di Danilo Taino Corriere 5.11.13
La
Cina è già la maggiore economia del mondo, o lo sta per diventare, in
termini di parità di potere d’acquisto. È un secolo e mezzo di dominio
americano che arriva alla fine. Non significa che gli Stati Uniti siano
in un declino strutturale: il dinamismo e la capacità d’innovazione
della loro economia rimangono incomparabili. Piuttosto vuole dire che
gli equilibri nel mondo cambiano più velocemente di quello che si
pensasse. Secondo calcoli condotti sulla base di una nuova elaborazione
statistica effettuata da un organismo che lavora sotto l’egida della
Banca mondiale, alla fine del 2013 il Prodotto interno lordo (Pil)
cinese dovrebbe essere attorno ai 16.400 miliardi di dollari: quello
degli Stati Uniti a poco meno di 16.200.
L’organismo in questione —
l’International Comparison Program (Ipc) — è una partnership statistica
internazionale che periodicamente effettua uno studio ponderoso sulle
parità di potere d’acquisto: in sostanza conteggia beni e servizi
prodotti in ogni Paese usando lo stesso prezzo, immaginando che un
telefono cellulare o una manicure abbiano lo stesso valore in Cina, in
Italia, in Brasile. Usare questo metodo «invece dei tassi di cambio di
mercato — spiega l’Ipc — rende possibile paragonare la produzione delle
economie e il welfare dei loro abitanti in termini reali (cioè
controllando le differenze nei livelli di prezzo)».
Il problema è che
a livello internazionale c’è una certa insoddisfazione per lo studio
Ipc realizzato nel 2005, sul quale si basano le principali classifiche
dei Pil: parecchi esperti sostengono che ha sopravvalutato il livello
dei prezzi in Cina, con ciò abbassando il Pil del Paese di circa il 20%
(nel caso di altre economie emergenti come India e Bangladesh anche del
40%). Ora, l’Ipc sta conducendo un nuovo studio che tiene conto di
quelle critiche.
I risultati saranno presentati in dicembre. Branko
Milanovic, un lead economist della Banca mondiale, sostiene che, sulla
base dei risultati preliminari, «si ritiene che il nuovo round dell’Ipc
rovescerà in una certa misura, per quel che riguarda la Cina, i
risultati del 2005. Questo implica che il Pil della Cina può
all’improvviso fare un balzo di qualcosa come il 20%». Significa che,
con i nuovi numeri, il Pil cinese in termini di parità di potere
d’acquisto del 2012 (dato Fondo monetario internazionale, Fmi)
passerebbe dagli attuali 12.471 miliardi di dollari a 14.965. Che si
confronta con quello americano di 15.685 miliardi di dollari. Se si
suppone che quest’anno l’economia cinese cresca, sempre a parità di
potere d’acquisto, del dieci per cento e quella americana del tre,
risulta che Pechino potrà segnare sulla lavagna circa 16.460 miliardi di
dollari di Pil, Washington qualcosa tra i 16.150 e i 16.200.
Le
statistiche sul valore comparato dei Prodotti lordi internazionali
variano parecchio proprio perché trovare dati paragonabili in tutti i
Paesi è complicato. Classifiche usando il Pil di ogni Paese in valuta
locale non si possono fare, essendo le unità di misura diverse. Quando
invece i Pil vengono espressi in una sola valuta — di solito il dollaro —
tutto viene distorto dai tassi di cambio, che possono anche avere
variazioni consistenti di anno in anno. In più, non si tiene mai conto
che un taglio di capelli o il famoso Big Mac hanno valori diversi in
ciascun Paese. Con questo metodo, il Pil americano del 2012, per dire,
sarebbe stato quasi doppio rispetto a quello cinese: 16.244 miliardi
contro 8.221 (ancora dati Fmi). Confrontare i Pil sulla base della
parità di potere d’acquisto sembra dunque più corretto, se si vuole
avere un raffronto realistico della dimensione delle economie: in questo
modo, le differenze sono differenze di volumi di beni e servizi.
Anche
se la revisione che sta conducendo l’Ipc non avvenisse, il sorpasso
della Cina all’America non sarebbe comunque lontano. Se ci si basa sulle
tabelle dell’Fmi e sui ritmi di crescita previsti dal Fondo stesso,
avverrebbe nel giro di un paio d’anni anche considerando i valori delle
parità di potere d’acquisto calcolati nel 2005. Sulla base dei dati Penn
World Tables della Pennsylvania University, invece, Milanovic ha
calcolato che il sorpasso avverrebbe tra circa un anno. Secondo il
Maddison Project, che cerca di ricostruire a ritroso i Pil mondiali (e
non usa i valori Ipc del 2005) sarebbe addirittura già avvenuto nel
2009.
