Il "Mago di Messkirch" (così era
soprannominato dai suoi studenti) per circa quarant'anni (dall'inizio
degli anni Trenta al 1975, l'anno precedente alla sua morte) tenne una
sua navigazione segreta, quasi quotidiana. Immaginate quest'uomo,
piccolo, taciturno, duro, sospettoso come un contadino dell'Alta Svevia
che, la sera nella sua baita di Todtnauberg, dava libero sfogo ai
pensieri più nascosti, e avrete una vaga idea di cosa siano questi
quaderni (in tutto nove) che Klosterman (editore delle opere complete)
ha deciso di pubblicare. Sono molti gli interrogativi che queste pagine
suscitano. Vado ad affrontarli con la persona giusta: Donatella Di
Cesare, ordinario di Filosofia teoretica alla Sapienza di Roma, autrice
di libri sull'etica ebraica, Gadamer e contro il negazionismo. Il
prossimo mese uscirà con un testo su Israele e la filosofia (per
Bollati Boringhieri) e in primavera con Heidegger e la Shoah. Di Cesare
è una singolare figura di studiosa: è membro della comunità ebraica di
Romae al tempo stesso vice presidente dell' Heidegger Gesellshaft, la
società filosofica che nel mondo raccoglie diverse centinaia di
studiosi. Del resto, non aveva avuto Heidegger stesso allievi ebrei? A
cominciare da Hannah Arendt e poi Karl Löwith, Leo Strauss, Emmanuel
Lévinas: pensatori che hanno beneficiato, anche se in maniera
contrastata, delle riflessioni del maestro. Ma in questi quaderni la
materia che scotta non riguarda tanto, o solamente, la questione, ormai
annosa, dell'adesione al nazismo, quanto quella più esplosiva del
presunto antisemitismo di Heidegger.
«Dopo aver letto queste
pagine sono rimasta sconvolta», dice la Di Cesare, mentre indica sul
tavolo le bozze dei tre quaderni. «Non posso ovviamente rendere
pubblico nessun estratto perché c'è l'embargo dell'editore tedesco fino
alla data di pubblicazione dei tre quaderni, prevista per il 13 marzo.
Ma le assicuro che il mio primo impulso è stato di dimettermi dalla carica di vice presidente».
Mentre
la Di Cesare va a recuperare un suo libretto, sbircio tra quei fogli.
Mi colpisce un'espressione: Weltjudentum, "ebraismo mondiale". Richiama
scenari cupi, complotti internazionali, l'anticamera del peggior
antisemitismo. Davvero Heidegger se ne macchiò in modo indelebile? «Per
me quell'espressione è carica di minacce. Ed è inequivocabile sul
piano del significato. È come se individuasse un nemico sugli altri:
l'ebreo. Agli ebrei egli imputa la bastardizzazione del mondo e
l'autoestraneazione dei popoli.
Potremmo dire che, in negativo,
è il primo esempio di globalizzazione. L'argomentazione heideggeriana
non si sviluppa però solo su un piano politico, ma assume anche
contorni filosofici».
I Quaderni neri - l'immaginazione ci
spinge a vederne i risvolti più inquietanti, sebbene la dicitura sia
dello stesso Heidegger che lavorava su dei taccuini dalla copertina di
quel colore- sono in tutto trentatré. A quanto pare due di essi sono
andati perduti. Se ne conoscono le date: uno risale al 193132, l'altro
al 1945-46. Con ogni evidenza, appartengono a periodi cruciali della
vita del filosofo e dei tedeschi. Da un lato, la Germania entra nel suo
periodo nazista; dall'altro, sconfitta dalla guerra, ne esce con tutte
le terribili conseguenze che sappiamo. Chi sono i responsabili?
Sarebbe stato interessante gettare un occhio sui materiali scomparsi.
Vedere cosa Heidegger pensasse all'inizio e alla fine di quella storia
micidiale: «Alla Klosterman sostengono che il filosofo prestò quei due
quaderni e che non li riebbe mai più indietro. Hanno scritto perciò,
nel loro sito, che se qualcuno ne fosse ancora in possesso è pregato di
restituirli al figlio Hermann Heidegger. La cosa ha il sapore dello
scherzo». Hermann - oggi ultranovantenne, figlio sì di Heidegger, ma
che la moglie Elfride ebbe con un altro - è sempre stato un custode
ortodosso delle opere del padre. Si sospetta che quei due quaderni
siano stati sfilati da qualche "manina santa". Perché? «Non bisogna
essere troppo svegli per intuire che lì dentro, con ogni probabilità,
ci sono i pensieri più compromettenti del filosofo sulla questione
ebraica».
Naturalmente qui si cammina sul ghiaccio. Ma c'è molto
fermento nella Heidegger Gesellshaft che, non essendo la Spectre, si
interroga oggi su quanto di male stia accadendo. Nel frattempo il ruolo
che era di Hermann, in qualità di membro familiare presente nella
società filosofica, è stato preso dal figlio Arnulf. Un uomo, dice la
Di Cesare, generoso e di grande libertà mentale. «Grazie a lui, alcuni
di noi si sono resi conto che l'edizione delle opere complete di
Heidegger presenta qualche manomissione. Sono state ad esempio
eliminate alcune parole. La domanda è: perché superflue o perché
compromettenti? Per ora ci limitiamo a questo».
