Sulla
colpa e i tipi di colpa,e Georg Simmel dà alle stampe La metafisica
della morte.Contemporaneamente, il giovane tossicodipendente austriaco
Georg Trakl comincia a scrivere «la più inquietante poesia della prima
metà del secolo», e la sua controparte a sud delle Alpi, Dino Campana,
getta le fondamenta deiCanti orfici:il primo, incestuosamente legato
alla sorella, si ucciderà senza aver raggiunto la trentina, mentre il
secondo, più o meno alla stessa età, sarà chiuso in manicomio.
Alla
luce di simili materiali, Harrison intende mostrare la nascita di un
atteggiamento comune al nichilismo in filosofia e all’espressionismo in
arte, un atteggiamento segnato cioè dalla concezione della storia come
incubo e dall’ossessione per l’estenuazione, la decadenza, la mortalità
(cenni a suo tempo colti da Massimo Cacciari nel saggio sulla crisi del
pensiero negativo). I protagonisti di questa data cruciale sono quindi
poeti (George Trakl, Dino Campana, Rainer Maria Rilke), pittori (Wassily
Kandinsky, Egon Schiele, Oskar Kokoschka), pensatori (György Lukács,
Martin Buber, Georg Simmel, Scipio Slataper, Wilhelm Worringer),
musicisti (Arnold Schönberg): «Al pari di Michelstaedter molti di questi
personaggi erano ebrei e cittadini dell’impero austroungarico, morirono
in giovane età e, a volte, per propria mano. Quasi tutti si
dimostrarono tanto incerti nel governare i loro intenti quanto l’età in
cui vissero lo fu nell’imboccare il proprio cammino».
Dando prova di
una estrema capacità documentaria, spaziando dalla pittura alla musica,
dalla filosofia alla sociologia, Harrison sceglie di soffermarsi in
particolare sul capolavoro di Michelstaedter, La persuasione e la
rettorica.
Infatti, a suo parere, in questo testo ha luogo un
autentico collasso dell’io e dei suoi mezzi d’espressione, tanto da far
pensare che la tradizione soggettivista della filosofia occidentale
giunga al capolinea. Tale accesissima stagione culturale, va tuttavia
precisato, non durò a lungo. Innanzitutto perché nel 1918 molti dei suoi
protagonisti erano già morti o impazziti (Michelstaedter, Trakl,
Schiele, Campana, Slataper, Marc e Boine), poi per l’incombere della
Prima guerra mondiale: «Tra il 1914 e il 1918 tutto ciò che i pensatori
del 1910 avevano lamentato — la deficienza d’essere, l’insuccesso della
retorica razionale ed etica, la tragedia di tutti i tentativi di
autodeterminazione, le lotte di ognuno contro tutti — trovò una conferma
talmente vivida da far impallidire ogni precedente trattazione
teorica».
Così, con la sicurezza e la competenza di un diagnosta,
Harrison individua il ganglio nevralgico intorno a cui prese avvio la
metamorfosi della nostra civiltà. Abbiamo cominciato citando Virginia
Woolf. Sarà bene concludere con quanto il grande poeta tedesco Gottfried
Benn scrisse sul 1910, «l’anno in cui tutte le impalcature cominciarono
a
Gorizia capitale della dissonanza
All’inizio del Novecento fu la patria di una rivoluzione estetica. Michelstaedter ne era il simbolo
G Dorfles Sabato 23 Maggio, 2015 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA
U n curioso destino culturale quello della città di Gorizia — Göerz per gli austriaci dell’impero — per i quali era considerata quasi un luogo di villeggiatura invernale dato il suo buon clima e la vicinanza del mare con la sua spiaggia di Grado. La cittadina, che fu un fulcro drammatico della Grande guerra, doveva avere uno strano destino negli anni successivi durante i quali l’incontro con la cultura italiana si mescolava con le memorie della intelligentsia mitteleuropea; eppure proprio Gorizia doveva tornare alla ribalta degli ultimi tempi per la riscoperta di quello che fu uno dei più geniali rappresentanti delle sue vicende culturali: Carlo Michelstaedter.
