sabato 2 novembre 2013

Un libro su Peirce

Peirce
Emanuele Fadda: Peirce, Carocci

Risvolto
Charles S. Peirce (1839-1914,) è noto come uno dei due fondatori (con Ferdinand de Saussure) della semiotica moderna e come il padre del pragmatismo filosofico americano. Ma egli è anzitutto un filosofo-scienziato coscientemente e coerentemente sistematico. In questo volume, il suo sistema viene illustrato attraverso la sovrapposizione successiva dei vari aspetti che lo sostanziano: matematica e logica, teoria dell'inferenza, pragmatismo, fenomenologia, metafisica, semiotica (che risulta così ben più ricca rispetto a come ordinariamente viene presentata). Non mancano riferimenti alle parti meno note del pensiero dell'autore, come letica e la filosofia della religione.

La triade delle cose comuni proiettata nel cielo del sapere
Segni, simboli e indici. Parole chiave non solo per spiegare la comunicazione ma anche il rapporto tra la mente e il cervello
ARTICOLO - Alberto G. Biuso il manifesto 2013.11.02 - 11



Di che cosa è segno Charles Sanders Peirce? Di un labirinto. Il suo pensiero è infatti inclassificabile. Il pragmatismo e la semiotica, che con lui sono nati, sono diventati dopo di lui altra cosa. Il suo pragmatismo è per molti versi una metafisica, la quale considera come condizione di esistenza e di conoscibilità degli enti gli effetti da essi prodotti. Come scrive Emanuele Fadda in Peirce (Carocci, pp. 248, euro 19): «Considerate quali effetti, che possono concepibilmente avere portate pratiche, noi pensiamo che l'oggetto della nostra concezione abbia. Allora la concezione di questi effetti è l'intera nostra concezione dell'oggetto». Le credenze non sarebbero dunque altro che delle predisposizioni ad agire in determinate situazioni e il segno «è qualcosa che sta per qualcuno per qualcosa sotto qualche rispetto o capacità». La triade più celebre - indice, icona, simbolo - non è che una delle moltissime sviluppate da Peirce, che per la struttura triadica sembrava avere una vera e propria mania. Il prevalere di tale triade, osserva giustamente Fadda, nasconde la complessa ricchezza della sua semiosi, appiattendola su una centralità del linguaggio verbale e della semantica che in lui non si dà poiché l'interpretante non è una persona ma è il processo del quale quella persona fa parte e il significato è l'insieme degli effetti concepibili di qualcosa. In che cosa consistano questi tre elementi è detto in modo efficace da Peirce in un testo del 1903, che spiega come quando incontro per la prima volta «Giovanna» questo nome è indice della persona che sto percependo con i cinque sensi; al secondo incontro, il suo nome sarà già divenuto un'icona delle sensazioni alle quali lo avevo associato la prima volta; mano a mano che la frequento, «Giovanna» diventerà un simbolo che racchiude le caratteristiche di quella persona come sono conosciute e soprattutto vissute. Come Saussure, Wittgenstein e Heidegger - pur se in modo assai diverso da loro-, Peirce ha compreso che gli umani non sono i padroni dei segni ma sono degli enti la cui natura è essa stessa segnica. Il modo in cui Peirce presenta tale concezione «è particolare: egli immagina che le parole si rivoltino contro l'uomo (convinto, da parte sua, di poterne disporre a piacimento) per mostrargli che egli non è il loro padrone, ma semmai - per molti versi - sono esse ad avere il dominio su di lui». Anche in questo modo si spiega il sottile scetticismo che percorre l'intero pensiero di Peirce e che gli fa valutare in modo assai positivo il concetto di vaghezza , il quale contribuisce a spiegare la centralità di un'altra famosa triade peirceana: abduzione, induzione, deduzione. Nel suo operare, infatti, la scienza segue proprio quest'ordine. Essa parte da ipotesi, le verifica in modo empirico-induttivo e da qui le applica poi deduttivamente a una molteplicità di casi. Questo scetticismo che opera su se stesso, in modo da trasformarsi in conoscenza quanto più certa possibile, sta all'origine di almeno quattro degli elementi apparentemente diversi del labirinto peirceano: la fiducia nella scienza, il disprezzo per l'individuo, l'antimodernità, il ricorso a Dio. La filosofia è definita da Peirce «cenoscopia», vale a dire l'analisi degli aspetti comuni a tutte le esperienze e a tutti gli umani. Fadda riconosce che Peirce si pone in maniera esplicita e provocatoria contro la modernità individualistica cartesiana e a favore invece del Medioevo organico. Il principio di autorità è difeso e giustificato a partire dal presupposto che fare dei singoli individui gli arbitri della verità significherebbe dissolvere la verità stessa: è la comunità la sola depositaria della verità. Le conseguenze sono del tutto antimoderne e francamente autoritarie. Secondo Peirce, infatti, «essere un uomo morale significa obbedire alle massime tradizionali della propria comunità senza esitazione o discussione», in modo da «far sì (pur con la costrizione) che tutti abbiano la stessa opinione». L'importanza di Dio in Peirce è un argomento che «i commentatori spesso - più o meno intenzionalmente - evitano, e che causò al nostro non pochi problemi anche in vita, ma che si rivela invece fondamentale una volta che si decida di seguire fino in fondo tutti i nessi che rendono sistematico il suo pensiero». Scrivendo a William James, Peirce rivendica di essere un teista, convinto che la scienza debba prendere sul serio fenomeni come i miracoli o l'efficacia delle preghiere, svolgendo ricerche su di essi. Tra gli altri aspetti di un pensiero tanto ampio quanto unitario nelle sue contraddizioni, è opportuno segnalare almeno la questione della mente. Peirce ritiene che la mente vada ben oltre la scatola cranica e il cervello. Ne è talmente convinto da rischiare di cadere in concezioni dualistiche e lontane dal comprendere la centralità della corporeità, il suo essere inseparabile da qualunque attività definiamo con la parola mente. Egli scrive infatti che «l'organismo è solo uno strumento del pensiero». E tuttavia «la natura semiotica della mente» è inscindibile dalla corporeità di cui essa è l'interprete non come ente o sostanza separata ma in quanto autointerpretazione del grumo di materia consapevole di sé in cui la mente consiste. Se « matter is effet e mind », se la materia è la mente esausta, stanca, sclerotizzata, è vero anche l'inverso, vale a dire che la mente non è altro che materia cosciente di se stessa.

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