giovedì 9 gennaio 2014

Noam Chomsky in Italia

Noam Chomsky
“Quello che siamo e facciamo sono soltanto linguaggio
Intervista all’intellettuale americano che spiega le sue teorie e le sue radicali opinioni politichedi Federico Capitoni Repubblica 18.1.14

Noam Chomsky terrà una lectio magistralis il 25 gennaio a Roma durante il Festival delle Scienze che si tiene all’Auditorium Parco della musica
Il 23 gennaio esce, per Ponte alle Grazie il libro I padroni dell’umanità pagg. 200, euro 16,50

«Non penso che ci sia un politico che abbia mai prestato una qualche attenzione a ciò che scrivo, dico o faccio». A 85 anni, Noam Chomsky si rende bene conto che pure essere uno degli intellettuali più ascoltati del pianeta, non cambia la direzione che il mondo ha preso. Il grande linguista americano, a partire dagli anni Settanta, ha scelto seriamente la strada del pensiero e dell’attivismo politico che lo ha portato oggi a essere l’interlocutore privilegiato nei dialoghi sui problemi di ordine mondiale. Una raccolta dei suoi saggi politici, I padroni dell’umanità (Ponte alle Grazie, in libreria il 23), mette ora in fila tutte le sue risposte, generalmente volte a condannare i sistemi neoliberisti e neocolonialisti.
Nel frattempo la sua idea di una grammatica universale (facoltà mentale comune a tutti gli individui) e la teoria della grammatica generativa (l’insieme, finito, delle regole che danno luogo alle potenzialmente infinite formulazioni delle frasi) hanno iniziato a camminare da sole: «La grammatica generativa è ormai una scienza, – dice – e come tale raccoglie i risultati prodotti dalla partecipazione collettiva di tanti studiosi». Il 25 gennaio a Roma, all’interno del Festival delle Scienze, Chomsky terrà una lezione magistrale in cui parlerà del linguaggio e della mente. Ma il pubblico italiano potrà incontrarlo anche la sera prima in un curioso spettacolo musicale, Conversazioni con Chomsky, una talk-opera multimediale del compositore Emanuele Casale, ove il linguista parteciperà a «una sessione di domande sugli argomenti della linguistica, dell’economia e della politica, anche italiana»…
Professor Chomsky, lei parteciperà a un’opera musicale. Si dice spesso che la musica sia un linguaggio universale. Ma, innanzi tutto, la musica è un linguaggio?
«Il concetto di linguaggio nell’uso comune è vago e informale. È comunque possibile formulare almeno alcune chiare domande. Per esempio quali relazioni ci sono tra musica e linguaggio umano? Ci sono studi su questo e molte idee interessanti ma la domanda generale non ha risposta. È come domandarsi se gli aeroplani volino (certo, ma non come le aquile) o se i sottomarini nuotino (non proprio come delfini). Sono faccende che hanno a che fare con le metafore che scegliamo di accettare, non sono questioni fattuali».
Cosa differenzia il linguaggio verbale dagli altri sistemi di segni (suoni, figure, gesti)?
«È importante ricordare che il linguaggio umano non è necessariamente verbale. Può essere espresso attraverso suoni, il modo più comune, o segni grafici. Come abbiamo scoperto in anni recenti, molti linguaggi simbolici che sono nati nel mondo sono particolarmente simili ai linguaggi orali. A ogni modo il linguaggio umano differisce da altri sistemi di segni in alcuni importanti aspetti: struttura, uso, rappresentazione neuronale. È stato anche scoperto che lo stesso gesto può funzionare in maniera diversa se viene usato in un sistema di segni o se in un contesto non linguistico. Le proprietà fondamentali del linguaggio umano appaiono uniche e sono probabilmente emerse relativamente di recente rispetto al processo evolutivo. La facoltà del linguaggio sembra essere ampiamente dissociata da altri sistemi cognitivi umani e completamente differente dai sistemi di comunicazione animali».
