lunedì 9 dicembre 2013
Una concezione della scienza dalla quale scompare il suo uso capitalistico
E il cui apparente obbiettivismo è dunque parecchio ideologico [SGA].
La conoscenza ci permette di realizzare pienamente la nostra natura umana Anticipiamo l’intervento di Nicla Vassallo, previsto in un incontro domani in Senato
di Nicla Vassallo l’Unità 9.12.13
DATO
CHE SI EVIDENZIANO SPESSO I PERICOLI DELLA SCIENZA, CONFONDENDO LA
RICERCA SCIENTIFICA CON LE APPLICAZIONI CUI DÀ ADITO, occorre ricordare
che la prima in sé consiste, per lo più, in ricerca pura, motivata
dall’esigenza di comprendere, mentre sono le applicazioni scientifiche a
sollevare, per lo più, effettivi problemi di ordine etico. Certo,
alcuni pericoli vengono ben rimarcati dai critici della scienza: c’è chi
sostiene che la nostra società sarebbe migliore senza la bomba atomica,
chi sottolinea che la scienza conduce in alcuni campi alla
disumanizzazione del lavoro, chi incrimina la scienza per il fatto di
minacciare la fede religiosa, chi vede nella scienza una manifestazione
del solo pensiero occidentale e uno strumento deplorevole della dominio
occidentale sulle culture “altre”, chi è convinto che la scienza venga
confutata da troppi pregiudizi maschilisti che contiene. Non intendo
tentare qui di capire se questi siano demeriti effettivi della scienza, o
letture viziate di essa. Anche perché ritengo che ogni individuo colto e
ragionevole non abbia difficoltà a riconoscere che la scienza spicca
tra le imprese umane. Non è forse la scienza ad aver trasformato in modo
radicale la nostra esistenza quotidiana? E non è forse la scienza a
modificare costantemente la nostra visione del mondo e di noi stessi,
conducendoci a nutrire credenze e ad acquisire conoscenze cui non
saremmo altrimenti approdati?
In effetti, la scienza esercita uno
straordinario influsso sul nostro quotidiano – basti, per esempio,
immaginare a che ne sarebbe di noi senza le tante scoperte e
applicazioni scientifiche, su cui facciamo conto in quasi ogni comune
attività. Meno banale è, invece, il fatto che nella cultura
contemporanea non vi sia altra disciplina prestigiosa e poco controversa
quanto la scienza: viene allora spontaneo chiedersi «cos’è la
scienza?». Oggi, specie nel nostro paese, è frequente la tendenza a
rispondere crudamente: la scienza è «qualcosa» di cui dobbiamo
diffidare. Tuttavia, quel «qualcosa» che la risposta contiene, e si
rifiuta di precisare, è proprio quanto ci proponiamo di chiarire con
«cos’è la scienza?», cosicché la risposta evade la domanda e non
possiamo ritenerci soddisfatti da quanto afferma: prima di giungere a
diffidare di qualcosa, dobbiamo sapere che cos’è di cui occorre
diffidare.
Coloro che sollevano perplessità etiche contro la
tecnologia si trovano in una posizione quasi contraddittoria: intendono
proibire alcune ricerche scientifiche perché ne temono le future
applicazioni tecnologiche e, al contempo, non rinunciano alla maggior
parte delle applicazioni passate, che hanno alle loro spalle la scienza e
che sono ormai intrinseche al nostro modo di modo di vivere
contemporaneo: si pensi (solo per fare alcuni esempi) alle automobili,
agli aerei, alle tecnologie audio-visive, al computer, all’elettricità,
alla penicillina.
Ancorché ordinaria, la confusione tra scienza e
tecnologia, al pari di ogni altra confusione, risulta poco giustificata.
Una cosa è, infatti, la conoscenza scientifica, che è conoscenza
proposizionale (sapere che una proposizione è vera), un’altra è la
conoscenza tecnologica (sapere come fare certe cose). Certo, sussistono
connessioni tra questi due tipi di conoscenza. Ma non è legittimo far
collassare l’una nell’altra, né sostenere che la scienza si propone il
«saper fare», quale principale obiettivo. Per di più, credere che
l’obiettivo della ricerca scientifica consista nel saper fare serve solo
a coloro che si propongono di arrestare (per ragioni a me
incomprensibili, sempre che di ragioni si tratti) il progresso
scientifico.
Per quanto risulti arduo negare che la conoscenza
scientifica venga utilizzata per scopi tecnologici antitetici occorre
aver ben presente che da ciò non segue che la conoscenza scientifica in
sé sia eticamente obiettabile. Lo è solo l’impiego che la società fa di
tale conoscenza. La domanda allora è: nell’ipotesi che occorrano
considerazioni di tipo etico nei confronti della tecnologia (o meglio
della società che utilizza una certa tecnologia, o che non la utilizza),
ha qualche senso applicare l’etica alla scienza? Molti filosofi
sostengono che non ha senso, dato che scopo della scienza consiste nel
fornirci conoscenza a proposito del mondo fisico. Altra questione è il
come la società decida di servirsi di questa conoscenza. Possiamo
appellarci all’etica per valutare le decisioni della società (a favore o
contro una qualche applicazione tecnologia. Non, però, con lo scopo di
sbarrare la strada alla scienza, scienza che è, infatti e per lo più,
neutrale rispetto alla sfera dei valori. Altri filosofi la pensano
diversamente. Contro la neutralità oppongono ovvie constatazioni, la
seguente per esempio: dato che i medesimi dati scientifici risultano
spiegabili in diversi modi, le scelte teoriche degli scienziati non sono
determinate solo dai dati, bensì anche da influenze politiche,
interessi economici e morali, fedi religiose, aspirazioni personali. Per
questi filosofi la scienza è «carica di valori» e che, come tale, deve
chiamare in causa l’etica.
Da parte mia, ritengo che occorra isolare
la scienza dalle influenze politiche, economiche, morali, religiose e
personali. E che questo possa avvenire tenendo salda la classica
distinzione tra «contesto della scoperta» e «contesto della
giustificazione»: cioè tra il modo in cui si giunge di fatto a una
scoperta scientifica e il modo in cui si dovrebbe giungere ad essa. A
livello di contesto della scoperta, quando lo scienziato seleziona
problemi e genera ipotesi, accade che alcune influenze culturali
giochino un ruolo più o meno rilevante. Esse però vengono a cadere al
momento della giustificazione, ove a contare sono i metodi scientifici e
le verifiche empiriche. Dato che è a livello della giustificazione, non
della scoperta, che è lecito parlare di scienza, quest’ultima risulta
allora impregnata di valori (non conoscitivi) solo in un senso assai
debole, non rilevante. Rimangono i fatti del mondo fisico. Fatti che non
sono né giusti, né sbagliati, né etici, né antietici, e che la scienza
continua a consentirci di conoscere. Permettendoci così (non è poco) di
realizzare pienamente la nostra natura umana: «Tutti gli esseri umani
aspirano per natura al sapere», afferma Aristotele.
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