martedì 10 dicembre 2013
Il Corriere combatte ancora la vecchia Guerra Fredda, per allenarsi alla nuova
Berlino 1989, i documenti segreti, C’era l’ordine di sparare sulla folla
I sette giorni che cambiarono la Germania negli archivi della Stasi
di Luigi Offeddu Corriere 10.12.13
I
documenti segreti, provenienti dagli archivi della Stasi, la polizia
segreta della Germania Est, che accompagnarono la caduta del Muro di
Berlino, 24 anni fa, mentre l’Europa dei blocchi cambiava volto. Il
Corriere ha avuto accesso ai telegrammi che, in quei giorni concitati
del 1989, si scambiarono militari e organi della sicurezza. Risulta che
c’era l’ordine di sparare sulla folla e la possibilità di una guerra
europea, forse mondiale, non era un’ipotesi campata per aria
BERLINO
— Più di quanto abbiamo mai pensato, molto più di quanto abbiamo mai
temuto, il dottor Stranamore stava a cavalcioni del Muro di Berlino, 24
anni fa. E ci spingeva verso una guerra europea, forse mondiale.
Telegramma cifrato numero 091189, diramato il 9 novembre 1989, a poche
ore dall’apertura del Muro, dal vertice del ministero della difesa della
Germania Est, l’«Esercito del popolo»: «Dall’8 novembre pende
sull’Esercito nazionale del popolo una spada di Damocle, a causa del
presunto ordine di intervento contro i dimostranti di Lipsia che avrebbe
comportato l’azione armata. La conseguenza di ciò sarebbe stata la
guerra in Europa. Si chiede ora che venga reso pubblico il contenuto di
quest’ordine: ma la risposta è negativa».
A Lipsia sfilavano tutte le
settimane centinaia di migliaia di persone. Da chi veniva quel
«presunto ordine» di «intervento armato» che qualcuno ora voleva far
filtrare? E di quali armi si parlava? E chi voleva ancora conservare il
silenzio? L’esercito era spaccato in due, i servizi segreti pure. Il
partito unico non esisteva più. E tre milioni di uomini e donne, in
quelle stesse ore, varcavano o stavano per varcare il Muro piangendo di
gioia. Gorbaciov aveva avvertito i compagni di Pankow: l’Armata Rossa
non permetterà che spariate su questa gente. Eppure le voci sulla strage
minacciata, sulla guerra sfiorata nel continente, circolavano ancora.
Anzi sono ancora lì, a Berlino, verbalizzate e protocollate negli
archivi della Stasi o Staatssichereit, il servizio segreto dell’ex
Germania Est. Nel palazzo a otto piani della Bstu («Commissione federale
per le documentazioni dei servizi di sicurezza dell’ex Germania») si
possono esaminare quei documenti con un’autorizzazione speciale, sotto
strette misure di sicurezza, e con la presenza costante di un addetto
nella stessa stanza. Sui nomi e cognomi che rivivono in quei fogli, c’è
ancora il divieto di pubblicazione per esteso quando non riguardino una
persona con una carica ufficiale e già pubblica: perché il divieto cada,
dovranno essere passati almeno 50 anni dagli eventi (il Corriere ha
scelto perciò di «schermare» quegli stessi nomi, anche se ne possiede in
ogni caso la versione esatta).
L’uomo che il 9 novembre 1989 rievoca
la «spada di Damocle» e l’ombra di Stranamore è il tenente colonnello
P., commissario capo della segreteria politica delle forze armate. Ma
altri diranno anche di più. Messaggio segreto numero 008985, alla
vigilia della manifestazione che il 4 novembre riunirà a Berlino un
milione di persone. Parla, anzi scrive, il generale Erich Mielke, allora
capo della Stasi: «Dovranno essere usati mezzi speciali per proteggere
l’ordine, e altri ancora se verranno minacciate persone, oggetti e
altro». Anche se il comandante delle truppe di confine lo smentisce poco
dopo: «L’uso delle armi è fondamentalmente vietato». I «mezzi
speciali», lo si era già visto nell’insurrezione di Berlino Est del 17
giugno 1953, erano nel gergo sovietico carri armati, aviazione,
artiglieria. E forse anche altro. Proprio in quei giorni dell’autunno
1989 circola ripetutamente, nei telegrammi cifrati della Stasi,
l’accenno a un misterioso «protocollo N.3/82 Vvs-0008», risalente al 22
dicembre 1982. Dietro il codice, un titolo da brivido: «Disciplina
dell’utilizzo delle armi radiologiche o atomiche, di veleni, esplosivi
vari e materiale radioattivo». È un caso, se se ne parla tanto proprio
mentre i cortei marciano verso il Muro? Ed è casuale se ancora il 10
novembre, a Muro caduto, il generale Peter Koch della Stasi ringhia
nell’ennesimo messaggio segreto: «Gli attacchi contro l’ordine dello
Stato si possono ripagare solo con la nostra moneta: quindi alcuni mezzi
o misure che sono ancora in nostro possesso devono restare segreti».
