Wittgenstein. Una biografia per immagini, a cura di Michael Nedo, Carocci
Risvolto
Rampollo di una delle famiglie più in vista della Vienna
fin-de-siècle, ingegnere aeronautico, volontario nella prima guerra
mondiale, maestro di scuola elementare, giardiniere in un monastero,
architetto, professore a Cambridge... genio. Quante vite si nascondono
dietro lo sguardo leggermente beffardo con cui Ludwig Wittgenstein ci
osserva dalla copertina di questo libro? Per rispondere a
quest'interrogativo, Michael Nedo, che a Wittgenstein ha dedicato la
propria esistenza, ha raccolto in questo volume foto, lettere,
citazioni, taccuini, appunti, memorie di parenti e amici del filosofo
austriaco, nel tentativo di rivelare la complessa interazione tra la
vita e l'opera, l'ambiente culturale e quello familiare, siglando così
il suo tributo a una delle figure più originali ed enigmatiche del
Novecento.

Sul treno viaggia dio, si chiama Wittgenstein
Il filosofo del “Tractatus” in un album di scatti, dall’aurea Vienna al circolo magico di Cambridge
di Marco Belpoliti La Stampa TuttoLibri 14.12.13 da Spogli
qui
Ludwig Wittgenstein
La vita oltre la Logica
di Simonetta Fiori Repubblica 3.11.13
Gli
ultimi scatti volle controllarli fin nel dettaglio. Disse al fotografo
che preferiva essere ripreso di spalle, poi ci ripensò e decise di
guardare l’obiettivo. Ma mancava il fondale. Si affrettò allora a casa
dei von Wright a prendere un lenzuolo, Elizabeth gli offrì un telo
fresco di stiratura ma andava benissimo quello spiegazzato tirato via
dal letto. Lo appese davanti alla veranda, accostò due sedie per far
posto a un soddisfatto Georg Henrick — suo successore in cattedra a
Cambridge — e finalmente Ludwig Wittgenstein si accomodò davanti
all’obiettivo. Lo sguardo diretto e teso, come una freccia da conficcare
dentro la macchina. È la prima volta che succede, in tutto l’album.
Nelle altre sequenze sembra guardare sempre oltre la camera — o anche di
sbieco, talvolta spiritato — il sorriso beffardo di chi non si ferma
alla realtà apparente delle cose. No, qui no. Pare proprio voler
impallinare l’interlocutore, se-vero e nel contempo naïf. L’aria
trasandata, calzettoni di lana spessa, il sandalo a penzoloni. E quel
dardo fulminante. È la sua ultima immagine nella primavera del 1950, un
anno prima di andarsene.
Per la prima volta esce in Italia l’album
privato di una delle figure più affascinanti ed enigmatiche del
Novecento. Un mistero destinato a riaccendersi con questa bellissima
Biografia per immagini curata da Michael Nedo, che ha raccolto foto,
lettere, citazioni, taccuini, appunti e memorie di amici e famigliari,
incluso l’album costruito con perfezione geometrica dallo stesso Ludwig.
Ne viene fuori il grande romanzo europeo nel passaggio tra due secoli,
tra le sinfonie di Brahms e la rivoluzione atonale di Schoenberg, tra i
decori barocchi della Vienna fin de siécle e la pulizia architettonica
di Adolf Loos, tra il vecchio ordine asburgico e l’aristocrazia inglese
dei Russell e dei Keynes. Il romanzo della distruzione e della
rinascita. Con un protagonista che sembra capitato lì per caso.
Pur
essendo di quel maremoto esemplare incarnazione, Ludwig dà la sensazione
di essere estraneo alla sua stessa storia. Piccolo di statura,
piuttosto bello, «il profilo affilato da uccello in volo». Appare
spaesato tra gli ori e gli specchi di “palazzo Wittgenstein”, in
Alleegasse, uno dei più sontuosi della Vienna asburgica: le sorelle
riccamente addobbate, gli uomini in marsina, lui in giacca di flanella
stazzonata, inconsapevole emblema del Novecento che avanza. Eccolo
ancora con gli stivali di gomma, tra i suoi scolari contadini della
bassa Austria, mentre il mondo intellettuale sta già scoprendo le novità
del Tractatus. E poi di nuovo, sul finire degli anni Venti a Vienna, in
scarponi impolverati nel cantiere di Kundmanngasse, dove aveva
costruito la casa per la sorella Margarete. In quello stesso periodo
Rudolf Carnap definisce «fondamentali» le sue riflessioni sulla logica,
ma Ludwig preferisce concentrarsi sul termosifone angolare per la stanza
della colazione. «Era forse l’esempio più perfetto del genio così come
lo si immagina», avrebbe annotato di lì a poco Russell. «Appassionato e
profondo, intenso e dispotico».
Dispotico anche nelle tante vite che
scelse di abi-tare. Ingegnere aeronautico. Volontario nella Grande
Guerra. Maestro di scuola elementare. Giardiniere. Architetto.
