mercoledì 29 gennaio 2014

Alla vigilia della catastrofe: tradotto "1910" di Thomas Harrison


Thomas Harrison: 1910 L’emancipazione della dissonanza, Editori Riuniti pagg. 330 euro 20

Risvolto

Il 1910 non è un anno come gli altri per il mondo occidentale. Manca meno di un quinquennio allo scoppio della prima guerra mondiale e l'apparizione nei cieli d'Europa della cometa di Halley sembra preannunciare la tragedia che decreterà la crisi di un'intera cultura. In quegli anni arte, filosofia, musica e letteratura rivelano con nuova crudezza le ossessioni e le paure dell'uomo contemporaneo, di cui Thomas Harrison mostra la traumatica gestazione attraverso le vicende esemplari di intellettuali e artisti come Kandinsky, Schiele, Kokoschka, Lukàcs, Rilke e Schönberg. Spostandosi tra Germania, Italia e impero asburgico, l'autore si sofferma sulla complessa figura di Carlo Michelstaedter, poeta, pittore e filosofo di Gorizia che si toglie la vita proprio nel 1910, a soli ventitré anni. La tesi di laurea "La persuasione e la rettorica", lascito filosofico cui il saggio rivolge particolare attenzione, fu terminata il giorno stesso del suicidio e costituisce un'emblematica dichiarazione di morte della vecchia Europa. La percezione di una metafisica conflittuale e l'ossessione universale per la malattia e la morte, la ricerca di un'espressione autentica dell'anima e il perseguimento di un'etica del sacrificio sono temi che accomunano tutti i pensatori e gli artisti del 1910: una ricerca intellettuale brutalmente messa a tacere dalla guerra ma con cui, cento anni dopo, ci troviamo ancora a dover fare i conti. 
Un’intervista a Thomas Harrison, a cura di Alberto Comparini
leparolelecose.it


152 13-03-2014 corriere della sera 36/37 

Correva l’anno 1910, il nichilismo conquistava l’Europa

Il saggio di Thomas Harrison sulle metamorfosi di una civiltà

di Valerio Magrelli Repubblica 28.1.14
Pochi anni fa, Paolo Conti pubblicò da Laterza un libro intitolato 1969. Tutto in un anno. Rispetto al celebre Sessantotto, il testo riscopriva eventi di vasta portata: Jan Palach a Praga, piazza Fontana a Milano, il divorzio in Italia, il festival di Woodstock, canzoni come Mi ritorni in mente di Battisti e Abbey Road dei Beatles, film quali Easy Rider e Fellini Satyricon, fino allo sbarco dell’uomo sulla Luna. Da parte sua, mesi fa, Florian Illies ha presentato 1913. L’anno prima della tempesta (Marsilio, pagg. 303, euro 19,50). Tra musica, arte e letteratura, l’autore studia Marcel Duchamp e Ludwig Kirchner, Stravinskij e Schönberg, quindi Kafka, Rilke, Brecht, scorgendo, sullo sfondo, Freud e Hitler. Ben diverso dal primo, più simile al secondo, appare adesso