Anche se Gorizia non aveva la tradizione universitaria della vicina Trieste o delle città austriache di Vienna e di Gratz, il caso volle che molte personalità del mondo artistico e culturale facessero tappa nel suo territorio; così ad esempio il grande pianista e compositore Liszt, così il musicologo Busoni, il pittore Bolaffio e tutti quei giovani letterati che aspiravano a una prossima unione con l’Italia; ma è solo recentemente che gli studiosi hanno riscoperto una delle personalità più intense e anomale nell’ambito filosofico: Carlo Michelstaedter autore di un unico libro, Persuasione e retorica che doveva di recente essere ripreso di nuovo in considerazione in un testo recente, 1910, L’emancipazione della dissonanza (Editori Internazionali Riuniti, pp. 319, € 20), dello studioso americano Thomas Harrison, professore di linguistica all’università di Los Angeles, il quale sottolineando per l’appunto i problemi cruciali di una «dissonanza culturale» di quell’epoca trovò il modo di riesumare la curiosa e intensa personalità di Michelstaedter come emblema di quella situazione culturale che una città come Gorizia rappresentava in maniera perfetta.
La famiglia Michelstaedter costituiva d’altronde uno dei centri culturali per la cittadina giuliana e — se mi è concessa una minima apertura autobiografica — ricordo ancora il giorno in cui mio padre mi condusse a Gorizia — sua città natale per conoscere i genitori del loro celebre figlio allora già suicida. In quell’occasione viene accennato al fatto che la famiglia aveva dato lo stesso nome di mio padre per l’amicizia e considerazione nei suoi confronti. Il volume di Thomas Harrison sottolinea sin dalle prime righe il problema della dissonanza e della discrepanza tra cultura ottocentesca e i nuovi fermenti della cultura mitteleuropea, nella quale già allora brillavano le personalità artistiche e filosofiche di Schoenberg, Max Huber, Honegger , Wittgenstein, Husserl e Freud, mentre artisti come Kokoschka, Egon Schiele formavano una sorta di olimpio culturale per quei tempi ancora inesistente nel nostro Paese. Ancora oggi la figura di Carlo Michelstaedter ha trovato modo di farsi strada tra le diverse personalità dell’epoca, cosi da rappresentare un lembo filosofico che non ha veri riscontri altrove. Tra gli altri autori che allora ebbero ad emergere oltre ai ben noti filosofi come Husserl, non bisogna dimenticare il caso di Rudolf Steiner e della sua antroposofia che proprio in quegli anni aveva trovato a Dornach il centro per lo sviluppo della sua dottrina.
Se il ricordo di Carlo e della sua famiglia era destinato a dileguarsi soprattutto dopo il suicidio precoce del giovane filosofo, la sua figura rimase costante a Gorizia che attraverso il suo nome viene oggi alla ribalta nel testo di Harrison, proprio per la coincidenza che è facile scorgere tra la «dissonanza» citata nel libro e l’atmosfera degli anni '10 del novecento che costituirono da una lato la rivendicazione delle istanze patriotiche italiane, dall’altro la presa di coscienza della nostra cultura dei grandi pensatori mitteleuropei già citati e che nel nostro Paese erano ancora abbastanza poco noti a prescindere da Husserl e Wittgenstein. Il fatto che uno studioso attento come Harrison abbia dedicato buona parte al volume della figura di Michelstaedter è indiscutibilmente un elemento positivo, non solo per la gloria postuma della cittadina giuliana, ma per il riconoscimento alla città di una priorità culturale molto spesso dimenticata. Non avrei certo pensato che avrei potuto occupami di quel periodo storico dopo tante vicende belliche e esistenziali eppure il ricordo dell’incontro con la famiglia Michelstaedter, mi è stato molto caloroso e non solo, mi ha permesso di prendere in considerazione un filosofo che troppo spesso viene oggi dimenticato. Quello che non credo si debba dimenticare è quella particolarità del periodo 1910-1920 perché il titolo stesso del volume Emancipazione della dissonanza comprende non solo una discrepanza filosofica culturale, ma addirittura una fase cruciale. Basterebbe il caso della musica a provarlo, dove l’avvento della dodecafonia doveva travolgere quella che era la sintassi musicale ottocentesca e immettere nella sfera delle note quella discrepanza tecnica assieme all’emancipazione della dissonanza che costituisce appunto il sottotitolo del volume di Harrison.
