Noam Chomsky
“Quello che siamo e facciamo sono soltanto linguaggio
Intervista all’intellettuale americano che spiega le sue teorie e le sue radicali opinioni politichedi Federico Capitoni Repubblica 18.1.14
Noam Chomsky terrà una lectio magistralis il 25 gennaio a Roma durante
il Festival delle Scienze che si tiene all’Auditorium Parco della musica
Il 23 gennaio esce, per Ponte alle Grazie il libro I padroni dell’umanità pagg. 200, euro 16,50
«Non penso che ci sia un politico che abbia mai prestato una qualche
attenzione a ciò che scrivo, dico o faccio». A 85 anni, Noam Chomsky si
rende bene conto che pure essere uno degli intellettuali più ascoltati
del pianeta, non cambia la direzione che il mondo ha preso. Il grande
linguista americano, a partire dagli anni Settanta, ha scelto seriamente
la strada del pensiero e dell’attivismo politico che lo ha portato oggi
a essere l’interlocutore privilegiato nei dialoghi sui problemi di
ordine mondiale. Una raccolta dei suoi saggi politici, I padroni
dell’umanità (Ponte alle Grazie, in libreria il 23), mette ora in fila
tutte le sue risposte, generalmente volte a condannare i sistemi
neoliberisti e neocolonialisti.
Nel frattempo la sua idea di una grammatica universale (facoltà mentale
comune a tutti gli individui) e la teoria della grammatica generativa
(l’insieme, finito, delle regole che danno luogo alle potenzialmente
infinite formulazioni delle frasi) hanno iniziato a camminare da sole:
«La grammatica generativa è ormai una scienza, – dice – e come tale
raccoglie i risultati prodotti dalla partecipazione collettiva di tanti
studiosi». Il 25 gennaio a Roma, all’interno del Festival delle Scienze,
Chomsky terrà una lezione magistrale in cui parlerà del linguaggio e
della mente. Ma il pubblico italiano potrà incontrarlo anche la sera
prima in un curioso spettacolo musicale, Conversazioni con Chomsky, una
talk-opera multimediale del compositore Emanuele Casale, ove il
linguista parteciperà a «una sessione di domande sugli argomenti della
linguistica, dell’economia e della politica, anche italiana»…
Professor Chomsky, lei parteciperà a un’opera musicale. Si dice spesso
che la musica sia un linguaggio universale. Ma, innanzi tutto, la musica
è un linguaggio?
«Il concetto di linguaggio nell’uso comune è vago e informale. È
comunque possibile formulare almeno alcune chiare domande. Per esempio
quali relazioni ci sono tra musica e linguaggio umano? Ci sono studi su
questo e molte idee interessanti ma la domanda generale non ha risposta.
È come domandarsi se gli aeroplani volino (certo, ma non come le
aquile) o se i sottomarini nuotino (non proprio come delfini). Sono
faccende che hanno a che fare con le metafore che scegliamo di
accettare, non sono questioni fattuali».
Cosa differenzia il linguaggio verbale dagli altri sistemi di segni (suoni, figure, gesti)?
«È importante ricordare che il linguaggio umano non è necessariamente
verbale. Può essere espresso attraverso suoni, il modo più comune, o
segni grafici. Come abbiamo scoperto in anni recenti, molti linguaggi
simbolici che sono nati nel mondo sono particolarmente simili ai
linguaggi orali. A ogni modo il linguaggio umano differisce da altri
sistemi di segni in alcuni importanti aspetti: struttura, uso,
rappresentazione neuronale. È stato anche scoperto che lo stesso gesto
può funzionare in maniera diversa se viene usato in un sistema di segni o
se in un contesto non linguistico. Le proprietà fondamentali del
linguaggio umano appaiono uniche e sono probabilmente emerse
relativamente di recente rispetto al processo evolutivo. La facoltà del
linguaggio sembra essere ampiamente dissociata da altri sistemi
cognitivi umani e completamente differente dai sistemi di comunicazione
animali».
Se il linguaggio è generato dalla grammatica e la grammatica fondata su
strutture foniche, si potrebbe dire che il linguaggio si origina più
probabilmente dal suono che dal segno?
