giovedì 9 gennaio 2014
Il libro di Terry Eagleton su Marx
Terry Eagleton: Perché Marx aveva ragione, Armando
Risvolto
In questo libro combattivo e radicale, Terry Eagleton affronta l’opera
di Marx con un linguaggio semplice e diretto. In un mondo come quello
attuale, caratterizzato da una pesante crisi del capitalismo, questo
libro ha il merito di discutere in modo critico e diretto le accuse di
coloro che rimproverano a Marx di non essere più attuale. Ma proprio il
momento che stiamo vivendo conferma sempre più la verità e l’attualità
del suo pensiero. Eagleton ha il merito di avvicinare a Marx anche il
lettore che ha meno familiarità con le sue riflessioni, attirando un
pubblico ampio, non solo di accademici.
Marx? Non era un opinion maker
Terry Eagleton è un sofisticato e iroso intellettuale di
spicco della «nuova sinistra» inglese. Di origine irlandese e docente
di letteratura comparata, è una firma che compare spesso sui
giornali al di là della Manica. Ogni suo articolo scatena polemiche
a non finire. L’ultima, in termini di virulenza, lo ha visto
incrociare la penna con Martin Amis sull’«occidentalismo», cioè sulla
rivendicata, da parte dello scrittore inglese, superiorità dei
sistemi politici occidentali — garanti dei diritti civili
individuali — rispetto a quelli dei paesi terzi. In quell’occasione
Eagleton non esitò ad accusare Amis, da sempre vicino al «New Labour»
di Tony Blair, di razzismo. Scoccarono scintille e la polemica
dilagò per mesi sulla stampa inglese. Ma questa attitudine alla
polemica è complementare alla sua capacità di scrivere saggi
critici sulla storia della letteratura inglese, sulla filosofia
novecentesca e sul marxismo. In Italia, sono stati tradotti Figure
del dissenso, Ideologia, Il senso della vita e L’idea di cultura
e un suo intervento critico sul noto libro di Jacques Derrida Spettri di Marx.
Quasi a riprendere il filo rosso di quel testo, Eagleton ha mandato in libreria un pamphlet dal titolo Why Marx Was Right, finalmente
tradotto da Armando con il titolo Perché Marx aveva ragione (pp. 239,
euro 19). L’anno della pubblicazione del volume è il 2011 e l’autore
interveniva nel pieno di di una riabilitazione dell’opera
dell’autore del Capitale che periodicamente occupa il centro della
scena nella discussione pubblica. Sono infatti anni che riviste,
giornali quotidiani, intellettuali conservatori non fanno che
elogiare la critica al capitalismo di Marx alla luce della crisi
che dal 2007 ha messo in ginocchio Stati Uniti e Europa.
L’opera marxiana è così riabilitata, nonostante il fallimento
del socialismo reale, per la sua capacità di prevedere le crisi,
mentre Marx è elevato al rango di uno studioso che tutti
i capitalisti dovrebbero leggere per evitare di ripercorrere gli
errori che hanno portato all’attuale crisi. È contro questa
riabilitazione che Eagleton si scaglia, per sottrarre Marx a una
vulgata che neutralizza la sua critica dell’economia politica.
Prendendo a modello un famoso testo dedicato a Feuerbach, il libro
è costruito partendo da dieci «tesi» diffuse negli ambienti
conservatori per confutarle. Al microscopio sono passati tutti
i luoghi comuni che circolano attorno a Marx: il determinismo
economico; l’egualitarismo nemico della «vera» natura umana; una
filosofia della storia che considera come inevitabile il
socialismo; l’inevitabile fine del marxismo perché lo sviluppo
capitalistico ha dissolto come neve al sole la classe operaia; la
tendenza dei partiti che si rifanno a Marx a edificare società
tiranniche; la nefasta utopia di una società di liberi e eguali; la
tendenza a ridurre la realtà all’economia; il gretto materialismo
che cancella la spiritualità; la spiegazione del divenire delle
società a partire dalla lotta di classe; l’apologia della violenza
come levatrice della storia; la statolatria dei marxisti;
l’indifferenza dei marxisti per i nuovi movimenti sociali.