E quello che mi piace sottolineare è una frase del testo: «Il collasso dell’Io e dei suoi mezzi espressivi è ugualmente evidente nei dialoghi e nei disegni di Michelstaedter, nei suoi componimenti lirici e nei dipinti». Una personalità così complessa e approfondita come quella del giovane suicida doveva esemplificare in un certo modo la tragica situazione politica sociale oltre che psicologica dell’epoca che non a caso vide nelle figure di Freud, Jung, Worringer, una via che potesse condurre fuori dal limbo dell’inconscio e del conflitto esistentivo.
Prima della grande guerra
L’alba del secolo dei suicidi
Molti studenti, artisti, musicisti e poeti si tolsero la vita La coscienza tragica di Trakl, Schönberg e Michelstaedterdi Emilio Gentile Il Sole Domenica 31.5.15
Funesti presagi accolsero nel maggio del 1910 il passaggio della cometa
di Halley. Se Giovanni Pascoli dedicò alla cometa un inno, il poeta
russo Alexandr Blok le lanciò una poetica sfida: «Tu ci vai minacciando
l’ultima ora/dalla turchina eternità, o cometa! …. Incombi minacciosa
sulla testa/bellezza d’una stella spaventevole/ … Ma l’eroe non teme la
catastrofe,/finché imperversano le sue chimere». Orribili sconvolgimenti
furono invece annunciati dalla profetessa francese Madame de Thébes:
crolli finanziari, piogge di fuoco, l’umanità sommersa in un mare di
sangue. Inondazioni e incendi prevedeva il comandante generale
dell’Esercito della Salvezza a Londra. Il 6 maggio morì per una
bronchite il corpulento e gaudente Edoardo VII, re d’Inghilterra, amante
della pace, delle donne, dei viaggi e della buona tavola. “Zio
d’Europa” era soprannominato, perché suoi nipoti erano lo zar di Russia
Nicola II l’imperatore di Germania Guglielmo II, e il re di Spagna
Alfonso XIII. Nel destino di questi tre sovrani, i cultori di profezie
catastrofiche avrebbero potuto forse vedere una conferma postuma dei
funesti eventi annunciati al passaggio della cometa: lo zar perse il
trono nel 1917 e fu trucidato dai bolscevichi con la sua famiglia nel
1918; la corona imperiale di Guglielmo fu travolta dalla Grande Guerra, e
nel 1931 anche Alfonso fu costretto a lasciare il trono e la Spagna
dopo la vittoria dei repubblicani.
L’avvistamento della cometa alla Terra il 17 maggio diffuse
effettivamente il panico fra la popolazione dei paesi più progrediti. Un
giornale tedesco annunciò per il 18 maggio la fine del mondo, perché si
temeva che la cometa, sfiorando il pianeta, lo avrebbe avvolto in una
mortale nube di gas venefici. Il 18 maggio il «New York Times» informava
che «il terrore provocato dall’avvicinarsi della cometa di Halley si è
impossessato di gran parte degli abitanti di Chicago», mentre ovunque
negli Stati Uniti la gente affollava le chiese e invocava per la strade
la protezione divina.
Ma la cometa proseguì il suo viaggio nell’universo e l’umanità
sopravvisse. Molti risero per essersi lasciati prendere dal panico, in
un’epoca in cui l’ottimismo prevaleva nel continente che dominava il
mondo con i suoi imperi coloniali, all’apice di un primato egemonico
mondiale, economico, politico, militare, culturale, civile. L’Europa
viveva nell’epoca bella della modernità trionfante. Da quaranta anni non
c’erano state guerre sul continente. Da quaranta anni non c’era stata
rivoluzione, dopo che per quasi cento anni, fra il 1789 e il 1870,
l’Europa aveva generato grandi rivoluzioni. E negli ultimi quaranta
anni, la popolazione europea era aumentata di oltre cento milioni,
grazie alla sua fecondità, ma soprattutto grazie al miglioramento delle
condizioni di vita e alla diminuzione della mortalità. Ovunque, nei
paesi più progrediti, era diffusa la fede nel progresso inarrestabile,
all’insegna della ragione, della conoscenza, della prosperità e della
pace.
