mercoledì 20 novembre 2013

Tradotto il libro di Jan Karski sull'ebreicidio nazista

Jan Karski: La mia testimonianza davanti al mondo. Storia di uno Stato segreto. A cura di Luca Bernardini, Adelphi, pp. 513, € 32

Risvolto
"Non le darò istruzioni né le farò raccomandazioni ... Dovrà soltanto riferire obiettivamente quello che ha visto, raccontare quello che ha vissuto in prima persona e ripetere ciò che in Polonia le è stato ordinato di dire su coloro che vivono là e negli altri paesi occupati d'Europa»: con questo viatico il premier Sikorski mandò Jan Karski a informare gli Alleati di ciò che stava accadendo agli ebrei nel suo paese e di come i polacchi non avessero mai smesso di lottare. Unitosi alla Resistenza nel 1939, il giovane ufficiale della riserva era stato incaricato di tenere i collegamenti fra lo Stato segreto polacco – una struttura clandestina perfettamente funzionante nelle sue varie ramificazioni, caso davvero unico quanto misconosciuto nell'Europa occupata dai nazisti – e gli organi ufficiali del governo in esilio a Londra. Oltre a svolgere temerarie missioni – culminate nella sua cattura da parte della Gestapo e in una rocambolesca fuga –, Karski aveva compiuto un'impresa inaudita: era riuscito a infiltrarsi nel ghetto di Varsavia e nel campo di transito di Bełzec e, fatto ancora più inaudito, a uscirne indenne, deciso a denunciare al mondo le atrocità commesse dai nazisti ai danni della nazione polacca e degli ebrei tutti. Porterà in effetti la sua testimonianza diretta ai grandi della terra, incluso il presidente Roosevelt, ma per motivi politico-strategici il suo appello non verrà raccolto né avrà seguito: non gli resterà, nel 1944, che affidarlo a questo libro. Dimenticato nel dopoguerra in ragione dei nuovi assetti politici mondiali, Karski sarà riscoperto e intervistato dal regista Claude Lanzmann per il celeberrimo Shoah (1985), che darà l'avvio alla seconda fase della sua missione: ricordare l'indifferenza degli Alleati di fronte al consumarsi del genocidio.

L’incontro con Roosvelt
«Fui costretto a precisare che non si trattava di “persecuzioni” ma di uno sterminio sistematico»

Il testimone della Shoah che nessuno volle ascoltare
Jan Karski nel ’43 cercò invano di far capire al mondo la tragedia degli ebrei Tradotto il suo libro, 70 anni dopo

di Umberto Gentiloni La Stampa 20.11.13


Entrato nel 1939 nella Resistenza tiene i contatti tra la struttura segreta dello Stato polacco e i rappresentanti del governo esiliati a Londra. Una figura emblematica Jan Karski, simbolo dell’opposizione al nazismo, voce di denuncia sul destino degli ebrei polacchi, sulle atrocità che aveva visto con i propri occhi negli anni del secondo conflitto mondiale: combattente, messaggero, perseguitato, testimone inascoltato, simbolo della incomunicabilità o della colpevole indifferenza. La mia testimonianza davanti al mondo (appena uscito da Adelphi, pp. 513, € 32) è un testo prezioso, finalmente (è il caso di dirlo, a quasi 70 anni dalla prima edizione) tradotto in italiano, curato con rigore filologico da Luca Bernardini. Un volume fondamentale che andrebbe inserito nei percorsi di formazione e preparazione ai viaggi della memoria delle nostre scuole e università che hanno come destinazione luoghi del territorio polacco.
La parabola biografica di Karski scuote le coscienze, accompagna il lettore sin dalle prime pagine nell’universo più profondo della guerra, nelle sue dinamiche senza appello lungo i confini dei comportamenti individuali, degli spazi di scelta possibili, della sofferta consapevolezza di un cammino senza ritorno. Karski ha trentanove anni quando la Polonia viene invasa dall’aggressione nazista. La sua opzione non ammette esitazioni: vuole combattere, chiede con insistenza di entrare nelle file della Resistenza. Con il coraggio di chi sente di militare dalla parte giusta diventa protagonista di missioni audaci, mette a repentaglio la propria incolumità, cerca di andare in prima linea dove è convinto che si decidano le sorti della guerra. Identificato e catturato dalla Gestapo viene sottoposto a torture efferate in un carcere militare, tenta di farla finita, ma alla fine ne viene fuori con una fuga rocambolesca. Era riuscito a penetrare all’interno del ghetto di Varsavia e si era spinto fino al cuore della soluzione finale, dentro il perimetro del campo di sterminio di Belzec.
Parole da un incontro con il gruppo dirigente del movimento clandestino: «Era una serata da incubo, ma vi aleggiava un senso di oppressiva, insopportabile realtà estraneo a qualsiasi incubo. Sedevo su una vecchia poltrona rotta, cui mancava un piede, rimpiazzato da due mattoni messi uno sull’altro. Temevo che se mi fossi agitato troppo sarei caduto per terra. Vi rimanevo inchiodato, incapace di proferire parola, mentre quella tempesta di sentimenti mi travolgeva». I suoi interlocutori non si fanno pregare vanno al sodo: «Moriremo tutti. Magari qualcuno riuscirà a salvarsi, ma tre milioni di ebrei polacchi sono condannati. Lo sono anche altri, portati qui da tutta Europa». Karski ascolta incredulo l’argomento che fa più male: «I tedeschi non intendono asservirci, come hanno fatto con i polacchi e con altri popoli. Vogliono liquidarci. Tutti. Ci corre una bella differenza. È questo che la gente non capisce, e che noi non riusciamo a far capire. A Londra, a Washington, a New York credono che gli ebrei esagerino, che siano in preda a una crisi isterica».
Un atto di accusa e, al tempo stesso un’ammissione d’impotenza. Il messaggero registra nella sua mente e inizia un pellegrinaggio disperato alla ricerca dei grandi della Terra. Uscito dalla Polonia si rivolge alle potenze alleate, arriva fino alla Casa Bianca con un mandato preciso. La mattina del 28 luglio 1943 un lungo colloquio con Roosevelt: «Le domande del Presidente erano pertinenti, dettagliate e centrate sui punti più importanti. Fui costretto a precisare, con esempi concreti, che non si trattava di “persecuzioni”, ma dello sterminio sistematico dell’intera popolazione ebraica».
Il finale purtroppo è noto. Jan Karski scrive le sue memorie, prima edizione 1944, titolo Story of a Secret State, e anche il percorso del volume, delle sue successive edizioni e revisioni dell’autore, diventa una storia nella storia. Si trasferisce negli Stati Uniti insegnando Scienze politiche presso la Georgetown University di Washington. Tenta di voltare pagina fino a quando Claude Lanzmann lo rende protagonista del suo Shoah (1985) in una sofferta intervista di otto ore che riapre ferite e interrogativi sull’indifferenza degli alleati. Muore nel 2000. Marek Edelman, sopravvissuto all’insurrezione del ghetto di Varsavia, partecipa alla messa funebre. Sulla targa che accompagna il monumento in suo onore, all’esterno del consolato polacco a Manhattan, a due passi dalla Morgan Library, si legge: «Il primo a informare gli alleati dell’Olocausto quando ci sarebbe stato forse il tempo per impedirlo».

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