venerdì 13 dicembre 2013

Le memorie di Boris Pahor

Boris Pahor: Ho vissuto. Biografia di un secolo, Bompiani

Risvolto
Il Novecento è il secolo di Boris Pahor: ne ha vissuto gli orrori e le conquiste, facendosene testimone per eccellenza. Il racconto della sua esperienza esistenziale è, dunque, un racconto etico e vivo, denso di avvenimenti e aneddoti che seguono un tracciato cronologico ma mai banale o scontato. La sua biografia si sviluppa attraverso questo racconto, fatto da Pahor in prima persona, e contestualizzato dalla curatrice. Non si tratta solo di una autobiografia ma anche di una storia di Trieste, storia in cui si specchia la storia del novecento europeo. Così, accanto alla storia viva, in presa diretta di Trieste, della comunità slovena e delle altre comunità che arricchivano e in parte arricchiscono, la città; accanto alla cronaca della disgregazione dell'impero asburgico, della Grande guerra, dello squadrismo e del fascismo, Boris Pahor racconta la sua crisi esistenziale, l'esperienza della guerra in Africa, l'adesione al fronte di liberazione sloveno e la conseguente deportazione nei lager, il difficile ritorno alla libertà e alla vita.


Biografia di un secolo

Pahor: così ho vissuto
Il Novecento raccontato in prima persona dal grande scrittore sloveno

di Boris Pahor l’Unità 12.12.13

AVEVA SCRITTO DI LEI, CHE, COME SI È DETTO, ERA STATA RIBATTEZZATA ŽIVKA: «E mi sembrò di comprendere come l’amore di Živkarappresenti l’antico amore del mare per la propria costa, fedele come le volute delle doline carsiche, riempite di sole».
Radoslava Premrl è entrata nella mia letteratura. Compare soprattutto in una novella, piuttosto estesa, intitolata Primorska ljubezen, poi ristampata con il titolo modificato in Dihanje morja (Il respiro del mare). E inserita in una raccolta dall’omonimo titolo, dedicata a lei. In questa prosa si riscontra una prima esposizione delle sue vicissitudini familiari in epoca fascista, del periodo in cui tutta la famiglia finì in prigione e la loro casa fu incendiata. Sono accennati anche la morte del fratello partigiano e il bieco omicidio della sorella.