1910. L’emancipazione della dissonanza, di Thomas Harrison (Editori Riuniti pagg. 330, euro 20).

Anche questo testo (uscito una quindicina d’anni fa per l’University of California Press di Berkeley) parte da congiunture impressionanti. Se il 19 aprile Sigmund Freud e la Società psicoanalitica di Vienna, sgomenti di fronte al crescere dei suicidi nella gioventù austro-ungarica, dedicano al tema un’apposita conferenza, il 17 ottobre 1910, a Gorizia, il ventitreenne filosofo e poeta Carlo Michelstaedter si uccide con la rivoltella, e mentre il 17 maggio la cometa di Halley turba i cieli d’Europa, alla fine di ottobre Max Weber, Martin Buber e Georg Simmel si incontrano nella Prima conferenza della Società tedesca di sociologia. Insomma, basterebbero queste notizie a giustificare l’affermazione di Virginia Woolf: «Intorno al dicembre 1910, il carattere dell’umanità cambiò».
Ma non è tutto. Nel medesimo anno compaiono i più angosciati autoritratti di Egon Schiele e Oskar Kokoschka, Schönberg abbandona le classiche strutture armoniche per l’atonalità, Freud menziona per la prima volta in uno scritto il complesso d’Edipo, Carl Schmitt pubblica
Sulla colpa e i tipi di colpa,e Georg Simmel dà alle stampe La metafisica della morte.Contemporaneamente, il giovane tossicodipendente austriaco Georg Trakl comincia a scrivere «la più inquietante poesia della prima metà del secolo», e la sua controparte a sud delle Alpi, Dino Campana, getta le fondamenta deiCanti orfici:il primo, incestuosamente legato alla sorella, si ucciderà senza aver raggiunto la trentina, mentre il secondo, più o meno alla stessa età, sarà chiuso in manicomio.
Alla luce di simili materiali, Harrison intende mostrare la nascita di un atteggiamento comune al nichilismo in filosofia e all’espressionismo in arte, un atteggiamento segnato cioè dalla concezione della storia come incubo e dall’ossessione per l’estenuazione, la decadenza, la mortalità (cenni a suo tempo colti da Massimo Cacciari nel saggio sulla crisi del pensiero negativo). I protagonisti di questa data cruciale sono quindi poeti (George Trakl, Dino Campana, Rainer Maria Rilke), pittori (Wassily Kandinsky, Egon Schiele, Oskar Kokoschka), pensatori (György Lukács, Martin Buber, Georg Simmel, Scipio Slataper, Wilhelm Worringer), musicisti (Arnold Schönberg): «Al pari di Michelstaedter molti di questi personaggi erano ebrei e cittadini dell’impero austroungarico, morirono in giovane età e, a volte, per propria mano. Quasi tutti si dimostrarono tanto incerti nel governare i loro intenti quanto l’età in cui vissero lo fu nell’imboccare il proprio cammino».
Dando prova di una estrema capacità documentaria, spaziando dalla pittura alla musica, dalla filosofia alla sociologia, Harrison sceglie di soffermarsi in particolare sul capolavoro di Michelstaedter, La persuasione e la rettorica.
Infatti, a suo parere, in questo testo ha luogo un autentico collasso dell’io e dei suoi mezzi d’espressione, tanto da far pensare che la tradizione soggettivista della filosofia occidentale giunga al capolinea. Tale accesissima stagione culturale, va tuttavia precisato, non durò a lungo. Innanzitutto perché nel 1918 molti dei suoi protagonisti erano già morti o impazziti (Michelstaedter, Trakl, Schiele, Campana, Slataper, Marc e Boine), poi per l’incombere della Prima guerra mondiale: «Tra il 1914 e il 1918 tutto ciò che i pensatori del 1910 avevano lamentato — la deficienza d’essere, l’insuccesso della retorica razionale ed etica, la tragedia di tutti i tentativi di autodeterminazione, le lotte di ognuno contro tutti — trovò una conferma talmente vivida da far impallidire ogni precedente trattazione teorica».
Così, con la sicurezza e la competenza di un diagnosta, Harrison individua il ganglio nevralgico intorno a cui prese avvio la metamorfosi della nostra civiltà. Abbiamo cominciato citando Virginia Woolf. Sarà bene concludere con quanto il grande poeta tedesco Gottfried Benn scrisse sul 1910, «l’anno in cui tutte le impalcature cominciarono a


