ingrao non dubita di tutto ciò che è dubitabile, forse questa posizione è
più di un filosofo che di un politico, Ingrao limita il suo dubbio a
quando scopre che su un dato argomento, su una precisa posizione, si può
dubitare della possibilità del dubbio. È un dubitare a posteriori. Una
postulazione di verifica.
Ma pur entro questi limiti, l’esercizio del dubbio produce in lui, come
egli stesso ha affermato, una sorta di dilatazione del mondo. Il dubbio
quindi come mezzo di conoscenza, cioè un dubbio di marca cartesiana per
il quale ogni dubbio doveva
risolversi nella scoperta di un nuovo territorio su cui avventurarsi. E
su questi nuovi territori di conoscenza Ingrao si è sempre inoltrato non
per il gusto dell’avventura intellettuale in sé, ma quasi per assolvere
un dovere politico e umano(...).
Mi sbaglierò, ma io sono convinto che del suo impegno politico egli sia
rimasto maggiormente legato al periodo 1944-1945, quando, in una grigia
Milano con il piede straniero sopra il cuore, lavorava all’edizione
clandestina de «l’Unità», quando il vivere e l’agire quotidiani erano un
azzardo, quando la possibilità dello scacco era dietro ogni angolo,
quando si era uomini e no.
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