«Quello che possiamo dire è che il suono è solo una delle forme di
esternalizzazione del linguaggio e non sembra essere essenziale della
sua natura. Concordo con la tradizione che tende a considerare il
linguaggio primariamente uno strumento del pensiero e la sua
esternalizzazione, in una o un’altra modalità, un processo secondario. È
tuttavia vero che i segni grafici sono cosa piuttosto recente nella
storia dell’uomo, tra l’altro solo in certe culture, e che non possano
essere collegati all’origine del linguaggio».
Cosa pensa delle recenti ricerche neurolinguistiche? I risultati
scientifici mettono a tacere la lunga diatriba tra “innatismo” e
“comportamentismo”?
«Nonostante io abbia sempre trovato fuorviante parlare di dibattito tra
“comportamentismo” e “innatismo” (e soprattutto su questa parola
bisognerebbe accordarsi, perché non ha un significato ben definito), non
si può seriamente dubitare che ci sia un alto numero di fattori innati
che entrano in ogni aspetto della funzione cognitiva. L’unica
alternativa è la magia. Il lavoro scientifico è determinare questi
fattori:per esempio, qual è la dote biologica che rende il bambino, e
non un altro organismo, in grado di sviluppare le capacità che io e lei
stiamo usando ora? E così domande simili sulle facoltà mentali e non.
Anche i comportamentisti ormai credono a fattori innati».
Se il linguaggio dà forma all’esperienza, quanto i problemi del mondo dipendono dal linguaggio?
«Difficile pensare che esista un’attività umana in cui il linguaggio non
sia direttamente coinvolto. Dire che ci sia una dipendenza dal
linguaggio è plausibile ma è una questione davvero troppo seria e
indefinita per esaminarla».
Il suo ultimo libro si intitola I padroni dell’umanità. Chi sono costoro?
«I centri corporativi delle società industriali avanzate vogliono farsi
ricordare come i padroni dell’umanità. Il termine è preso in prestito da
una frase di Adam Smith: “la vile massima dei padroni dell’umanità:
tutto per noi, niente per gli altri”. È esattamente la proprietà
istituzionale delle società capitaliste ».
Lei scrive che potere e verità sono in conflitto e che gli intellettuali
o ricercano la verità o comandano. È dunque impossibile il governo dei
filosofi sognato da Platone?
«Bakunin predisse che il governo dalla classe emergente della scientific
intelligentsia avrebbe portato alle peggiori e brutali autocrazie della
storia umana. È risultata un’osservazione lungimirante. Non c’è dunque
ragione per aspettarsi che il governo dei filosofi, o quello di una
qualsiasi altra élite, sia migliore».
Tra i temi che le stanno più a cuore c’è l’ambiente. Quali rischi dobbiamo temere maggiormente?
«Ci sono due ombre scure che incombono su ogni considerazione riguardo
al futuro: la catastrofe ambientale e la guerra nucleare. La prima è già
tristemente una realtà; l’altra è un rischio sempre presente che non
accenna a dissolversi, è quasi un miracolo che siamo scappati a un
disastro nucleare non così tanto tempo fa. Pessimismo e ottimismo sono
questioni soggettive, non sono importanti: qualunque sia il proprio
stato d’animo, le azioni da intraprendere sono essenzialmente le
stesse».
Viaggio nella cartografia delle strutture verbali dove «istintivamente le aquile che volano nuotano»
La mappa della lingua è universale e infinita
I meandri del cervello Ciò
che ogni essere umano sempre padroneggia è un oggetto certo finito, ma
di portata illimitata, cui è concesso un repertorio incalcolabile di
espressioni
di Noam Chomsky Corriere 8.1.14
Il linguaggio è stato
proficuamente studiato per 2500 anni, ma solo di recente è diventato
possibile formulare chiaramente la sua proprietà fondamentale: in parole
semplici, ogni lingua offre il modo di esprimere un repertorio infinito
di pensieri. Nel corso degli anni vi erano stati tentativi sommari di
cogliere tale proprietà. Per esempio, Charles Darwin osservò che gli
animali inferiori differiscono dagli esseri umani solamente per il
maggior potere, un potere quasi infinito , di associare e comporre i più
svariati suoni con le più svariate idee. L’espressione quasi infinito
deve essere intesa come, semplicemente, infinito , e adesso sappiamo che
il modo di fare tali associazioni è nell’uomo radicalmente diverso da
quello di ogni altra specie. Ciò detto, Darwin aveva sostanzialmente
ragione, sebbene non fosse ancora in grado di formulare in dettaglio un
programma produttivo di ricerca su questa speciale facoltà umana.
