martedì 10 dicembre 2013
Ripubblicato "Fabbriche del soggetto" di Toni Negri
La consueta pagina postoperaista settimanale del Manifesto. E' un po' ripetitiva ma è sempre molto meglio delle pagine in appalto a Siderurgia & Aperitivo [SGA].
Antonio Negri: Fabbriche del soggetto. Archivio 0981-1986, Ombre Corte
Risvolto
Pubblicato nel 1986 da "compagni coraggiosi",
insofferenti della repressione degli anni Settanta e del mefitico clima
degli Ottanta, questo libro raccoglie alcuni lavori che Antonio Negri
aveva prodotto a partire dal 1981, in parte in carcere, in parte in
esilio. Il suo intento - come si leggeva nella quarta di copertina - era
di "fornire una breve guida per la ripresa del lavoro teorico-politico,
su un terreno qualificato dall'apparire, in questo scorcio del XX
secolo, di nuovi desideri e bisogni costruttivi, ma anche segnato da una
sconfitta politica e da una conseguente radicale modificazione
dell'orizzonte culturale: il postmoderno. Ora, nota Negri, questa
situazione è attraversata da un paradosso: battendo la vecchia
composizione di classe e disgregandone la memoria, il tardo capitalismo
non è venuto a capo della crisi dello sviluppo, e neppure dei suoi
avversari - anzi, su quel livello di universale astrazione e di
meccanica indifferenza che il postmoderno rappresenta, un nuovo
soggetto, non meno sovversivo di quello precedente, si è mostrato. Quali
sono i percorsi genetici del nuovo soggetto? La critica del postmoderno
(come delle teorie giuridico-politiche che ad esso si collegano) ci
mostra come l'artificialità di quell'orizzonte possa essere criticamente
condotta a consistenza ontologica e come le protesi meccaniche di
questa ontologia possano essere riassunte nella figura di una nuova
soggettività".
Applicandosi alla critica di questi temi, si apre qui dunque quella
ricerca che porterà Negri, da un lato a costruire, con Michael Hardt,
quegli affreschi della postmodernità capitalista che sono Impero e
Moltitudine; dall'altro a inseguire la genesi delle nuove soggettività
rivoluzionarie in Il potere costituente e in Manifesto per il XXI secolo
- fino alla definizione dell'orizzonte politico del "comune" (che,
ancora con Hardt, Negri comincia a costruire in Commonwealth). Gli
scritti che compongono Fabbriche del soggetto rappresentano dunque un
vero e proprio archivio del pensiero del "secondo" Negri.
Le solitudini dell’intelletto generale
Tempi presenti. «Fabbriche del soggetto» di Antonio Negri per ombre corte, Scritto dopo la sconfitta degli anni Settanta, il volume si confronta con i primi effetti della «controrivoluzione liberale». Una ristampa
Gigi Roggero, 6.12.2013
«Fra catastrofe e ricostruzione»: ecco dove si situa [/ACM_2]Fabbriche del soggetto,
l’«Archivio 1981–1986» di Toni Negri che ombré corte ha il merito di
rendere disponibile in una nuova edizione (euro 20, pp. 234). Nel
1986, anno della pubblicazione, la catastrofe assume le sembianze
dell’esplosione del reattore nucleare di Chernobyl, immagine
tragica dell’unificazione del mercato mondiale capitalistico. Ma
la sua radice sta nella «sconfitta» dello straordinario ciclo di
lotte del decennio precedente. Qui inizia la controrivoluzione
neoliberale.
Il libro prende atto in modo deciso dell’avvenuto passaggio alla sussunzione reale, anticipata da Marx nel Capitolo VI inedito.
In questo quadro Negri da un lato ripensa la critica del diritto,
coestensivo della sussunzione reale; dall’altro, definisce le due
caratteristiche principali della nuova «essenza collettiva»: virtualità, cioè rapporto storicamente determinato tra tendenze possibili e pratica della decisione, e irreversibilità,
in quanto mutamento della logica dell’esistente, alla luce della quale
vanno riorganizzati gli elementi del quadro. Nel passaggio alla
sussunzione reale vi è una sorta di «accumulazione originaria»
di soggettività, per cui all’estorsione del plusvalore
corrisponde una trasformazione della forza lavoro. Si crea insomma
una nuova natura. Anzi, natura e storia diventano indistinguibili.