Mi chiedo chi
potrebbe essere il "perverso filologo", o meglio il censore. E il
pensiero corre a Hermann Heidegger, ai suoi celebri diktat editoriali.
«Non lo sappiamo», si cautela la Di Cesare. Chiedo se dietro all'
affaire non vi sia la longa manus di F. W. Von Herrmann, assistente di
Heidegger, negli ultimi anni, e curatore di parecchie opere. Anche qui
cautela.
Ma sembra sia stato proprio Von Herrmann a impedire la
pubblicazione di questi sorprendenti Quaderni neri. C'è un dettaglio
rilevante, aggiunge la Di Cesare: «Heidegger in persona ha lasciato,
tra le sue volontà testamentarie, l'indicazione che i Quaderni fossero
pubblicati a compimento dell'edizione delle sue opere. Hermann
Heidegger non si è mai pronunciato circa l'esistenza di questo lascito.
Nessuno, fino alla primavera di quest'anno, ne sapeva nulla. Sono
convinta che la loro pubblicazione non sarà un danno per l'immagine
del filosofo. Lì dentro ci sono moltissime cose che chiariscono il suo
pensiero».
Dunque non solo un polemico atto d'accusa, ma anche una vertiginosa discesa nella sua filosofia.
Spiega la Di Cesare: «Lo stile è diverso da quello che conosciamo.
Di
solito siamo abituati a leggere Heidegger attraverso i suoi saggi e le
sue lezioni. Dentro una prosa oscura e meticolosa. Qui, in gran parte,
si tratta di riflessioni che vengono svolte con un andamento
aforistico, quasi di impronta nicciana. Sono considerazioni
prevalentemente filosofiche ma con una continua presa di posizione su
questioni attuali, anche politiche. Sono convinta che i Quaderni neri
muteranno la visione che abbiamo di Heidegger».
In bene? In male? Vediamo.
Tornando
alla spinosissima questione dell'antisemitismo c'è da aggiungere un
particolare. Heidegger, secondo la Di Cesare, non parla mai degli ebrei
come razza.
Riporta quell'esperienza alla sua concezione
metafisica. Quindi ne fa un problema filosofico. Come va intesa questa
affermazione? Si sa che Heidegger pose sullo stesso piano
americanismo, bolscevismo e, da ultimo, lo stesso nazismo, come
manifestazioni dell'epoca della tecnica. Anche l'ebraismo, chiedo,
finisce nello stesso calderone? Risponde la Di Cesare: «Proprio alla
luce della rilettura che fa della storia dell'Essere, notiamo qui
qualcosa di più radicale e diverso. In alcune pagine dei Quaderni parla
di Entwurzelung, di sradicamento dell'Essere, e dice che questo
"sradicamento" è imputabile agli ebrei. È un'accusa metafisica. Non
c'entrano niente il sangue e la razza». E allora? «L'idea che mi sono
fatta è che accanto a una questione filosofica ci sia in Heidegger una
questione teologico-politica che non va sottovalutata. In fondo,
leggendo Jacob Taubes e Carl Schmitt ci si accorge che le posizioni di
Heidegger non erano poi così distanti. La cosa che interessava a tutti e
tre era il lato messianico dell'ebraismo».
Ma lo declinano in modi diversi, replico. «È vero, ma lo sfondo teologico-politico è il medesimo.
Con
questa precisazione. Quando Heidegger parla di sradicamento, in realtà
sta alludendo alla forza messianica, planetaria, dell'ebraismo e
reagisce come farebbe un conservatore della vecchia Europa. Ossia
delineando uno scontro planetario (che del resto la guerra in qualche
modo legittimava): da un lato lo sradicamento, dall'altro la Germania -
che lui identificava con l'Europa- che deve rispondere con la forza
del Boden ossia del radicamento al suolo, alla terra, alla dissoluzione
planetaria. I passi contenuti nei Quaderni mostrano una profonda
intuizione del messianismo. Heidegger capisce tutto. Stando dalla parte
sbagliata».
Bisognerebbe, a questo punto, domandarsi cosa ha
significato la lunga e perfino penosa reticenza da parte del filosofo
nei riguardi di chi gli chiedeva una spiegazione delle mostruosità che
erano accadute. Solo in un'occasione, per quel che ne so, Heidegger si
pronunciò alludendo ai campi di sterminio. Parlò della «fabbricazione
dei cadaveri». Poi più nulla. Salvo accorgersi che, in quelle sere
passate nella sua "capanna", i pensieri tornavano spesso su quel
dramma. Quasi fosse un algido affresco dell'inferno. Dobbiamo essere
indulgenti con un grande pensatore? Dobbiamo continuare a distinguere
la sua filosofia dai suoi comportamenti? È su questo che i Quaderni
neri oggi ci interpellano.
E quel lungo silenzio - che Derrida
interpretò come la scelta di un filosofo che non giudicava nessuna
parola all'altezza di quella tragedia - andrebbe sciolto in una nuova
consapevolezza. O quanto meno in una più evidente ragione sulle
responsabilità della filosofia verso la politica.
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