Se il linguaggio è generato dalla grammatica e la grammatica fondata su strutture foniche, si potrebbe dire che il linguaggio si origina più probabilmente dal suono che dal segno?
«Quello che possiamo dire è che il suono è solo una delle forme di esternalizzazione del linguaggio e non sembra essere essenziale della sua natura. Concordo con la tradizione che tende a considerare il linguaggio primariamente uno strumento del pensiero e la sua esternalizzazione, in una o un’altra modalità, un processo secondario. È tuttavia vero che i segni grafici sono cosa piuttosto recente nella storia dell’uomo, tra l’altro solo in certe culture, e che non possano essere collegati all’origine del linguaggio».
Cosa pensa delle recenti ricerche neurolinguistiche? I risultati scientifici mettono a tacere la lunga diatriba tra “innatismo” e “comportamentismo”?
«Nonostante io abbia sempre trovato fuorviante parlare di dibattito tra “comportamentismo” e “innatismo” (e soprattutto su questa parola bisognerebbe accordarsi, perché non ha un significato ben definito), non si può seriamente dubitare che ci sia un alto numero di fattori innati che entrano in ogni aspetto della funzione cognitiva. L’unica alternativa è la magia. Il lavoro scientifico è determinare questi fattori:per esempio, qual è la dote biologica che rende il bambino, e non un altro organismo, in grado di sviluppare le capacità che io e lei stiamo usando ora? E così domande simili sulle facoltà mentali e non. Anche i comportamentisti ormai credono a fattori innati».
Se il linguaggio dà forma all’esperienza, quanto i problemi del mondo dipendono dal linguaggio?
«Difficile pensare che esista un’attività umana in cui il linguaggio non sia direttamente coinvolto. Dire che ci sia una dipendenza dal linguaggio è plausibile ma è una questione davvero troppo seria e indefinita per esaminarla».
Il suo ultimo libro si intitola I padroni dell’umanità. Chi sono costoro?
«I centri corporativi delle società industriali avanzate vogliono farsi ricordare come i padroni dell’umanità. Il termine è preso in prestito da una frase di Adam Smith: “la vile massima dei padroni dell’umanità: tutto per noi, niente per gli altri”. È esattamente la proprietà istituzionale delle società capitaliste ».
Lei scrive che potere e verità sono in conflitto e che gli intellettuali o ricercano la verità o comandano. È dunque impossibile il governo dei filosofi sognato da Platone?
«Bakunin predisse che il governo dalla classe emergente della scientific intelligentsia avrebbe portato alle peggiori e brutali autocrazie della storia umana. È risultata un’osservazione lungimirante. Non c’è dunque ragione per aspettarsi che il governo dei filosofi, o quello di una qualsiasi altra élite, sia migliore».
Tra i temi che le stanno più a cuore c’è l’ambiente. Quali rischi dobbiamo temere maggiormente?
«Ci sono due ombre scure che incombono su ogni considerazione riguardo al futuro: la catastrofe ambientale e la guerra nucleare. La prima è già tristemente una realtà; l’altra è un rischio sempre presente che non accenna a dissolversi, è quasi un miracolo che siamo scappati a un disastro nucleare non così tanto tempo fa. Pessimismo e ottimismo sono questioni soggettive, non sono importanti: qualunque sia il proprio stato d’animo, le azioni da intraprendere sono essenzialmente le stesse».


