mercoledì 11 dicembre 2013
Calvino partigiano
Nome di battaglia «Santiago»
ll giovane Calvino partigiano nei racconti di alcuni compagni Dall’archivio dell’Anpi spuntano documenti che ricostruiscono il periodo della montagna e della Resistenza
di Wladimiro Settimelli l’Unità 11.12.13
E UN BEL GIORNO ITALO POSÒ LA PENNA E PRESE IL FUCILE. PER ANDARE IN
MONTAGNA CON I PARTIGIANI E FARE LA COSA CHE RITENEVA GIUSTA. Lui,
Calvino, ha sempre parlato poco di questa durissima esperienza perché
odiava la retorica e soprattutto la retorica della Resistenza, in un
periodo in cui tutti raccontavano di averla fatta e spiegavano,
centellinavano dettagli e storie, spesso messe insieme subito dopo la
Liberazione.
Il grande scrittore era orgoglioso di quei giorni e dei suoi compagni di
lotta. Con molti era rimasto in contatto fino alla fine della vita. Con
uno in particolare: Giovanni Nicosia, “Sam” originario di
Caltanissetta, un severo caposquadra sui monti, che diventerà poi
correttore di bozze per la Einaudi e dunque vicinissimo ad Italo nel
lavoro quotidiano.
Sì, appunto, Italo Calvino in qualche articolo e in qualcuno dei suoi
libri, farà affiorare il periodo resistenziale, ma senza dettagli e
particolari, in modo schivo e quasi sottovoce e il perché lo abbiamo
detto.
Ero all’ospedale della Scala, di Siena, il giorno della morte dello
scrittore. Per il giornale, ovviamente. La bara era stata sistemata in
uno stanzone enorme e non c’era nessuno. Era uno stanzone carico di
affreschi, stemmi e orpelli quasi gioiosi, che rendevano ancora più
desolata e solitaria quella bara e quella morte. Stavo ascoltando, in
una stanzetta, alcuni colleghi che chiedevano notizie alla moglie di
Calvino sul periodo della montagna, ma anche lei sapeva pochissimo.
Qualche passo più in là, forse un avvocato o uno dei dirigenti della
Einaudi, già parlava dei diritti d’autore per i tanti libri dello
scrittore di fama mondiale, ma io sentivo quelle parole come una specie
d’insulto a Calvino, abbandonato, solo, nello stanzone rinascimentale
senza un fiore, una corona, una rosa. Ovviamente, sciocchi
sentimentalismi i miei, in quel momento. Ma non riuscivo, comunque, a
metter via i pensieri, angosciosi, che mi si affollavano in testa.
Del periodo della montagna e della Resistenza, invece, volli sapere
tutto e non seppi niente. Ho dovuto aspettare qualche anno e leggere e
rileggere i racconti di alcuni dei compagni di Calvino pubblicati da
Patria indipendente, la rivista dei partigiani, per sapere dettagli e
particolari.
Italo Calvino era nato a Santiago de Las Vegas (Cuba) il 15 ottobre 1923
da Mario Calvino e da Eva Mameli. La famiglia, ad un certo momento, era
tornata in Italia e si era stabilita a Sanremo. Con la guerra, la
tragedia incombeva.
Ed eccola la storia di lui. Calvino è un giovane sveglio, già entrato in
contatto con alcuni antifascisti. Poi arriva l’8 settembre del 1943 e
il colonnello Lodovig, che comanda il 178° fanteria tedesca con sede a
Savona, scatta all’attacco con i suoi e occupa Sanremo il 9 settembre.
L’esercito italiano, anche in tutta la Liguria, si è ormai dissolto.
Nasce la repubblichina di Salò e subito vengono affissi i manifesti per
il richiamo alle armi della classe 1923: proprio quella di Calvino. Per i
disertori, come si sa, è prevista la fucilazione.
Il giovane, per non essere arrestato, prende la via delle colline e si
rifugia in boschi e boschetti, nelle terre di proprietà del padre. Poi,
con un gruppo di amici, Aldo Baggioli, Massimo Porre, Renzo Barbieri e
altri, decide di salire in montagna. Viene accolto nella formazione
partigiana «Brigata Alpina» presso Beulla.
È una brigata, la sua, che si muove tra Baiardo e Ceriana ed è comandata
da Candido Bertassi, conosciuto come Capitano Umberto. È una prima
esperienza molto, molto difficile. Calvino è ormai conosciuto da tutti
con il nome di battaglia di «Santiago». Il primo grande scontro con i
nazisti avviene in località Carpenosa il 15 giugno 1944 ed è una
vittoria. Poi la formazione si scioglie. Lo scrittore entra allora a far
parte della «IX Brigata Garibaldi», comandata da Bruno Luppi, «Erven» e
partecipa alla battaglia di Sella Carpe. «Erven» rimane ferito
gravemente e molti partigiani ci lasciano la pelle. A luglio, i nazisti
incendiano i paesi di Molini di Triora e Triora e lo scontro, in tutta
la zona, si fa ancora più duro. Calvino, intanto, è passato alla
Divisione d’assalto Garibaldi «Felice Cascione» e partecipa alla difesa
di Baiardo. Durante un rastrellamento «Santiago» viene arrestato, ma si
salva. Deve però arruolarsi, per un breve periodo, tra i repubblichini
come scritturale. Poco dopo riesce a fuggire e torna in montagna con
tanto di armamento individuale. A lui si unisce il fratello Floriano che
ha appena sedici anni. Ora, i fratelli, sono in una formazione diversa.
L’inverno del 1944-’45 è terribile: freddo, gelo, fame, rastrellamenti,
arresti e torture. Italo Calvino partecipa a tantissimi scontri: a
Ciabaudo, a Gerbonte, a Bregalla e ancora a Baiardo a Triora e nella
Valle Argentina. Il 25 aprile arriva la Liberazione e anche lui sfila
per le strade di Sanremo con la sua formazione. Durante la lotta in
montagna non ha mai smesso di scrivere per Il Garibaldino, La nostra
lotta e l’Unità, stampata localmente. Il 25 maggio 1945 torna a casa e
si laurea. Poi, si iscrive al Pci che rimarrà il suo partito per una
decina di anni. Riceve anche il diploma Alexander numero 165545 ed e
riconosciuto partigiano combattente. Poco dopo, dal Distretto militare
di Savona, riceverà lire 6.687: è la paga da soldato per tutto il tempo
della montagna.
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