In Fabbriche del soggetto viene anticipata la «vita
messa al lavoro», laddove l’astrazione diviene sostanza del soggetto
e il comando unico elemento del potere capitalistico. L’antagonismo
si configura allora come «alternativa dell’essere e del non essere»:
da qui una ripresa, in termini materialisti e spinoziani,
dell’immediata valenza etica del rifiuto. Il rompicapo di questa
antinomia può essere risolto solo nella pratica, dentro la
modificazione del paradigma. Ritorna il problema: come si produce
una nuova natura, dentro e contro quella storicamente
determinata? Proprio perché «non esiste processo senza soggetto»,
le «fabbriche» che lo producono non sono affatto territori
neutri, di cui semplicemente basti riappropriarsi per
«ricostruire». Non confondiamo il «comunismo del capitale» con il
movimento reale che distrugge lo stato di cose presente. La tendenza
è sempre un rapporto di tensioni antagoniste: non ci si può
affidare ad essa, dentro la «virtualità» bisogna organizzarsi per
costruire nuovi divenire. Ovvero curvare e distruggere i divenire
del capitale, formidabile macchina di produzione della
soggettività.
Il rapporto tra composizione tecnica e politica di classe non
si può più dare nei termini elaborati dell’operaismo, scriveva Negri
a metà degli anni ’80. Limitarsi oggi a ripeterlo non aiuta granché
l’innovazione teorica, né è segno di una discontinuità costituente;
il problema è provare a individuare i nuovi termini o elaborare
altri arnesi concettuali. A meno che non ci si accontenti di
constatare l’eterogeneità del lavoro vivo contemporaneo,
preferendo la descrizione empirica alla scommessa politica,
o peggio ancora naturalizzando quell’eterogeneità e rinunciando
alla «virtualità» di una composizione comune. Dal punto di vista
della lotta di classe, comune è infatti il contrario di omogeneità.
Ecco la forma del rompicapo in cui siamo da tempo immersi. Se la
soluzione è solo nella pratica, una teoria rivoluzionaria non può
baloccarsi nel complicare continuamente le cose: possedere la
complessità del reale serve ad azzardare semplificazioni. Questa
é la differenza tra lo scrivere per gli intellettuali e lo
scrivere per i militanti. Negri ha perlopiù cercato di fare la
seconda cosa, assumendone anche i rischi teorici. E tuttavia di
fronte alle impasse, teoriche e politiche, forte è la tentazione
di ripiegare sull’incantesimo del metodo.
«Non so spiegarmi con me stesso», scriveva l’autore: sul bordo di
un possibile salto ci si può infatti spiegare solo dentro un
processo collettivo, perché collettivi sono i salti in avanti.
Altrimenti si salta nel vuoto, finendo per distruggere accumuli
organizzativi e di soggettività. E la ricostruzione precipita
in catastrofe, o in farsa. Attenzione allora a non trasformare
l’«elogio dell’assenza di memoria» in cancellazione della
conoscenza. L’assenza di memoria va conquistata attraverso la
produzione di genealogie partigiane, pena la loro
trasfigurazione in reliquie o rimozioni. Ed è solo in questa
costituzione materiale, «dall’altezza dell’esperienza fin qui fatta»,
che maturano i bisogni di discontinuità.
Soprattutto in tempi duri, l’unico intelletto a cui fare
riferimento è quello generale. Bastassero il genio individuale
e le belle idee, sarebbe stato molto più semplice spedire «Lenin a New
York» e prima ancora farlo arrivare in Inghilterra. Ma fuori dal
comune – come Negri ha insegnato dal punto di vista teorico – vi
è unicamente la profonda solitudine del singolo e di piccoli
gruppi attivisti o intellettuali. Solo in una ricerca militante
collettiva la storia si riapre consentire la conquista,
spinoziamente, dell’eternità. O, più modestamente, con l’Internazionale di Fortini: «qui l’avvenire è già presente – chi ha compagni non morirà».
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