Viaggio nella cartografia delle strutture verbali dove «istintivamente le aquile che volano nuotano»
La mappa della lingua è universale e infinita
I meandri del cervello Ciò che ogni essere umano sempre padroneggia è un oggetto certo finito, ma di portata illimitata, cui è concesso un repertorio incalcolabile di espressioni 

di Noam Chomsky Corriere 8.1.14

Il linguaggio è stato proficuamente studiato per 2500 anni, ma solo di recente è diventato possibile formulare chiaramente la sua proprietà fondamentale: in parole semplici, ogni lingua offre il modo di esprimere un repertorio infinito di pensieri. Nel corso degli anni vi erano stati tentativi sommari di cogliere tale proprietà. Per esempio, Charles Darwin osservò che gli animali inferiori differiscono dagli esseri umani solamente per il maggior potere, un potere quasi infinito , di associare e comporre i più svariati suoni con le più svariate idee. L’espressione quasi infinito deve essere intesa come, semplicemente, infinito , e adesso sappiamo che il modo di fare tali associazioni è nell’uomo radicalmente diverso da quello di ogni altra specie. Ciò detto, Darwin aveva sostanzialmente ragione, sebbene non fosse ancora in grado di formulare in dettaglio un programma produttivo di ricerca su questa speciale facoltà umana. 