Uno
dei più insigni studiosi dell’evoluzione, Ian Tattersall, in una sua
recente rassegna sulle origini dell’uomo, conclude dicendo:
«L’acquisizione della sensibilità unicamente umana è stata improvvisa e
recente nei tempi dell’evoluzione e la sua espressione è stata quasi
certamente il portato dell’invenzione di quello che è il singolo più
notevole tratto dell’uomo moderno, cioè il linguaggio». In sostanza,
ritroviamo il potere notevolissimo di cui parlava Darwin.
A partire
dalla metà del XX secolo, le scienze formali (matematica, logica e
teoria del calcolo) avevano offerto una ricca comprensione di come un
sistema finito — il cervello umano o un calcolatore programmabile —
possa generare un repertorio infinito di espressioni. Ciò rese possibile
formulare precisamente la proprietà in questione e aprire la strada a
un’indagine in profondità sulla proprietà che era stata fino ad allora
inaccessibile a un esame specifico.
La lingua che ogni essere umano
padroneggia è un oggetto finito, ma di portata infinita. È una proprietà
interna alla persona, un sistema di elaborazione e calcolo di un
cervello finito che rende possibile esprimere un repertorio infinito di
espressioni strutturate, ciascuna delle quali viene interpretata su due
livelli: quello dell’apparato sensorio-motorio (per lo più suoni, ma
anche segni nei linguaggi dei segni) e quello dei sistemi di pensiero
atti a interpretare il mondo circostante, pianificare le azioni,
ragionare ed eseguire molti altri processi mentali. Uno schema di
ricerca che vuole cogliere tale proprietà è (per definizione) una
grammatica generativa . Tale tipo di grammatica cerca di rendere
totalmente espliciti i processi finiti che subentrano nel normale uso
della lingua nella sua varietà complessa e illimitata.
Il programma
di ricerca della grammatica generativa , avviato in questi termini circa
60 anni orsono, ha enormemente arricchito l’ambito dei fenomeni
empirici accessibili allo studio, includendo lingue di tipi assai
diversi. Ha, inoltre, consentito di indagarli a un livello di profondità
prima inimmaginabile e in domini nuovi: per esempio studiare in modo
nuovo e molto illuminante in che modo il significato di espressioni
complesse sia determinato dall’operare di poche e astratte regole
interne al linguaggio. Studiare il linguaggio come oggetto biologico ha
anche consentito di ampliare enormemente il tipo di dati propri a una
certa lingua, includendo il modo in cui il bimbo la acquisisce e come
esso è dissociato da altre funzioni cognitive, inaugurando anche una
bio-linguistica e una neuro-linguistica.
Un obiettivo ancora più
ambizioso è stato quello di portare alla luce (usando le parole
dell’insigne linguista Otto Jespersen) «i grandi principi che
sottostanno alle grammatiche di tutte le lingue, ottenendo una più
approfondita comprensione dell’intima natura del linguaggio e del
pensiero umano». Nell’era moderna, tale studio ha preso il nome di
grammatica universale , adattando una terminologia tradizionale al nuovo
contesto. Non mi sembra possa essere messo seriamente in dubbio che gli
esseri umani sono accomunati da un bagaglio biologico prefissato, che è
alla base della capacità di acquisire e usare il linguaggio, e questo è
ciò che la grammatica universale studia. Che questa capacità sia, in
essenza, il patrimonio unico dell’umanità, è quanto Darwin e molti altri
studiosi avevano riconosciuto. Nella misura in cui comprendiamo le
proprietà della grammatica universale , lo studio di una lingua può
poggiare sui risultati ottenuti nello studio di altre lingue,
consentendo, una volta di più, una maggior comprensione della natura e
dell’uso del linguaggio.
