Quel comunista che usò il potere del compromesso
lunedì 9 dicembre 2013
Mandela, i comunisti, la razza umana
L'articolo contiene alcune baggianate ma riconosce una cosa importante: "il Partito comunista fu l’unico partner del movimento che includesse bianchi, indiani e meticci" [SGA].
Quel comunista che usò il potere del compromesso
Quel comunista che usò il potere del compromesso
di Bill Keller Repubblica 9.12.13
NEL
2011, lo storico britannico Stephen Ellis sostenne che Nelson Mandela
era stato iscritto al Partito comunista sudafricano, anzi, aveva fatto
parte del Comitato centrale del partito, il suo organo direttivo. Anche
se l’African National Congress di Mandela era stretto alleato del
Partito comunista nella lotta contro l’apartheid, Mandela e l’Anc hanno
sempre negato che l’eroe della liberazione del Sudafrica fosse membro
del movimento. Ma Ellis, attingendo a testimonianze di ex iscritti al
partito e al materiale d’archivio da poco accessibile, sosteneva la tesi
che Mandela aderì al partito attorno al 1960. Vera o falsa che sia,
questa notizia ha davvero importanza?
La rivelazione di Ellis
infiammò alcuni critici e revisionisti, che la considerarono
dimostrazione del carattere di fronte stalinista dell’Anc. Probabilmente
suscitò un senso di rivalsa tra gli americani che erano stati
favorevoli al sostegno del loro governo al regime dell’Apartheid —
ferocemente anticomunista — negli anni della Guerra fredda. Di fatto,
quella del professor Ellis non è un’apologia del governo dei bianchi: la
sua tesi è che l’associazione con i comunisti improntò l’ideologia
dell’Anc al punto da esercitare ancora oggi di esso una profonda e
infausta influenza. «Oggi l’Anc dichiara di essere alla prima fase di
una rivoluzione a due fasi» mi ha scritto Ellis in un’email. «Questa è
una teoria che deriva direttamente dalpensiero sovietico».
Effettivamente nel programma e nell’atteggiamento del partito
sudafricano oggi al governo sono ancora vivi i codici e il gergo
comunisti.
Da giornalista mi sono occupato dell’Unione Sovietica dal
1986 al 1991 e del Sudafrica dal 1992 al 1995 e il mio punto di vista,
alla luce di queste esperienze, rispetta gli accademici ma ne riconosce
anche i limiti. Sia nella Russia di Gorbaciov che nel Sudafrica della
transizione mi sono reso conto che i concetti espressi nelle riunioni di
partito e codificati nei verbali non sono sempre indicazioni affidabili
sulle azioni future o addirittura sulle reali convinzioni della
dirigenza del partito. Ma l’adesione di Mandela al Partito comunista non
è un dettaglio trascurabile: non giustifica chi gongola nel dare la
caccia al rosso e certo non sminuisce il valore eroico del suo esempio.
Ma sotto alcuni aspetti ha un peso.
In primo luogo la breve adesione
di Mandela al Partito comunista sudafricano e la sua alleanza a lungo
termine con comunisti più ferventi sono segno del suo pragmatismo più
che della sua posizione ideologica. Mandela fu in fasi diverse un
nazionalista nero e un anti-razzista, si dichiarò contrario alla lotta
armata e giustificò la violenza, fu una testa calda e diede prova di
calma olimpica, fu divoratore di opuscoli marxisti e ammiratore della
democrazia occidentale, stretto alleato dei comunisti e, durante la sua
presidenza, partner dei potenti capitalisti sudafricani.
L’iniziale
collaborazione dell’Anc con i comunisti si configurò come un matrimonio
di convenienza per un movimento che aveva ben pochi amici. Il Partito
comunista sudafricano e i suoi patroni in Russia e in Cina erano fonte
di denaro ed armi per la lotta armata priva di mezzi. L’ideologia
comunista indubbiamente si insinuò nell’Anc, ma solo come ingrediente di
un cocktail al cento per cento sudafricano composto anche dal
nazionalismo africano, dalla consapevolezza nera, dal liberalismo
religioso e da altre rabbie, rancori e desideri in fieri.Quando però si
arrivò ai momenti critici, la fazione dei paladini della
nazionalizzazione e degli assetati di vendetta fu sconfitta dai fautori
del compromesso. Vinsero le tesi utili a portare avanti la causa di un
Sudafrica governato da sudafricani. Fu così per Mandela e per il suo
successore, Thabo Mbeki. L’attuale presidente, Jacob Zuma, sembra non
avere altro ideale che l’auto-arricchimento.
In uno dei processi in
cui fu imputato, chiesero a Mandela se fosse comunista. «Se per
comunista intendete un iscritto al Partito comunista e una persona che
crede nella teoria di Marx, Engels, Lenin e Stalin, e che si conforma
rigidamente alla disciplina del partito, non sono diventato comunista»,
disse. Una risposta al contempo evasiva e precisissima.
Forse
l’influsso più importante e duraturo esercitato del Partito comunista
sudafricano su Mandela si riscontra nel suo impegno antirazzista. L’Anc
agli esordi ammetteva solo neri. Per un lungo periodo il Partito
comunista fu l’unico partner del movimento che includesse bianchi,
indiani e meticci.
In terzo luogo l’affiliazione con il Partito
comunista ha un peso anche perché contribuisce a spiegare come mai il
Sud Africa non abbia compiuto molti passi avanti nel migliorare le
condizioni di vita delle classi più basse della popolazione. I numerosi
insuccessi collezionati dall’Anc in 19 anni al potere si spiegano col
fatto che non ha mai completato il processo di transizione da movimento a
partito politico, ancor meno a partito di governo. Il motivo della sua
incapacità non è la dottrina stalinista, né una dottrina in sé. È
qualcosa di insito nella natura, nella cultura dei movimenti di
liberazione: uniti da ciò contro cui si oppongono, tendono avere
carattere cospiratorio, a scoraggiare il dissenso, a privilegiare i fini
rispetto ai mezzi.
In fin dei conti ovviamente il comunismo fece a
Mandela e all’Anc il maggior favore nel momento in cui crollò. Con la
disintegrazione del blocco sovietico e l’apertura della Cina al
capitalismo, gli ultimi bianchi al potere in Sudafrica non poterono più
atteggiarsi ad alleati imprescindibili dalla parte giusta della Guerra
fredda. Capirono che i giochi erano finiti.
(© 2013 New York Times News Service Traduzione di Emilia Benghi)
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