Gorizia capitale della dissonanza 
All’inizio del Novecento fu la patria di una rivoluzione estetica. Michelstaedter ne era il simbolo 
G Dorfles Sabato 23 Maggio, 2015 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA
U n curioso destino culturale quello della città di Gorizia — Göerz per gli austriaci dell’impero — per i quali era considerata quasi un luogo di villeggiatura invernale dato il suo buon clima e la vicinanza del mare con la sua spiaggia di Grado. La cittadina, che fu un fulcro drammatico della Grande guerra, doveva avere uno strano destino negli anni successivi durante i quali l’incontro con la cultura italiana si mescolava con le memorie della intelligentsia mitteleuropea; eppure proprio Gorizia doveva tornare alla ribalta degli ultimi tempi per la riscoperta di quello che fu uno dei più geniali rappresentanti delle sue vicende culturali: Carlo Michelstaedter. 
Anche se Gorizia non aveva la tradizione universitaria della vicina Trieste o delle città austriache di Vienna e di Gratz, il caso volle che molte personalità del mondo artistico e culturale facessero tappa nel suo territorio; così ad esempio il grande pianista e compositore Liszt, così il musicologo Busoni, il pittore Bolaffio e tutti quei giovani letterati che aspiravano a una prossima unione con l’Italia; ma è solo recentemente che gli studiosi hanno riscoperto una delle personalità più intense e anomale nell’ambito filosofico: Carlo Michelstaedter autore di un unico libro, Persuasione e retorica che doveva di recente essere ripreso di nuovo in considerazione in un testo recente, 1910, L’emancipazione della dissonanza (Editori Internazionali Riuniti, pp. 319, € 20), dello studioso americano Thomas Harrison, professore di linguistica all’università di Los Angeles, il quale sottolineando per l’appunto i problemi cruciali di una «dissonanza culturale» di quell’epoca trovò il modo di riesumare la curiosa e intensa personalità di Michelstaedter come emblema di quella situazione culturale che una città come Gorizia rappresentava in maniera perfetta. 
La famiglia Michelstaedter costituiva d’altronde uno dei centri culturali per la cittadina giuliana e — se mi è concessa una minima apertura autobiografica — ricordo ancora il giorno in cui mio padre mi condusse a Gorizia — sua città natale per conoscere i genitori del loro celebre figlio allora già suicida. In quell’occasione viene accennato al fatto che la famiglia aveva dato lo stesso nome di mio padre per l’amicizia e considerazione nei suoi confronti. Il volume di Thomas Harrison sottolinea sin dalle prime righe il problema della dissonanza e della discrepanza tra cultura ottocentesca e i nuovi fermenti della cultura mitteleuropea, nella quale già allora brillavano le personalità artistiche e filosofiche di Schoenberg, Max Huber, Honegger , Wittgenstein, Husserl e Freud, mentre artisti come Kokoschka, Egon Schiele formavano una sorta di olimpio culturale per quei tempi ancora inesistente nel nostro Paese. Ancora oggi la figura di Carlo Michelstaedter ha trovato modo di farsi strada tra le diverse personalità dell’epoca, cosi da rappresentare un lembo filosofico che non ha veri riscontri altrove. Tra gli altri autori che allora ebbero ad emergere oltre ai ben noti filosofi come Husserl, non bisogna dimenticare il caso di Rudolf Steiner e della sua antroposofia che proprio in quegli anni aveva trovato a Dornach il centro per lo sviluppo della sua dottrina. 
Se il ricordo di Carlo e della sua famiglia era destinato a dileguarsi soprattutto dopo il suicidio precoce del giovane filosofo, la sua figura rimase costante a Gorizia che attraverso il suo nome viene oggi alla ribalta nel testo di Harrison, proprio per la coincidenza che è facile scorgere tra la «dissonanza» citata nel libro e l’atmosfera degli anni '10 del novecento che costituirono da una lato la rivendicazione delle istanze patriotiche italiane, dall’altro la presa di coscienza della nostra cultura dei grandi pensatori mitteleuropei già citati e che nel nostro Paese erano ancora abbastanza poco noti a prescindere da Husserl e Wittgenstein. Il fatto che uno studioso attento come Harrison abbia dedicato buona parte al volume della figura di Michelstaedter è indiscutibilmente un elemento positivo, non solo per la gloria postuma della cittadina giuliana, ma per il riconoscimento alla città di una priorità culturale molto spesso dimenticata. Non avrei certo pensato che avrei potuto occupami di quel periodo storico dopo tante vicende belliche e esistenziali eppure il ricordo dell’incontro con la famiglia Michelstaedter, mi è stato molto caloroso e non solo, mi ha permesso di prendere in considerazione un filosofo che troppo spesso viene oggi dimenticato. Quello che non credo si debba dimenticare è quella particolarità del periodo 1910-1920 perché il titolo stesso del volume Emancipazione della dissonanza comprende non solo una discrepanza filosofica culturale, ma addirittura una fase cruciale. Basterebbe il caso della musica a provarlo, dove l’avvento della dodecafonia doveva travolgere quella che era la sintassi musicale ottocentesca e immettere nella sfera delle note quella discrepanza tecnica assieme all’emancipazione della dissonanza che costituisce appunto il sottotitolo del volume di Harrison. 
E quello che mi piace sottolineare è una frase del testo: «Il collasso dell’Io e dei suoi mezzi espressivi è ugualmente evidente nei dialoghi e nei disegni di Michelstaedter, nei suoi componimenti lirici e nei dipinti». Una personalità così complessa e approfondita come quella del giovane suicida doveva esemplificare in un certo modo la tragica situazione politica sociale oltre che psicologica dell’epoca che non a caso vide nelle figure di Freud, Jung, Worringer, una via che potesse condurre fuori dal limbo dell’inconscio e del conflitto esistentivo.