Messi in politica, i dati pongono una sfida non da poco a
Washington. E una forse più grande, in termini di responsabilità
globale, ai leader comunisti riuniti a discutere di economia nello smog
da crescita di Pechino.
Il leader Xi Jinping alla prova delle riforme Modello Andropov: perestrojka senza libertà
di Guido Santevecchi Corriere 5.11.13
PECHINO
— Sono settimane che sulla stampa cinese si rincorrono titoli ed
editoriali sulle «riforme che verranno». Il momento è arrivato. Sabato
si apre a Pechino il Terzo Plenum del Comitato centrale del partito
comunista: circa 370 dignitari ascolteranno il discorso del segretario
generale Xi Jinping. Ci vorranno giorni, se non mesi per decifrarlo, sia
all’estero sia in Cina. Dalle riunioni a porte chiuse è stato fatto
filtrare che sarà lanciata una «riforma omnicomprensiva». Il numero 4
del Politburo ha assicurato che si tratterà di un progetto «senza
precedenti».
Ma dietro gli annunci, tutti si chiedono se Xi Jinping
sia un vero riformista o no. Il sessantenne Xi è arrivato al vertice un
anno fa: i suoi primi slogan sono stati dedicati alla lotta contro la
corruzione, mentre il nuovo premier Li Keqiang, 57 anni, prometteva una
crescita più equilibrata, non più all’inseguimento di incrementi a due
cifre del Prodotto interno lordo, ma diretta ad aumentare i consumi
interni e incrementare il reddito della fascia più debole della
popolazione (si calcola che ci siano ancora circa 100 milioni di cinesi
sotto la soglia della povertà). Poi, negli ultimi mesi, Xi ha cominciato
ad usare slogan e tattiche maoisti. Chi è dunque Xi?
«Certamente non
è un Gorbaciov, piuttosto un nuovo Andropov», dice al Corriere una
fonte che conosce il dibattito interno al partito comunista. E spiega:
«Yuri Andropov, l’ultimo leader sovietico prima di Gorbaciov, era
disposto a promuovere una perestrojka economica ma era deciso a chiudere
ogni spiraglio di glasnost, trasparenza e apertura politica». Quindi,
Xi non vuole correre il rischio di distruggere il sistema come fece
Gorbaciov, che lanciò le due svolte insieme e perse insieme il potere,
il partito e l’Unione Sovietica.
Un’altra tesi è che Xi stia
«lanciando segnali alla sinistra maoista, ordinando arresti di blogger e
liberi pensatori, parlando di «linea di massa», di «rettifica» di ogni
pensiero deviante dall’ortodossia, ordinando sedute di autocritica che
ricordano i sistemi brutali della Rivoluzione culturale per poi muovere
verso destra: «Perché solo un leader forte può mettere mano alle riforme
economiche».
In effetti, in Cina si dice che il segretario generale
del partito, nonché capo dello Stato, prima viene «eletto» nel segreto
di riunioni dominate da poche decine di persone, molte delle quali
discendenti dei rivoluzionari della prima ora. Poi il nuovo leader deve
«candidarsi» a guidare davvero il Paese, creandosi una base di consenso
solida. Se, come sembra, Xi è riuscito ad elevarsi al di sopra dei suoi
compagni del Politburo, dal discorso di sabato al Terzo Plenum ci si
possono aspettare le direttive che guideranno la Cina per i prossimi
cinque-dieci anni: per l’ammorbidimento dei monopoli delle industrie
statali e a favore della concorrenza di mercato; liberalizzazione dei
tassi d’interesse per mettere sotto controllo il debito; l’avvio del
processo per la piena convertibilità dello yuan; forse svolte sociali
come l’abbandono della politica del figlio unico. Ma tutto questo sarà
avvolto dal linguaggio tradizionale del potere. E poi gli ordini
dovranno essere messi in pratica dall’enorme burocrazia imperiale della
Cina. Ci vorranno anni.