Lo studio di ogni bagaglio biologico è
sempre complesso. Cionondimeno, c’è stato un notevole progresso sul
fronte della grammatica universale , sebbene molti problemi e ardui
interrogativi siano ancora aperti e ne scaturiscano sempre di nuovi. Il
progresso è stato sufficiente a rendere abbordabile un nuovo programma
di ricerca negli ultimi anni: chiedersi quale sarebbe la soluzione
perfetta per soddisfare le richieste fondamentali imposte dal
funzionamento del linguaggio, imposte, cioè, dalla proprietà
fondamentale vista sopra. Quando si scoprono delle discrepanze tra ciò
che si osserva e le soluzioni ideali, ci si chiede come reinterpretare i
dati e come rivedere le intuizioni teoriche in modo da sanare tali
discrepanze. Questo programma prende il nome di programma minimalista , e
ben si attaglia al quadro della recente e subitanea emergenza
evoluzionistica del linguaggio descritta da Tattersall. Adottando
progressivamente questo programma di ricerca è stato possibile rivelare
che alcune proprietà piuttosto sbalorditive della grammatica universale
sono il portato coerente dell’ipotesi che il design del linguaggio sia
ottimale sotto il profilo visto sopra.
Un esempio di tale
ottimizzazione è il fenomeno onnipresente dello spostamento sintattico. I
sintagmi possono essere uditi in una posizione nella frase, ma
interpretati sia in tale posizione che in una diversa. La frase «Quali
libri ha letto Gianni?» viene interpretata come se fosse «Quali libri
sono tali che Gianni ha letto quei libri?». «Libri» è il complemento
oggetto diretto di «leggere», ma non viene pronunciato o scritto
immediatamente alla destra del verbo. Tale spostamento è stato a lungo,
nella professione, considerato una strana imperfezione del linguaggio,
ma possiamo oggi mostrare che risulta da una radicale semplificazione
del calcolo mentale sintattico, mostrare, cioè, che è la più semplice
operazione mentale sintattica immaginabile, il risultato automatico di
una massima semplicità. Contrariamente a quanto ritenuto fino a pochi
anni fa, l’assenza di ogni spostamento sintattico sarebbe stata una
strana e inspiegabile imperfezione. Un ulteriore esempio è il dato
insolito e curioso che le regole del linguaggio sono, senza eccezioni,
centrate sulla minima distanza strutturale, non superficiale (cioè
calcolata lungo il numero di parole nella frase), anche se tale distanza
sarebbe in linea di massima più facile da calcolare e da elaborare
linguisticamente. Così nella frase «Istintivamente le aquile che volano
nuotano» l’avverbio «istintivamente» è superficialmente più vicino a
«volano», ma strutturalmente più vicino a «nuotano», al quale in effetti
si applica.
Questa computazione mentale è più astratta e più
complessa, ma è quella giusta. Non ci sarebbe niente di errato nel
pensiero che le aquile che istintivamente nuotano volano, ma non lo si
può esprimere con questa frase. Tale proprietà è linguisticamente
onnipresente ed è automaticamente colta dal bimbo sulla base di dati
praticamente miseri, se non del tutto assenti. Lavori recenti offrono
una spiegazione sorprendente, basata sull’efficienza del calcolo
sintattico mentale, con conseguenze di vasta portata che minano alla
base svariate ipotesi tradizionali e ben radicate sulla natura e l’uso
del linguaggio. In questo caso, i principi della grammatica universale
sono stati verificati su studi delle funzioni cerebrali, un successo
importante e arduo, ottenuto in lavori diversi, tra i quali spiccano
quelli di Andrea Moro (Università di Pavia), il quale ha integrato
contributi di spicco alla teoria linguistica con indagini pionieristiche
nel campo della neuro-linguistica.