Prima della grande guerra
L’alba del secolo dei suicidi
Molti studenti, artisti, musicisti e poeti si tolsero la vita La coscienza tragica di Trakl, Schönberg e Michelstaedterdi Emilio Gentile Il Sole Domenica 31.5.15
Funesti presagi accolsero nel maggio del 1910 il passaggio della cometa di Halley. Se Giovanni Pascoli dedicò alla cometa un inno, il poeta russo Alexandr Blok le lanciò una poetica sfida: «Tu ci vai minacciando l’ultima ora/dalla turchina eternità, o cometa! …. Incombi minacciosa sulla testa/bellezza d’una stella spaventevole/ … Ma l’eroe non teme la catastrofe,/finché imperversano le sue chimere». Orribili sconvolgimenti furono invece annunciati dalla profetessa francese Madame de Thébes: crolli finanziari, piogge di fuoco, l’umanità sommersa in un mare di sangue. Inondazioni e incendi prevedeva il comandante generale dell’Esercito della Salvezza a Londra. Il 6 maggio morì per una bronchite il corpulento e gaudente Edoardo VII, re d’Inghilterra, amante della pace, delle donne, dei viaggi e della buona tavola. “Zio d’Europa” era soprannominato, perché suoi nipoti erano lo zar di Russia Nicola II l’imperatore di Germania Guglielmo II, e il re di Spagna Alfonso XIII. Nel destino di questi tre sovrani, i cultori di profezie catastrofiche avrebbero potuto forse vedere una conferma postuma dei funesti eventi annunciati al passaggio della cometa: lo zar perse il trono nel 1917 e fu trucidato dai bolscevichi con la sua famiglia nel 1918; la corona imperiale di Guglielmo fu travolta dalla Grande Guerra, e nel 1931 anche Alfonso fu costretto a lasciare il trono e la Spagna dopo la vittoria dei repubblicani.
L’avvistamento della cometa alla Terra il 17 maggio diffuse effettivamente il panico fra la popolazione dei paesi più progrediti. Un giornale tedesco annunciò per il 18 maggio la fine del mondo, perché si temeva che la cometa, sfiorando il pianeta, lo avrebbe avvolto in una mortale nube di gas venefici. Il 18 maggio il «New York Times» informava che «il terrore provocato dall’avvicinarsi della cometa di Halley si è impossessato di gran parte degli abitanti di Chicago», mentre ovunque negli Stati Uniti la gente affollava le chiese e invocava per la strade la protezione divina.
Ma la cometa proseguì il suo viaggio nell’universo e l’umanità sopravvisse. Molti risero per essersi lasciati prendere dal panico, in un’epoca in cui l’ottimismo prevaleva nel continente che dominava il mondo con i suoi imperi coloniali, all’apice di un primato egemonico mondiale, economico, politico, militare, culturale, civile. L’Europa viveva nell’epoca bella della modernità trionfante. Da quaranta anni non c’erano state guerre sul continente. Da quaranta anni non c’era stata rivoluzione, dopo che per quasi cento anni, fra il 1789 e il 1870, l’Europa aveva generato grandi rivoluzioni. E negli ultimi quaranta anni, la popolazione europea era aumentata di oltre cento milioni, grazie alla sua fecondità, ma soprattutto grazie al miglioramento delle condizioni di vita e alla diminuzione della mortalità. Ovunque, nei paesi più progrediti, era diffusa la fede nel progresso inarrestabile, all’insegna della ragione, della conoscenza, della prosperità e della pace.