Uno dei più insigni studiosi dell’evoluzione, Ian Tattersall, in una sua recente rassegna sulle origini dell’uomo, conclude dicendo: «L’acquisizione della sensibilità unicamente umana è stata improvvisa e recente nei tempi dell’evoluzione e la sua espressione è stata quasi certamente il portato dell’invenzione di quello che è il singolo più notevole tratto dell’uomo moderno, cioè il linguaggio». In sostanza, ritroviamo il potere notevolissimo di cui parlava Darwin. 
A partire dalla metà del XX secolo, le scienze formali (matematica, logica e teoria del calcolo) avevano offerto una ricca comprensione di come un sistema finito — il cervello umano o un calcolatore programmabile — possa generare un repertorio infinito di espressioni. Ciò rese possibile formulare precisamente la proprietà in questione e aprire la strada a un’indagine in profondità sulla proprietà che era stata fino ad allora inaccessibile a un esame specifico. 
La lingua che ogni essere umano padroneggia è un oggetto finito, ma di portata infinita. È una proprietà interna alla persona, un sistema di elaborazione e calcolo di un cervello finito che rende possibile esprimere un repertorio infinito di espressioni strutturate, ciascuna delle quali viene interpretata su due livelli: quello dell’apparato sensorio-motorio (per lo più suoni, ma anche segni nei linguaggi dei segni) e quello dei sistemi di pensiero atti a interpretare il mondo circostante, pianificare le azioni, ragionare ed eseguire molti altri processi mentali. Uno schema di ricerca che vuole cogliere tale proprietà è (per definizione) una grammatica generativa . Tale tipo di grammatica cerca di rendere totalmente espliciti i processi finiti che subentrano nel normale uso della lingua nella sua varietà complessa e illimitata. 
Il programma di ricerca della grammatica generativa , avviato in questi termini circa 60 anni orsono, ha enormemente arricchito l’ambito dei fenomeni empirici accessibili allo studio, includendo lingue di tipi assai diversi. Ha, inoltre, consentito di indagarli a un livello di profondità prima inimmaginabile e in domini nuovi: per esempio studiare in modo nuovo e molto illuminante in che modo il significato di espressioni complesse sia determinato dall’operare di poche e astratte regole interne al linguaggio. Studiare il linguaggio come oggetto biologico ha anche consentito di ampliare enormemente il tipo di dati propri a una certa lingua, includendo il modo in cui il bimbo la acquisisce e come esso è dissociato da altre funzioni cognitive, inaugurando anche una bio-linguistica e una neuro-linguistica. 
Un obiettivo ancora più ambizioso è stato quello di portare alla luce (usando le parole dell’insigne linguista Otto Jespersen) «i grandi principi che sottostanno alle grammatiche di tutte le lingue, ottenendo una più approfondita comprensione dell’intima natura del linguaggio e del pensiero umano». Nell’era moderna, tale studio ha preso il nome di grammatica universale , adattando una terminologia tradizionale al nuovo contesto. Non mi sembra possa essere messo seriamente in dubbio che gli esseri umani sono accomunati da un bagaglio biologico prefissato, che è alla base della capacità di acquisire e usare il linguaggio, e questo è ciò che la grammatica universale studia. Che questa capacità sia, in essenza, il patrimonio unico dell’umanità, è quanto Darwin e molti altri studiosi avevano riconosciuto. Nella misura in cui comprendiamo le proprietà della grammatica universale , lo studio di una lingua può poggiare sui risultati ottenuti nello studio di altre lingue, consentendo, una volta di più, una maggior comprensione della natura e dell’uso del linguaggio. 
Lo studio di ogni bagaglio biologico è sempre complesso. Cionondimeno, c’è stato un notevole progresso sul fronte della grammatica universale , sebbene molti problemi e ardui interrogativi siano ancora aperti e ne scaturiscano sempre di nuovi. Il progresso è stato sufficiente a rendere abbordabile un nuovo programma di ricerca negli ultimi anni: chiedersi quale sarebbe la soluzione perfetta per soddisfare le richieste fondamentali imposte dal funzionamento del linguaggio, imposte, cioè, dalla proprietà fondamentale vista sopra. Quando si scoprono delle discrepanze tra ciò che si osserva e le soluzioni ideali, ci si chiede come reinterpretare i dati e come rivedere le intuizioni teoriche in modo da sanare tali discrepanze. Questo programma prende il nome di programma minimalista , e ben si attaglia al quadro della recente e subitanea emergenza evoluzionistica del linguaggio descritta da Tattersall. Adottando progressivamente questo programma di ricerca è stato possibile rivelare che alcune proprietà piuttosto sbalorditive della grammatica universale sono il portato coerente dell’ipotesi che il design del linguaggio sia ottimale sotto il profilo visto sopra. 