Una linea di ricerche molto
produttive ha esplorato ciò che in termine tecnico si chiama la
cartografia delle strutture linguistiche, cioè le gerarchie universali
delle frasi, attraverso le modifiche apportate dagli avverbi e le
strutture di informazione veicolata dalle frasi (con componenti tecnici
come il fuoco, l’informazione topica e così via). In particolare, i più
recenti lavori di Guglielmo Cinque (Università di Venezia) e Luigi Rizzi
(Università di Siena) hanno rivelato strutture linguisticamente
universali di notevole complessità, con interessantissime conseguenze
sintattiche e semantiche, dischiudendo nuovi problemi sul perché il
linguaggio è organizzato in tal modo e non in qualche altro modo.
È
impossibile in questo breve spazio passare in rassegna i risultati
conseguiti nel moderno studio del linguaggio, le sue rappresentazioni
neurali, il suo intimo ruolo nelle nostra vita mentale e sociale. Né
raccontare le molte sfide ancora aperte alla nostra comprensione del
linguaggio che tali risultati hanno suscitato, segno che si tratta di
una disciplina vivace e in continuo fermento. Tali ricerche procedono,
senza dubbio, a un livello che travalica nettamente quanto potevamo
immaginare anche solo alcuni anni addietro, e offrono prospettive
entusiasmanti su scoperte ancora più profonde delle capacità
linguistiche della nostra specie, appunto sul «singolo più notevole
tratto dell’uomo moderno» e la nostra specialissima sensibilità moderna.
Corriere 8.1.14
L’errore di sostenere che solo l’evoluzione ci abbia dato la parola
di Massimo Piattelli Palmarini
La
disciplina linguistica chiamata grammatica generativa, inaugurata da
Noam Chomsky oltre 60 anni fa, come lui stesso racconta nel testo qui
accanto scritto per il «Corriere», conta oggi circa duemila studiosi in
varie parti del mondo e in Italia, seconda solo agli Stati Uniti per
quantità e qualità di contributi.
Quasi dall’inizio s’è scontrata
con critiche e pretese smentite, come correttamente riferito ne «la
Lettura» del 15 dicembre da Sandro Modeo («Il gene che creò la parola:
due studi smentiscono le teorie di Chomsky sul linguaggio»). Questi
attacchi sono stati tutti puntualmente e, a mio avviso, persuasivamente
controbattuti non solo da Chomsky stesso, ma anche da altri insigni
studiosi del settore. Un tema ricorrente in queste critiche consiste nel
ribadire che il linguaggio, nella sua evoluzione biologica, nei
correlati cerebrali e nel suo uso collettivo non è una facoltà unica e
speciale, bensì la conseguenza di capacità cognitive generali e di una
lunga storia di contatti sociali.
Tale tesi si scontra con molti
dati fondamentali. Soggetti quasi completamente privi di movimenti
volontari acquisiscono e usano il linguaggio senza problemi. L’ipotesi
che il linguaggio sia un derivato della motricità in generale, tesi già
sostenuta dal celebre psicologo svizzero Jean Piaget molti anni
addietro, è del tutto infondata. Quanto poi alla modularità della mente e
del cervello, si tratta di uno dei dati centrali meglio comprovati
delle moderne scienze cognitive. Nel settore del linguaggio, molteplici
patologie molto specifiche mostrano come una singola componente
cognitiva possa essere compromessa senza intaccarne altre. Da un lato,
si sono studiati soggetti con limitatissime capacità cognitive generali,
ma competenza linguistica intatta. All’opposto, deficit linguistici
assai specifici in soggetti che godono di competenze cognitive
extra-linguistiche intatte.
Sul fronte della sintassi vera propria,
innumerevoli dati su svariate lingue e dialetti mostrano che le esigenze
della comunicazione tra parlanti non possono nemmeno cominciare a
spiegare la natura fondamentale delle strutture sintattiche. Oltre agli
esempi offerti da Chomsky nel suo testo qui a fronte, molti altri dello
stesso tenore possono essere citati. Perché la frase «Ogni uomo ama sua
madre» può benissimo significare che ciascun uomo ama la propria madre,
mentre la frase «Sua madre ama ogni uomo» vuol dire tutt’altro? Perché è
sintatticamente impeccabile chiedere «Con quale collega non sai mai
come comportarti?». Ma orribile chiedere: «Come non sai mai con quale
collega comportarti?». Perché il tipico afasico di Broca e i bimbi
piccoli capiscono senza problema «Mostrami l’elefante che sta
innaffiando il leone», ma hanno seri problemi a comprendere la frase
«Mostrami il leone che l’elefante sta innaffiando?». Perché in
espressioni come «far ridere i polli», «far divertire i bambini», «far
cuocere il brodo» è il soggetto stesso che compie l’azione, mentre in
espressioni come «far licenziare gli operai», «far tagliare il bosco» si
danno istruzioni a qualcun altro?