4 settembre
Al suo fianco è sempre come stare in mezzo al mare mosso, e avevo l’impressione di aver trovato la metafora giusta e anche il momento giusto per dirla. «Le persone come te», aggiunsi, «dovrebbero essere tenute sempre come riserva dell’intero universo, per essere portate sulla terra alla fine delle guerre, dei lager, dei martiri e delle carceri». E sembrava che l’atmosfera silenziosa fosse diventata mia buona complice, e non più soltanto mera osservatrice, saggia e prudente. Eppure lei disse: «Come se io non fossi stata in carcere». E mentre lo diceva le sue pupille produssero un’ombra appena visibile, una lieve ruggine sulla frangetta d’oro. (...) Finalmente si volse verso di me. «Stai parlando del carcere? Quante cimici in quelle celle! Ma devo dire che eravamo di buonumore, nonostante tutto. Una suora ci faceva da carceriere. Un giorno mi sembrava comunque troppo sciocco quel rumore che faceva con il suo mazzo di chiavi; e quando entrò nella nostra cella, sbattei la porta e lei, nonostante quelle sue chiavi, rimase intrappolata. E allora mi misi a passeggiare per i corridoi, a spiare oltre le fessure all’interno delle celle per salutare i conoscenti. Quando alla fine mi imbattei in qualcuno. “Salvate quella suora”, dissi, “l’ho rinchiusa nella cella perché è cattiva con noi!’». Nel suo racconto c’era qualcosa di fiabesco, non tanto nel modo quanto nell’essenza stessa, nella sostanza in cui la fiaba riesce ad appagare tutti i desideri umani. La osservavo attentamente. (...) Perché probabilmente nel mio stupore s’intravedeva una silenziosa umiltà che si manifesta inaspettatamente sul volto come quel sottile strato di fondo incolore che rimane dopo numerose trasformazioni chimiche. Poi le sue palpebre rimasero socchiuse. In lei il vento stava scemando, calmandosi sulla riva oltre le case, mentre le stelle marine sulle pareti erano divenute quasi vere e familiari. I cavallucci marini avevano le teste annoiate, assonnate. Tutto era di nuovo messo in ordine e colmo di piccoli oggetti, come se l’ampio fluire dei sentimenti umani si fosse ridimensionato in stretti canali scavati dalle talpe.
Era questo il motivo per cui in quella quiete sonnolenta risplendeva ancora più lucente l’immacolato biancore del suo vestito. I ricami colorati cingevano i polsi e salivano fino al collo e oltre le gambe incrociate come onde di neve ammucchiata dal vento. Sotto c’era una bianca voluta, segnata ancora da quel punto croce blu, giallo, rosso. Quando sfiorai con la mano il suo polso, ancora fremeva leggermente, tanto che la mia frase rimase incompiuta e si perse per soffermarsi sulla bellezza del suo vestito. «Me lo sono cucito durante l’internamento», arrivò lieve la sua risposta. «In Lombardia». E allora fui stizzito nei confronti di quella rigida educazione, perché sarebbe stato giusto avvicinare le labbra ai ricami di quel polso bianco.
10 settembre
Stasera saliremo sul Nanos. (...) Quando ci sedemmo in giardino lei fu di nuovo assorta e in qualche modo grata per qualcosa di cui lei soltanto sapeva cosa fosse. Ma si trattava assolutamente di una dimostrazione di benevolenza che mi permetteva di sperare nei miei desideri celati. E parlammo di matrimoni, dello standard attuale e delle esigenze femminili. E allora disse: «Se io amassi qualcuno saprei far apparire come per un incantesimo tutto l’occorrente da una scatola di fiammiferi!»
14 settembre
Siamo sul Nanos già da due giorni. Qualcosa di strano mi sta succedendo. Come se fossi senza pensieri, se i principi in cui sinora credevo fossero scemati. Probabilmente è amore; ma se così fosse, si tratta di una specie particolare di amore perché sento come se in un attimo, di cui non mi sono reso conto, le mie cellule fossero state pulite da un invisibile bagno purificante. Ancora qualche tempo fa i miei pensieri, i miei sentimenti, le mie sensazioni, le mie abitudini e i progetti erano sparpagliati in dispense segrete; ora, invece, tutto è sparito. Ora ero svuotato. Forse lo devo alla montagna che era spirata sotto le bombe e si era fusa con il nulla davanti al forno crematorio, ma ora mi si stava rivelando di nuovo. Su queste montagne così familiari mancavo da dodici anni; in mezzo vi fu la fine del mondo. Era vero. Ed era lei la causa di questa rinascita. (...) Rimasi in silenzio mentre parlava; sentii un profondo bisogno di umiltà, quell’umiltà che ci pervade davanti alla magnificenza della natura. E avrei desiderato accarezzare il suo corpo con lo stesso rispetto con cui lo accarezzava l’acqua del lago, rimanendo nascosto come gli strati dell’acqua nella notte. Mai come allora mi sentii di troppo di fronte a un corpo femminile, così inutile e goffo. E lei continuò davvero il suo dialogo con il passato come se io non ci fossi. In quei giorni arrivò la notizia che la terra aveva accolto il corpo del suo eroico fratello che l’aveva condotta attraverso questi versanti del monte Nanos, accendendo i falò in segno di rivolta.
25 settembre
Sta diluviando. (...) Živka,me ne rendo conto, mi aveva ingannato, ma non so come. Ma nel contempo, mi sto dicendo, lei mi aveva pulito come quando la corrente del fiume ripulisce un vortice torbido. Ma se e così, perché non riesco a rispettare il suo silenzio? Sono un cittadino anche in questo, un cittadino abituato alla fretta e dunque cosi impaziente? Mentre le vie cittadine non potranno mai rendere Živka del tutto cittadina; lei si sta sviluppando con pazienza, lentamente, come la linfa che con calma dalle radici della pianta raggiunge gli acini d’uva. (...) In me c’e l’inquietudine del mare...
La presenza di mia moglie si riscontra anche nel romanzo La città nel golfo: mi ispiro al Carso, a Contovello, a Prosecco, raccontando la mia fuga dai tedeschi. E descrivo una vendemmia. In realtà e un’esperienza che ho vissuto dopo il rientro dalla deportazione, ma nella finzione letteraria l’ho inserita in un’epoca storica antecedente. Questo episodio risale al dopoguerra, l’ho vissuto a liberazione avvenuta, dopo aver concluso gli studi universitari. E infatti mi godo tutta questa bellezza da uomo rinato. La vendemmia fa da sfondo alla nascita di un amore: direi che la descrizione è ben riuscita. Nello splendore di un mare luccicante di sole, nella vigna si staglia una figura di donna, una figura positiva: e mia moglie.

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