martedì 7 gennaio 2014
Augusto Graziani
Il rigore della critica al pensiero dominante
Augusto Graziani è morto ieri, a Napoli, pochi mesi dopo le
celebrazioni per i suoi ottant’anni. Scompare così il maestro di una
intera generazione di economisti italiani, raffinato
innovatore delle idee di Marx e Keynes e acutissimo critico dei
luoghi comuni su cui regge il consenso verso la politica economica
dominante. Nell’opera di ricerca, così come nella didattica e nella
divulgazione, Graziani ha incarnato una miscela per certi versi
unica di rigore intellettuale, potenza dialettica e delicatezza
espressiva. Una figura minuta, quasi a simboleggiare la fragilità
della condizione umana, che manifestava una sincera empatia verso
chiunque fosse soggiogato dalla durezza della vita materiale, ma che
al contempo racchiudeva lo spirito di un temuto combattente,
capace con pochi affondi di rivelare l’insipienza dei protervi
strilloni della vulgata economica che avevano la sventura
di incrociare le sue affilate armi critiche. Quello stesso spirito
tuttavia sembrò pure obbligarlo a un voto di perenne sobrietà: un
velo di rigoroso understatement, sempre lì a celare la sua grandezza.
Nell’epoca della mediocrità alla ribalta lo si potrebbe definire un
uomo d’altri tempi. Appellativo condivisibile, purché ci si
riferisca non solo al passato ma anche e soprattutto al futuro. In
più occasioni, infatti, Graziani ha saputo anticipare il corso degli
eventi storici. Attualissimi, in questo senso, sono i suoi studi
sulle contraddizioni nel rapporto tra sviluppo economico
italiano e ristrutturazione del capitalismo continentale, che
oggi dominano la scena politica e che sollevano dubbi crescenti
sulla sopravvivenza dell’Unione monetaria europea.
Nel 2002, a Napoli, nell’aula Vanvitelliana della facoltà di
Scienze politiche, Graziani tenne una lezione sull’euro appena
entrato in circolazione. I colleghi ad ascoltarlo vennero
numerosi. La sensazione era che i più lo onorassero senza esser
minimamente persuasi dal suo scetticismo sulla sostenibilità
futura dell’eurozona. Sarebbe ingeneroso criticarli, col senno di
poi. Dopotutto la grancassa dell’ideologia in quei giorni operava
a pieno ritmo, seducendo persino le menti più brillanti e avvezze
alla critica. Graziani peraltro è sempre parso alquanto
refrattario alle opere di seduzione ideologica.
I suoi dubbi sulla moneta unica, ben saldati sul terreno dei fatti,
non si limitavano a trarre spunto dalla ben nota lezione keynesiana
sulla insostenibilità di quelle unioni valutarie che pretendono
di scaricare l’intero peso dei riequilibri commercialisui soli
paesi debitori. Vi era pure, nella sua analisi, una lettura
implicita del concetto marxiano di centralizzazione dei
capitali, e dei tremendi conflitti politici che ne possono
derivare. Il pessimismo di Graziani era dunque fondato su una
consapevolezza profonda dell’equilibrio precario su cui verteva
il processo di unificazione europea, e del rischio che prima o poi
la situazione potesse precipitare, sotto il giogo di meccanismi
divergenti favorevoli all’economia più forte del continente. Una
sorta di richiamo implicito alla caustica sentenza di Thomas Mann
sull’essenza dello spirito prevalente in Germania: «Dove l’orgoglio
dell’intelletto si accoppia all’arcaismo dell’anima e alla
costrizione, interviene il demonio».
Nel clima di entusiasmo suscitato dalla nascita dell’euro,
tuttavia, le preoccupazioni di Graziani non attecchirono. Nel
nostro paese, piuttosto, trovò largo seguito l’improbabile ideologia
del «vincolo esterno». I suoi propugnatori sostenevano che
i vincoli imposti dall’Europa sul governo della moneta, del tasso di
cambio, dei bilanci pubblici, non costituivano la dimostrazione
che l’Unione andava costituendosi a immagine e somiglianza degli
interessi del più forte, ossia del capitalismo tedesco.
Piuttosto, si diceva, quei vincoli avrebbero miracolosamente
trasformato i piccoli ranocchi dello stagnante e frammentato
capitalismo italiano in algidi principi della modernità globale,
in vere e proprie avanguardie della produzione planetaria.
Insomma, modernizzare il capitalismo italiano, renderlo più
centralizzato e quindi più forte: alcuni padri della patria hanno
incredibilmente sostenuto che il vincolo esterno imposto
dall’Europa potesse spontaneamente fare tutto questo,sia pure in un
deserto di progettualità e di investimenti.
In tanti furono abbagliati da simili illusioni. Di contro, in un articolo pubblicato sempre nel 2002 sulla International Review of Applied Economics,
Graziani fu tra i pochi a segnalare che il vincolo esterno avrebbe
potuto determinare un effetto esattamente opposto a quello
annunciato. Egli cioè previde che i capitalisti italiani
avrebbero tentato di rimediare alla perdita delle ultime leve del
cambio e della politica economica tramite una contrazione dei
costi basata sulla ulteriore frammentazione dei processi
produttivi, finalizzata a reiterare il lassismo in campo fiscale
e contributivo e ad accelerare la precarizzazione del lavoro.
Fino a scoprire, nella crisi, che questa strategia non poteva
reggere.
Contraddizioni di classe
Oggi sappiamo che le cose sono andate proprio come Graziani aveva
previsto. Sappiamo pure che, proseguendo di questo passo,
l’inasprirsi dei conflitti tra capitalismi europei potrà condurre
a un tracollo dell’Unione, che porrà i decisori politici di fronte
a una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall’euro,
ognuna delle quali avrà diverse implicazioni sui diversi gruppi
sociali coinvolti. I contributi di Graziani, fondati su una visione
moderna delle contrapposizioni tra e dentro le classi sociali,
potranno aiutarci anche ad afferrare i termini di quello snodo
decisivo, che pian piano affiora all’orizzonte. Senza dubbio, vi
è oggi ancora chi preferisce distogliere lo sguardo da una simile
prospettiva, e si affida ancora alle sempre più flebili speranze di
rilancio del miglior europeismo. Ma in tempi più illuminati del
nostro è stato detto acutamente che l’invito a sperare è in fondo un
invito a ignorare. Chi conosce non spera ma prevede, e se le
condizioni oggettive e la metodica organizzazione delle forze lo
permettono, si dispone ad agire per il cambiamento. Credo che
Augusto Graziani abbia bene incarnato questo modus operandi.
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