martedì 10 dicembre 2013
Vandee e Montagne
Non c'è solo un opportunismo moderato e governista. Questo è certamente
l'atteggiamento che più danni ha prodotto nel recente passato. Ma ce n'è
anche uno - spesso ma non sempre conseguenza reattiva del primo - che
preferisce la furia del dileguare alla pedagogia dell'ordine nuovo e nel
suo vitalismo di stampo soreliano trae energia dal mettersi alla coda
di tutto ciò che si muove.
Avendo anch'esso disimparato la
grammatica della politica, e non sapendo più leggere la propria storia,
questo vede in ogni ribellismo un'insurrrezione, in ogni Vandea una
Montagna, in ogni evasore fiscale incattivito dalla crisi un
contestatore del potere totalitario dello Stato, in ogni Lumpen un
soldato rivoluzionario.
Non è la prima volta che questo accade: il
nostro Novecento è pieno di episodi simili. E del resto il significato
politico dei movimenti di massa - perché è ovvio che di questo si
tratti, come è ovvio che in essi vi sia un terreno di scontro egemonico -
non è mai univoco e persino le stesse parole d'ordine mutano di senso
secondo il contesto, la presenza o l'assenza di un soggetto politico
consapevole e organizzato, i rapporti di forza, la direzione di marcia
del conflitto.
Finché non saremo in grado di ricostruire una
prospettiva teorica e culturale che ci restituisca la nostra autonomia,
saremo esposti ai quattro venti e la realtà si prenderà gioco di noi.
Ogni altra cosa rimarrà secondaria, per molti decenni [SGA].
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