Eppure, pochi giorni prima del passaggio della cometa, il 20 aprile, il direttore della Società Psicoanalitica di Vienna Sigmund Freud organizzò un convegno per discutere sulle motivazioni dei sempre più numerosi suicidi, in particolare fra gli studenti. Negli ultimi decenni, nell’impero asburgico c’era stato un rapido aumento dei suicidi, culminato proprio nel 1910, come ricorda Thomas Harrison, che ha scelto il 1910 per esplorare le profonde dissonanze che tormentarono il pensiero e la coscienza di giovani artisti, musicisti, poeti e filosofi, afflitti da angoscia esistenziale che spinse alcuni di loro al suicidio. Come accadde nel 1903 al filosofo austriaco Otto Weininger, ebreo antisemita, che si uccise a ventitre anni, poco dopo aver pubblicato Sesso e carattere, un libro di grande successo (diciotto edizioni fino al 1919), nel quale sosteneva che solo il maschio ariano possedeva razionalità, carattere, fede, senso della nazione, mentre ne erano costituzionalmente sprovvisti gli ebrei e le donne. Weininger, osserva Harrison, stabiliva una «connessione fra l’esperienza giudaica e un senso di mancanza di direzione, di opposizione e di disintegrazione», che il razzismo antisemita avrebbe fatto propria, identificando nell’ebraismo le angoscianti dissonanze della modernità.
Era ebreo e aveva ventitre anni il giovane goriziano Carlo Michelstaedter, quando si uccise con due colpi di pistola il 17 ottobre 1910. Quel giorno aveva terminato la sua tesi di laurea, pubblicata postuma nel 1913, intitolata La persuasione e la retorica, elaborata, come osserva Harrison, per assolvere a «un compito difficilissimo: colmare la frattura che si è spalancata in Occidente fra essere e divenire, permanenza e mutamento, quiete e desiderio», nella ricerca di un’esistenza individuale autentica, vissuta con dedizione assoluta, oltre lo stesso istinto di conservazione, nella persuasione della verità, anche la più tragica, rifiutando le false illusioni di una retorica fondamentalmente egoistici. Il giovane poeta filosofo esortava ad avere «il coraggio di vivere tutto il dolore della tua insufficienza in ogni punto – per giungere ad affermare la persona che ha in sé la ragione, per comunicare il valore individuale».
L’esperienza di Michelstaedter è collocata da Harrison al centro di una indagine sulla coscienza tragica di giovani artisti, poeti, filosofi, musicisti, come Arnold Schönberg, Wassily Kandisky, Oscar Kokoschka, George Trakl, György Lukács, che quasi per tacito accordo, simili a solitarie Cassandre, negli anni dieci del secolo scorso lanciarono «il grido di allarme di coloro che vivono il destino dell’umanità», come lo definì Schönberg, per contrapporre alla «disgregazione della vita materiale senz’anima dell’Ottocento», come affermava Kandinsky, «l’edificazione della vita intellettuale e spirituale del Novecento». E con il loro senso tragico della vita, espresso nella pittura, nella musica, nella poesia, nella filosofia, realizzarono «l’emancipazione della dissonanza» facendo esplodere la fragile illusione armonica della modernità trionfante. Per alcuni di loro, la dissonanza lacerante dello loro individualità fu incapace di resistere alla fascinazione della morte, e si lasciarono annegare nella «gelida onda dell’eternità», che «ingoierà, forse, l’aura effigie dell’uomo», come il poeta Trakl, morto suicida al fronte il 3 novembre 1914, pochi mesi dopo l’esplosione della Grande Guerra.

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