Niente di tutto ciò è misterioso
per la grammatica generativa . Impossibile, invece, spiegare questi
fenomeni invocando le regole della conversazione, la cognizione generale
del mondo e l’impatto delle emozioni sui parlanti. Quindi, la sintassi è
una sfera cognitiva specifica e non proviene dalle pressioni selettive
della comunicazione, degli scambi sociali e nemmeno del pensiero in
generale. «Lo ritengo intelligente», «lo sospetto colpevole» vanno
benissimo, ma «lo nego intelligente» oppure «lo escludo colpevole» vanno
malissimo, anche se i pensieri corrispondenti sono chiarissimi.
Bisogna
ammettere che è molto difficile far passare l’idea che la sintassi non
sia il prodotto evolutivo del movimento, della comunicazione e della
generica conoscenza del mondo. Un mio studente americano, dopo aver
seguito con attenzione tre lezioni nelle quali avevo spiegato in
dettaglio perché la tesi di continuità tra linguaggio e altre sfere
cognitive è insostenibile, mi disse candidamente: «Niente potrà mai
persuadermi che il linguaggio non è il prodotto evolutivo della
comunicazione e del pensiero in genere». Ne rimasi piuttosto
scandalizzato, dato che si tratta di scienza e non di fede ideologica,
ma almeno era più sincero di molti oppositori della grammatica
generativa .
La mente e la lingua Il nostro codice interno
La
competenza linguistica non deve essere indagata in modo diverso da
altre capacità umane. Come la visione, è definita biologicamente, e come
tale va indagatadi Noam Chomsky Il Sole 24 Ore Domenica 19.1.14
L'autore di un saggio
critico sulla mia ricerca esordisce lamentando il fatto che sembra che
io creda in un solo -ismo, il truismo. C'è molto di vero in questo;
tuttavia è importante aggiungere una chiarificazione. Quelli che io
ritengo truismi sono comunemente giudicati come sbagliati o stravaganti.
Lascerò ad altri il compito di rispondere alle domande che ciò solleva.
Nel
titolo di questo intervento troviamo un esempio, ossia la parola
internalismo. Mi pare che un termine migliore per definirlo potrebbe
essere truismo, sebbene la difesa dell'internalismo sia considerata
quantomeno controversa e questo approccio sia rifiutato dalle correnti
filosofiche dominanti, dove regna piuttosto l'esternalismo. Ciò
nondimeno, ritengo che l'internalismo rimanga un truismo.
Prendiamo
ad esempio l'apparato digerente. I ricercatori hanno descritto il
cosiddetto "secondo cervello", il "cervello viscerale". Recentemente è
stato detto che il cervello viscerale «si distingue dalle altre
componenti del sistema nervoso periferico, in quanto controlla e regola
il comportamento di organi indipendentemente da comandi provenienti dal
cervello», in un modo abbastanza complesso. Il cervello intestinale può
soffrire delle stesse patologie del cervello, come morbo di Alzheimer,
Parkinson e autismo, e persino mostrare «tipi propri di psiconevrosi».
Ha i propri trasduttori sensoriali e il proprio apparato regolatore, che
lo rendono adatto a svolgere compiti specifici in interazione con altri
organi, ma certamente non ogni compito. Ovvero, il cervello intestinale
ha un ambito definito e limiti definiti determinati dalla sua natura
interna, come nel caso di ogni sistema organico. Questo ambito definito,
tuttavia, deve essere inteso come mutabile in certa misura in certe
condizioni.
Lo studio del cervello viscerale è internalista. Il
funzionamento dell'apparato digerente certamente dipende da fattori
esterni ad esso, alcuni interni all'organismo, altri al di fuori della
pelle, ad esempio le sostanze chimiche prodotte dalla casa farmaceutica
Monsanto. Gli scienziati studiano la natura del sistema interno, e le
sue interazioni esterne, e questo non genera particolari dilemmi o
dibattiti filosofici.