Inquinamento Il cielo nero sopra Pechino
Una bambina di otto anni si è ammalata di cancro ai polmoni e lotta per la vita “Ha respirato per troppo tempo polveri sottili”, dice il suo medico E ora anche la Cina scopre i danni all’ambiente causati dallo sviluppo selvaggio
di Giampaolo Visetti Repubblica 6.11.13
PECHINO La Cina aggiunge un altro record alla prodigiosa serie dei primati bruciati negli ultimi trent’anni, ma questa volta nessuno inorgoglisce. Al contrario, i cinesi inorridiscono e per la prima volta, anche nelle metropoli-missile della crescita economica, si consolida l’opinione che se il prezzo della libertà di shopping è la vita, non ne vale la pena. La notizia, a sorpresa, è stata diffusa ieri in primo piano sia dalla Xinhua,l’agenzia ufficiale, che dalla Cctv, la tivù di Stato controllata dalla censura del partito comunista. Una bambina di 8 anni si è ammalata di cancro ai polmoni a causa dello smog e lotta per non morire nel reparto oncologico dell’ospedale di Nanchino. Il medico che tenta di salvarla, il dottor Jie Fengdong, si è mostrato sconvolto alle telecamere. «Per troppo tempo — ha detto — ha respirato polveri sottili e sostanze tossiche prodotte da automobili e industrie. Il tumore ha colpito un solo polmone, ma gli effetti sono impressionanti. Se non verranno adottate misure rapide per depurare l’aria, la medicina non potrà fermare una strage».Secondo i dati dell’Accademia delle scienze di Pechino, si tratta dell’essere umano più giovane mai aggredito da un cancro all’apparato respiratorio. Fino ad oggi l’età media delle vittime di questo genere di morte delle cellule è di 70 anni. La bambina cinese si è scoperta improvvisamente vecchia per un errore fatale: la sua famiglia abita lungo una strada super-trafficata di una città industriale dello Jiangsu, la regione costiera subito a nord di Shanghai. Uscendo di casa per giocare e per andare a scuola, la piccola in pochi anni ha inalato una concentrazione di pm 2,5, le microparticelle emesse dai gas di scarico, troppo alta per essere tollerata.
La storia di questa tragedia sta colpendo l’intera popolazione e in poche ore il web, rigidamente controllato dal partito, è stato intasato da migliaia di reazioni di gente sotto shock. I cinesi temono che se il governo ha concesso la diffusione di una simile notizia, consapevole di far scattare l’allarme, è perché la realtà è assai peggiore di quanto i dati ufficiali non ammettano e nuovi leader hanno paura di essere travolti dall’esigenza popolare di una vita sostenibile. A spaventare è però anche la consapevolezza di essere ormai tutti sulla stessa barca: gli operai che lavorano nelle fabbriche senza depuratori, i contadini che coltivano terreni tossici, i residenti nei villaggi costretti a bere acqua inquinata e le centinaia di milioni di abitanti nelle metropoli, dove lo smog cancella il sole per mesi. Il 21 ottobre un altro record aveva scosso la nazione, facendo il giro del mondo: Harbin, capoluogo della Manciuria noto in passato per il lindore dei suoi ghiacci invernali, è stata la prima città della storia chiusa per eccesso di smog. Nel primo giorno di accensione dei riscaldamenti, le particelle di carbone rendevano invisibile perfino la porta di casa e gli automobilisti non riuscivano a vedere i semafori. Un anno fa l’agonia di Pechino era tale che le autorità, dopo che nei negozi risultavano esaurite garze per la bocca e maschere anti-gas, si spinsero fino a vietare di cuocere carne alla griglia per le strade.
Ieri, mentre il dramma della bambina di Nanchino si trasformava in problema politico anche per una super-potenza fondata sull’autoritarismo, il governo centrale è stato costretto a istituire «una squadra di scienziati» con una missione senza precedenti: studiare un sistema capace di evitare che le telecamere di sorveglianza attive ad ogni angolo del Paese vengano oscurate dall’inquinamento. Lo smog, da killer collettivo, per i nuovi leader rossi ormai può mutare in minaccia diretta alla sicurezza nazionale, favorendo un attacco terroristico. «Se la visibilità scende sotto i tre metri — ha rivelato l’ingegner Kong Zilong, esperto di tecnologia della videosorveglianza — anche la più sofisticata delle telecamere a raggi infrarossi risulta inutile. Possiamo vedere nel buio e nella nebbia, ma lo smog è troppo solido, riflette le riprese e impone l’uso di un radar». L’attacco kamikaze del 28 ottobre in piazza Tienanmen, alla vigilia di un plenum decisivo del comitato centrale del partito, fa salire la tensione oltre il ragionevole.