Eagleton ha gioco facile per ribattere punto su punto. Per fare
questo, mette tra parentesi il marxismo consolidato,
evidenziando invece la problematicità che caratterizza i testi
del filosofo di Treviri. E tuttavia la sua è un’arringa difensiva
che non fa che confermare proprio quel marxismo consolidato dal
quale invita a prendere congedo. Sia ben chiaro, gli scritti di Marx
sono attraversati da un’attitudine antidogmatica che lo ha portato
a «correggere» alcune tesi iniziali, nella prospettiva di dare
fondamento scientifico alla sua critica dell’economia politica.
Assegnare alla lotta di classe la centralità che merita non ha,
infatti, mai significato per Marx che altri «fattori» non svolgano
un ruolo fondamentale nello sviluppo individuale.
Quel che ha sempre tenuto a sottolineare è che la divisione in
classe della società e la condanna a vivere nel «regno della
necessità» esercitano un evidente condizionamento nella vita dei
singoli. Sta forse in questo lo svelamento della frase «è l’essere
sociale a determinare la sua coscienza». Niente determinismo,
dunque, ma un’indicazione di ricerca sui molti sentieri aperti da
un’«opera aperta», a partire dal nodo inerente la formazione delle
soggettività collettive e di come la produzione culturale,
nella sua autonomia, svolga un ruolo nel vivere in società. E nel
definire le gerarchie sociali. Dunque nessun determinismo
economico. Tutto ciò per dire che il problema non è tanto la difesa
dell’opera marxiana, bensì la definizione di un progetto di ricerca
e di elaborazione che, partendo proprio dai nodi problematici,
si ponga l’obiettivo di colmare lacune, aporie, contraddizioni.
Le argomentazioni di Eagleton in difesa di Marx perdono forza
nella sovrapposizione che egli compie tra la sua opera e il
marxismo reale, cioè quell’articolata biblioteca di
interpretazioni che per tutto il Novecento ha riempito scaffali di
saggi e libri. Soltanto che il marxismo non è un ordine del discorso
unitario, ma è segnato da letture e interpretazioni differenti,
spesso confliggenti l’una con l’altra. In altri termini, Eagleton
compie un cortocircuito tra la storia politica del marxismo
e l’opera di Marx. Operazione legittima, sia chiaro, ma solo se
esplicitata fino in fondo, elemento che è invece assente in questo
pamphlet.
Il libro di Eagleton si propone però di sottrarre Marx a una
lettura «pacificata», memore di quella undicesima tesi su
Feuerbach che invitava a cambiare il mondo dopo averlo
interpretato. Per lo studioso inglese, infatti, Marx è soprattutto
un militante. La sua prassi teorica è stata sempre finalizzata a
«abolire lo stato di cose presenti». Resta però da fornire una
risposta alla domanda: perché il pensiero dominante lo riabilita?
Perché lo ha ridotto a una specie di profeta o, tutt’al più, a un
brillante pensatore da usare più o meno come si può usare un
qualsiasi altro studioso della società. È questa neutralizzazione
della portata «politica» l’oggetto polemico dello studioso
irlandese. Più che prendersela con i conservatori, sotto traccia,
gli spettri da combattere sono le tesi di intellettuali come
Jacques Derrida laddove invitavano a studiare Marx, lasciandone
da parte la dimensione «politica»; oppure l’opinion maker Jacques
Attali, che ha scritto una biografia del filosofo di Treviri
descritto come un promettente storico dell’economia. Oppure a quella
riduzione di Marx a classico della filosofia, con i suoi testi
allineati in un ipotetico scaffale che segue quello di Hegel.
Insomma, un filosofo da consegnare alla storia e nulla più. Il libro
di Eagleton è un antidoto a tutto ciò. È questo il suo più grande
merito.
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