Eppure, pochi giorni prima del passaggio della cometa, il 20 aprile, il
direttore della Società Psicoanalitica di Vienna Sigmund Freud organizzò
un convegno per discutere sulle motivazioni dei sempre più numerosi
suicidi, in particolare fra gli studenti. Negli ultimi decenni,
nell’impero asburgico c’era stato un rapido aumento dei suicidi,
culminato proprio nel 1910, come ricorda Thomas Harrison, che ha scelto
il 1910 per esplorare le profonde dissonanze che tormentarono il
pensiero e la coscienza di giovani artisti, musicisti, poeti e filosofi,
afflitti da angoscia esistenziale che spinse alcuni di loro al
suicidio. Come accadde nel 1903 al filosofo austriaco Otto Weininger,
ebreo antisemita, che si uccise a ventitre anni, poco dopo aver
pubblicato Sesso e carattere, un libro di grande successo (diciotto
edizioni fino al 1919), nel quale sosteneva che solo il maschio ariano
possedeva razionalità, carattere, fede, senso della nazione, mentre ne
erano costituzionalmente sprovvisti gli ebrei e le donne. Weininger,
osserva Harrison, stabiliva una «connessione fra l’esperienza giudaica e
un senso di mancanza di direzione, di opposizione e di
disintegrazione», che il razzismo antisemita avrebbe fatto propria,
identificando nell’ebraismo le angoscianti dissonanze della modernità.
Era ebreo e aveva ventitre anni il giovane goriziano Carlo
Michelstaedter, quando si uccise con due colpi di pistola il 17 ottobre
1910. Quel giorno aveva terminato la sua tesi di laurea, pubblicata
postuma nel 1913, intitolata La persuasione e la retorica, elaborata,
come osserva Harrison, per assolvere a «un compito difficilissimo:
colmare la frattura che si è spalancata in Occidente fra essere e
divenire, permanenza e mutamento, quiete e desiderio», nella ricerca di
un’esistenza individuale autentica, vissuta con dedizione assoluta,
oltre lo stesso istinto di conservazione, nella persuasione della
verità, anche la più tragica, rifiutando le false illusioni di una
retorica fondamentalmente egoistici. Il giovane poeta filosofo esortava
ad avere «il coraggio di vivere tutto il dolore della tua insufficienza
in ogni punto – per giungere ad affermare la persona che ha in sé la
ragione, per comunicare il valore individuale».
L’esperienza di Michelstaedter è collocata da Harrison al centro di una
indagine sulla coscienza tragica di giovani artisti, poeti, filosofi,
musicisti, come Arnold Schönberg, Wassily Kandisky, Oscar Kokoschka,
George Trakl, György Lukács, che quasi per tacito accordo, simili a
solitarie Cassandre, negli anni dieci del secolo scorso lanciarono «il
grido di allarme di coloro che vivono il destino dell’umanità», come lo
definì Schönberg, per contrapporre alla «disgregazione della vita
materiale senz’anima dell’Ottocento», come affermava Kandinsky,
«l’edificazione della vita intellettuale e spirituale del Novecento». E
con il loro senso tragico della vita, espresso nella pittura, nella
musica, nella poesia, nella filosofia, realizzarono «l’emancipazione
della dissonanza» facendo esplodere la fragile illusione armonica della
modernità trionfante. Per alcuni di loro, la dissonanza lacerante dello
loro individualità fu incapace di resistere alla fascinazione della
morte, e si lasciarono annegare nella «gelida onda dell’eternità», che
«ingoierà, forse, l’aura effigie dell’uomo», come il poeta Trakl, morto
suicida al fronte il 3 novembre 1914, pochi mesi dopo l’esplosione della
Grande Guerra.
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