Un esempio di tale ottimizzazione è il fenomeno onnipresente dello spostamento sintattico. I sintagmi possono essere uditi in una posizione nella frase, ma interpretati sia in tale posizione che in una diversa. La frase «Quali libri ha letto Gianni?» viene interpretata come se fosse «Quali libri sono tali che Gianni ha letto quei libri?». «Libri» è il complemento oggetto diretto di «leggere», ma non viene pronunciato o scritto immediatamente alla destra del verbo. Tale spostamento è stato a lungo, nella professione, considerato una strana imperfezione del linguaggio, ma possiamo oggi mostrare che risulta da una radicale semplificazione del calcolo mentale sintattico, mostrare, cioè, che è la più semplice operazione mentale sintattica immaginabile, il risultato automatico di una massima semplicità. Contrariamente a quanto ritenuto fino a pochi anni fa, l’assenza di ogni spostamento sintattico sarebbe stata una strana e inspiegabile imperfezione. Un ulteriore esempio è il dato insolito e curioso che le regole del linguaggio sono, senza eccezioni, centrate sulla minima distanza strutturale, non superficiale (cioè calcolata lungo il numero di parole nella frase), anche se tale distanza sarebbe in linea di massima più facile da calcolare e da elaborare linguisticamente. Così nella frase «Istintivamente le aquile che volano nuotano» l’avverbio «istintivamente» è superficialmente più vicino a «volano», ma strutturalmente più vicino a «nuotano», al quale in effetti si applica. 
Questa computazione mentale è più astratta e più complessa, ma è quella giusta. Non ci sarebbe niente di errato nel pensiero che le aquile che istintivamente nuotano volano, ma non lo si può esprimere con questa frase. Tale proprietà è linguisticamente onnipresente ed è automaticamente colta dal bimbo sulla base di dati praticamente miseri, se non del tutto assenti. Lavori recenti offrono una spiegazione sorprendente, basata sull’efficienza del calcolo sintattico mentale, con conseguenze di vasta portata che minano alla base svariate ipotesi tradizionali e ben radicate sulla natura e l’uso del linguaggio. In questo caso, i principi della grammatica universale sono stati verificati su studi delle funzioni cerebrali, un successo importante e arduo, ottenuto in lavori diversi, tra i quali spiccano quelli di Andrea Moro (Università di Pavia), il quale ha integrato contributi di spicco alla teoria linguistica con indagini pionieristiche nel campo della neuro-linguistica. 
Una linea di ricerche molto produttive ha esplorato ciò che in termine tecnico si chiama la cartografia delle strutture linguistiche, cioè le gerarchie universali delle frasi, attraverso le modifiche apportate dagli avverbi e le strutture di informazione veicolata dalle frasi (con componenti tecnici come il fuoco, l’informazione topica e così via). In particolare, i più recenti lavori di Guglielmo Cinque (Università di Venezia) e Luigi Rizzi (Università di Siena) hanno rivelato strutture linguisticamente universali di notevole complessità, con interessantissime conseguenze sintattiche e semantiche, dischiudendo nuovi problemi sul perché il linguaggio è organizzato in tal modo e non in qualche altro modo. 
È impossibile in questo breve spazio passare in rassegna i risultati conseguiti nel moderno studio del linguaggio, le sue rappresentazioni neurali, il suo intimo ruolo nelle nostra vita mentale e sociale. Né raccontare le molte sfide ancora aperte alla nostra comprensione del linguaggio che tali risultati hanno suscitato, segno che si tratta di una disciplina vivace e in continuo fermento. Tali ricerche procedono, senza dubbio, a un livello che travalica nettamente quanto potevamo immaginare anche solo alcuni anni addietro, e offrono prospettive entusiasmanti su scoperte ancora più profonde delle capacità linguistiche della nostra specie, appunto sul «singolo più notevole tratto dell’uomo moderno» e la nostra specialissima sensibilità moderna. 