Inconsuete isterie anche tra i vertici del potere confermano però che l’emergenza inquinamento, assieme a un livello di corruzione che gli stessi funzionari definiscono «disperato», ha superato il limite che anche una popolazione rassegnata, a cui è vietato esprimersi liberamente, può sopportare prima di ribellarsi. In dieci anni a Pechino i decessi per tumore ai polmoni sono aumentati del 56% e un cancro su cinque è polmonare. La stessa patologia è pure la più diffusa in Asia, l’inquinamento cinese in due giorni raggiunge la vetta del monte Fuji, in Giappone e nelle metropoli della Cina, solo nel 2012, i morti da smog sono stati oltre 8.500. L’Organizzazione mondiale della sanità avverte che nel 2010 le vittime globali del-l’inquinamento hanno superato quota 1,2 milioni e che il cancro ai polmoni uccide 223 mila persone all’anno. Cifre che ai cinesi non servono più, per consolarsi. Domenica l’edizione inglese del Quotidiano del popolo, rompendo un ventennale silenzio, ha raccontato che mentre il governo è impegnato nella «grande urbanizzazione», per creare una classe media di consumatori, milioni di neourbanizzati sono già in fuga dalle città. I giovani cinesi non vogliono far crescere l’unico figlio concesso dallo Stato in un ambiente che minaccia di ucciderlo. I colletti bianchi cominciano a temere davvero di morire prima di essere diventati ricchi e chiedono di essere trasferiti nei centri di seconda e terza fascia: «Ci saranno meno opportunità di carriera — ha detto al giornale il manager di una banca pubblica — ma almeno si può respirare in pace». In Cina simili dichiarazioni non sono ovvie, come in apparenza suonano in Occidente, e in queste ore sommano pericolosamente la lotta della bambina colpita di cancro ai polmoni ad un altro scandalo. Sulla Rete, nonostante una censura maniacale, cominciano ad apparire i nomi di milionari e alti dirigenti del partito che per fuggire dalla nuvola nera che avvolge il Paese si trasferiscono all’estero, o nelle regioni del Sud. Qualcuno sposta solo la famiglia, altri delocalizzano l’azienda, altri vendono tutto e se ne vanno, almeno nei più rischiosi mesi invernali. Inghilterra, Spagna, Nuova Zelanda, ma anche Indonesia, oppure Hainan, l’isola tropicale che Pechino cerca di trasformare nei “Caraibi dell’Oriente”. La nomenclatura cinese, asfissiata la nazione, gestirebbe i suoi affari da lontano, comprandosi un cielo azzurro, oltre che esportando i capitali accumulati prima di finire nel mirino dei clan vincitori dell’ultimo congresso del partito. L’esercito dei censori del governo non riesce più a cancellare tutti rumours sui privilegi anti-smog delle autorità: dagli speciali depuratori in casa e ufficio agli alimenti biologici importati dall’estero, fino alle ville in montagna per disintossicarsi nei weekend. Psicosi che contagia anche la crescente comunità degli stranieri che, per fare soldi, lasciano Europa e Usa per scommettere sulla Cina. Il dato è del ministero degli Interni di Pechino: fino a due anni fa prevalevano i visti-famiglia, ora gli individuali, mentre coniugi e figli rientrano nelle nazioni di origine. Sabato, quando si aprirà il terzo plenum del partito, che si annuncia concentrato sulle non rinviabili riforme economiche, il cataclisma ambientale che sconvolge la Cina non figura nell’ordine del giorno. L’impatto sociale di smog e inquinamento, secondo la logica, potrebbe anzi disturbare i piani di «storica riconversione dalla produzione al consumo» fatti trapelare dai vertici. La logica però, quando le dosi di veleno nell’aria sono «40 volte superiori a quanto un essere umano può sopportare», non funziona più nemmeno dentro la Città Proibita. A salvare la Cina, e con lei il resto del mondo, potrebbero non essere i tecnocrati eredi di Mao, ma una bambina di 8 anni dello Jiangsu che aveva il vizio di respirare troppo quando usciva di casa. Ai primi, i cinesi non credono più: nella seconda, commossi per il suo sacrificio, da ieri confidano.
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