Eppure,
alla fine, nessuno sparò. Perché? Per quattro motivi, forse. Perché
c’era Gorbaciov. Perché tutta la protesta partì dalle chiese, con lo
slogan «niente violenza» (anche se questo non avrebbe certo frenato un
Mielke). Perché resisteva una qualche forma di senso morale: alcuni
disertarono con le armi, altri scrissero «non sparerò sul mio popolo»
finendo poi in cella; 4 capi della Stasi si suicidarono. E poi, c’è la
ragione che un informatore della Stasi (rapporto MfS-HA1, telegramma
cifrato 13335) rubò alle labbra di un ufficiale delle truppe di confine:
«Se ci avessero chiesto di intervenire all’interno del Paese, una parte
dei soldati con le armi in mano sarebbe passata dall’altro lato, e i
comandanti non avrebbero ubbidito».
La Stasi, però, fu anche il
grande occhio che per primo vide e denunciò (anche perché ne condivideva
gli agi) la corruzione del regime. «Privilegi senza vergogna»,
stigmatizzava già da settimane, chiedendo «l’apertura delle spiagge
riservate, la riduzione delle pensioni privilegiate, la chiusura
(messaggio cifrato del 6 novembre, ndr ) degli odiosi negozi per
funzionari di partito, l’abolizione dell’uso di mezzi militari per scopi
privati, dei weekend in Spagna, di tutto ciò che ci ha fatto perdere la
fiducia del popolo». A Francoforte sull’Oder, 2,2 tonnellate di
ambitissima marmellata erano divenuti pasto per i maiali a causa di una
pianificazione sballata: «E davvero abbiamo pagato le vacanze in
Australia del compagno C., capo-distretto del Partito?». In due parole,
una Tangentopoli con falce e martello, non molto diversa dalle nostre:
per la quale «c’è da attendersi il collasso politico e sociale della
Germania Est», scriveva la Stasi due giorni prima del tonfo.
Ma
l’ultimo allarme, se possibile, ebbe anche qualcosa di grottesco.
Rapporto cifrato Stasi numero 1707/89, ore 12,10 del 7 novembre, a 48
ore dal crollo del Muro e in zona vicina al confine: «Il pensionato
M.S., 55 anni, denuncia che tre sconosciuti hanno sparato alle anatre,
ma hanno sbagliato mira: hanno ammazzato una pecora, e ne hanno ferita
un’altra. Portata la pecora morta in un nostro laboratorio, nel corpo è
stato reperito un proiettile calibro 8. E nei pressi, alcuni bossoli con
impresse delle lettere cirilliche». Conclusione del verbale: avevano
sparato soldati sovietici, che però non erano di guarnigione in quella
stessa zona dove si attendevano presto altre manifestazioni di popolo;
fu ordinata un’inchiesta perché si temeva una «provocazione».
Poi, fu
la fine di tutto, in poche ore. Anche questa certificata dai dispacci
segreti della Stasi. Il 13 novembre, giunse l’ordine di ritirare i cani
lupo che per 28 anni avevano fatto la guardia al Muro: 250, «molto ben
educati», trovarono dei compratori; ma altri, che forse non avevano
capito i tempi nuovi e ancora pensavano di servire il loro popolo a
morsi e ringhiate, finirono al macello, senza neppure un grazie.
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