Torniamo al "primo cervello", e a certe sue
componenti, come il sistema visivo, o quello motorio, o il linguaggio.
Essi differiscono per aspetti cruciali, ma non vedo motivo per cui la
ricerca su di essi non dovrebbe essere internalista tanto quanto quella
sul cervello viscerale. Anche in questo caso, ci sono certamente
interazioni esterne, ma non appare chiaro il motivo per cui queste
dovrebbero suscitare problemi speciali. Tyler Burge ha sostenuto che la
teoria della percezione visiva di David Marr integra proprietà del mondo
esterno nel sistema visivo stesso, ma io credo che questo sia un
fraintendimento. Certamente Marr parla di proprietà del mondo esterno,
ma per un motivo. Ciò diventa chiaro quando guardiamo alla ricerca
sperimentale, che non utilizza stimoli come giraffe o tavoli, bensì
prevalentemente immagini tachistoscopiche. Se il nervo ottico potesse
essere indagato direttamente, le indagini si baserebbero su questo. Il
lavoro teorico più importante, prendiamo il principio di rigidità di
Stephen Ullman, rimane completamente internalista. Lo stesso vale per
l'organizzazione motoria. C'è uno studio internalista del sistema e di
come esso funziona, e, come nel caso del cervello viscerale o della
visione, ci sono ulteriori ricerche sulle interazioni con altre parti
dell'organismo e il mondo esterno.
È difficile comprendere perché un
approccio simile dovrebbe essere controverso nel caso del linguaggio. Il
fatto che io parli una certa varietà di ciò che è comunemente chiamato
inglese piuttosto che un'altra varietà di inglese, o una varietà di
italiano, è semplicemente una proprietà interna, primariamente del mio
cervello. Interna a me c'è una procedura computazionale G che genera una
gamma infinita di espressioni strutturate che corrispondono a
interpretazioni assegnate a livello dell'interfaccia sensorimotoria (per
l'uso esterno del linguaggio) e dell'interfaccia
concettuale-intenzionale, e che forniscono un "linguaggio del pensiero" –
presumibilmente l'unico linguaggio del pensiero esistente, ma questo è
un altro discorso. Possiamo dunque definire questa procedura come la
Proprietà Base del linguaggio.
Una delle espressioni generate da G
sottende la frase (1): «Quale dei suoi dipinti hai detto ai tuoi amici
che ciascun artista preferisce?» G determina la pronuncia di (1) e il
suo significato, per esempio il fatto che il pronome "suoi" si
interpreti come riferito a "ciascuno", cosicché la risposta a (1)
potrebbe essere la frase (2): «Il primo che ha dipinto», intendendo un
dipinto differente per ogni artista. Da questo punto di vista la frase
in (1) differisce dalla frase (3): «Quale dei suoi dipinti ha convinto i
tuoi amici che ogni artista ama i fiori?», che pure è strutturalmente
simile a (1), ma dove la risposta non può essere (2). Osservazioni di
questo tipo valgono per un'infinità di espressioni, come risultato di
proprietà interne a me.
Conseguentemente, il nucleo centrale dello
studio del linguaggio è la cosiddetta "Lingua I", dove I sta per
interna, individuale, e intensionale: abbiamo a che fare con le
procedure computazioni concrete che soddisfano la Proprietà Base, una
proprietà biologica dell'individuo a cui la Lingua I appartiene. Lo
stesso vale, mutatis mutandi, per altri sistemi dell'organismo, che si
tratti del cervello viscerale o del sistema visivo o del sistema
immunitario o di altro. La Lingua I non va confusa con la nozione di
idioletto, che manca della cruciale disposizione alla formulazione
intensionale propria della Proprietà Base – ossia di ciò che converte la
discussione sul linguaggio in una impresa che ora può essere perseguita
in tutti i suoi aspetti con una profondità di gran lunga maggiore che
in passato, come la ricerca degli ultimi anni ha dimostrato ampiamente.
(traduzione di Valentina Bambini)
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