Professore nell’esclusivo club di Cambridge. La vita è per Wittgenstein
una continua mossa del cavallo. Fu l’inventore di una nuova filosofia
che ruppe con ogni tradizione concettuale del passato — le sue
elaborazioni sul linguaggio cambiarono la geografia mentale della
modernità — ma non smise mai di contenere l’impulso teorico dentro la
concretezza del lavoro manuale. Già considerato un fenomeno negli
ambienti accademici, nel 1920 volle andarsene nel villaggio austriaco di
Trattenbach per insegnare ai ragazzi delle campagne tutti i segreti del
firmamento. Molti strumenti didattici se li fabbricò da solo oppure con
l’aiuto dei bambini. Modelli di macchine a vapore. Martelli di ferro.
Scheletri di mammiferi. «Un ridicolo spreco di energia e di
intelligenza», commentò sprezzante Ramsey, il suo traduttore inglese, in
una conversazione con Keynes. Figlio di un magnate della metallurgia,
Ludwig aveva scelto di vivere in povertà. E quando la sorellamaggiore
Hermine lo rimproverò per le sue scelte al ribasso, lui le raccontò di
quel tale che si affanna in tutti i modi per mantenersi in equilibrio
durante l’infuriare della tempesta. «Ma allo sguardo di chi non sente la
violenza del vento paiono movimenti privi di senso». Lui la tempesta la
sentiva fuori e dentro. L’aveva sentita fin da quando era bambino.
Casa
Wittgenstein era l’equivalente austriaco dei Krupp e dei Rothschild,
tra enormi flussi di denaro, serate musicali e fervore d’arte. Brahms
aveva fatto da maestro di piano alla zia Anna. E nel “salone rosso” era
praticamente cresciuto lo Jugendstil, generosamente finanziato dal padre
Karl. In una foto è poggiato di lato un dipinto di Klimt con una
fanciulla bruna in un abito di voile color ghiaccio: è la sorella
Margarete, ritratta nel 1905 dall’artista poco prima delle nozze. Tra le
stanze di Alleegasse si contano circa ventisei precettori privati per
otto figli. Un’atmosfera di «nervoso splendore» che però non riesce a
camuffare fino in fondo le tensioni e i laceranti conflitti propri di
un’epoca ma anche della facoltosissima famiglia. Tre dei fratelli
decisero di farla finita. E anche Ludwig ha spesso la sensazione «di
essere di troppo a questo mondo». I decori barocchi gli si rivelano
presto gusci vuoti, privi di senso, cui contrapporre il rigore estremo
di un’assurda capanna da lui costruita vicino al lago glaciale di
Skjolden, Norvegia. Spoglia, essenziale, irraggiungibile su un dirupo.
Siamo nel giugno del 1914, poche settimane prima del grande botto.
La
sua vita privata fu un continuo oscillare tra il bisogno d’affetto e
un’esigenza di quieta solitudine. Nell’album si susseguono molti
ritratti maschili — prima l’amico David Pinset, poi l’allievo Francis
Skinner, ed ancora il giovane operaio Keith Kirk — che riempirono le
pagine bianche della sua vita amorosa, ma senza mai romperne il
solipsismo sentimentale. Il fatto che queste persone lo ricambiassero
era forse del tutto irrilevante. Anzi, la loro indifferenza finiva per
rassicurarlo nella sua splendida
blindatura.NarrailbiografoRayMonkchel’unico a minacciarne l’isolamento
fu il devoto Skinner, qui ritratto in pose eleganti durante una
passeggiata a Cambridge. Nel 1935 prese a scrivergli lettere turbate —
«ti ho pensato un sacco da quando ci siamo visti», «ho sperato che ti
facesse piacere sapere quale felicità mi procura vederti» — con
l’effetto di provocare il bisogno di lontananza. Nel 1941 il ragazzo
muore. Ai funerali Ludwig s’aggira senza requie, come un animale
disperato e selvaggio. Nell’agenda solo un appunto: «Francis
dies».Qualche tempo dopo sarebbe toccato a un giovanissimo medico
incontrato in Inghilterra, Ben Richards, rinnovargli le pene d’amore.
Alto, prestante, decisamente sensuale. Ha quasi quarant’anni meno di
lui, e forse è anche il solo che riesce a renderlo «highly inflammable».
Per la prima volta Ludwig crede di essersi imbattuto nell’«amore
giusto». Un’altra ragione per lasciare Cambridge.
«Vorrei una buona
volta chiarire la mia vita a me stesso e agli altri», si legge in una
pagina dei manoscritti. Non sappiamo se sia mai riuscito nel proposito.
Michele Ranchetti, uno dei suoi massimi studiosi, ha trovato una chiave
nel «dovere del genio». «È difficile trovare nella vita dei grandi un
esercizio così assoluto di ricerca della perfezione». Nell’aprile del
1951, pochi istanti prima di morire, Wittgenstein fa in tempo a
sussurrare a un’incredula Mrs Bevan, moglie del medico che lo ospitava a
Cambridge: «Dite loro che ho avuto una bellissima vita». Forse era
anche quello che voleva dirci nell’ultimo scatto.
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