Corriere 8.1.14

L’errore di sostenere che solo l’evoluzione ci abbia dato la parola
di Massimo Piattelli Palmarini

La disciplina linguistica chiamata grammatica generativa, inaugurata da Noam Chomsky oltre 60 anni fa, come lui stesso racconta nel testo qui accanto scritto per il «Corriere», conta oggi circa duemila studiosi in varie parti del mondo e in Italia, seconda solo agli Stati Uniti per quantità e qualità di contributi. 
Quasi dall’inizio s’è scontrata con critiche e pretese smentite, come correttamente riferito ne «la Lettura» del 15 dicembre da Sandro Modeo («Il gene che creò la parola: due studi smentiscono le teorie di Chomsky sul linguaggio»). Questi attacchi sono stati tutti puntualmente e, a mio avviso, persuasivamente controbattuti non solo da Chomsky stesso, ma anche da altri insigni studiosi del settore. Un tema ricorrente in queste critiche consiste nel ribadire che il linguaggio, nella sua evoluzione biologica, nei correlati cerebrali e nel suo uso collettivo non è una facoltà unica e speciale, bensì la conseguenza di capacità cognitive generali e di una lunga storia di contatti sociali. 
Tale tesi si scontra con molti dati fondamentali. Soggetti quasi completamente privi di movimenti volontari acquisiscono e usano il linguaggio senza problemi. L’ipotesi che il linguaggio sia un derivato della motricità in generale, tesi già sostenuta dal celebre psicologo svizzero Jean Piaget molti anni addietro, è del tutto infondata. Quanto poi alla modularità della mente e del cervello, si tratta di uno dei dati centrali meglio comprovati delle moderne scienze cognitive. Nel settore del linguaggio, molteplici patologie molto specifiche mostrano come una singola componente cognitiva possa essere compromessa senza intaccarne altre. Da un lato, si sono studiati soggetti con limitatissime capacità cognitive generali, ma competenza linguistica intatta. All’opposto, deficit linguistici assai specifici in soggetti che godono di competenze cognitive extra-linguistiche intatte. 
Sul fronte della sintassi vera propria, innumerevoli dati su svariate lingue e dialetti mostrano che le esigenze della comunicazione tra parlanti non possono nemmeno cominciare a spiegare la natura fondamentale delle strutture sintattiche. Oltre agli esempi offerti da Chomsky nel suo testo qui a fronte, molti altri dello stesso tenore possono essere citati. Perché la frase «Ogni uomo ama sua madre» può benissimo significare che ciascun uomo ama la propria madre, mentre la frase «Sua madre ama ogni uomo» vuol dire tutt’altro? Perché è sintatticamente impeccabile chiedere «Con quale collega non sai mai come comportarti?». Ma orribile chiedere: «Come non sai mai con quale collega comportarti?». Perché il tipico afasico di Broca e i bimbi piccoli capiscono senza problema «Mostrami l’elefante che sta innaffiando il leone», ma hanno seri problemi a comprendere la frase «Mostrami il leone che l’elefante sta innaffiando?». Perché in espressioni come «far ridere i polli», «far divertire i bambini», «far cuocere il brodo» è il soggetto stesso che compie l’azione, mentre in espressioni come «far licenziare gli operai», «far tagliare il bosco» si danno istruzioni a qualcun altro? 
Niente di tutto ciò è misterioso per la grammatica generativa . Impossibile, invece, spiegare questi fenomeni invocando le regole della conversazione, la cognizione generale del mondo e l’impatto delle emozioni sui parlanti. Quindi, la sintassi è una sfera cognitiva specifica e non proviene dalle pressioni selettive della comunicazione, degli scambi sociali e nemmeno del pensiero in generale. «Lo ritengo intelligente», «lo sospetto colpevole» vanno benissimo, ma «lo nego intelligente» oppure «lo escludo colpevole» vanno malissimo, anche se i pensieri corrispondenti sono chiarissimi. 
Bisogna ammettere che è molto difficile far passare l’idea che la sintassi non sia il prodotto evolutivo del movimento, della comunicazione e della generica conoscenza del mondo. Un mio studente americano, dopo aver seguito con attenzione tre lezioni nelle quali avevo spiegato in dettaglio perché la tesi di continuità tra linguaggio e altre sfere cognitive è insostenibile, mi disse candidamente: «Niente potrà mai persuadermi che il linguaggio non è il prodotto evolutivo della comunicazione e del pensiero in genere». Ne rimasi piuttosto scandalizzato, dato che si tratta di scienza e non di fede ideologica, ma almeno era più sincero di molti oppositori della grammatica generativa .

La mente e la lingua Il nostro codice interno
La competenza linguistica non deve essere indagata in modo diverso da altre capacità umane. Come la visione, è definita biologicamente, e come tale va indagatadi Noam Chomsky Il Sole 24 Ore Domenica 19.1.14

L'autore di un saggio critico sulla mia ricerca esordisce lamentando il fatto che sembra che io creda in un solo -ismo, il truismo. C'è molto di vero in questo; tuttavia è importante aggiungere una chiarificazione. Quelli che io ritengo truismi sono comunemente giudicati come sbagliati o stravaganti. Lascerò ad altri il compito di rispondere alle domande che ciò solleva.
Nel titolo di questo intervento troviamo un esempio, ossia la parola internalismo. Mi pare che un termine migliore per definirlo potrebbe essere truismo, sebbene la difesa dell'internalismo sia considerata quantomeno controversa e questo approccio sia rifiutato dalle correnti filosofiche dominanti, dove regna piuttosto l'esternalismo. Ciò nondimeno, ritengo che l'internalismo rimanga un truismo.
Prendiamo ad esempio l'apparato digerente. I ricercatori hanno descritto il cosiddetto "secondo cervello", il "cervello viscerale". Recentemente è stato detto che il cervello viscerale «si distingue dalle altre componenti del sistema nervoso periferico, in quanto controlla e regola il comportamento di organi indipendentemente da comandi provenienti dal cervello», in un modo abbastanza complesso. Il cervello intestinale può soffrire delle stesse patologie del cervello, come morbo di Alzheimer, Parkinson e autismo, e persino mostrare «tipi propri di psiconevrosi». Ha i propri trasduttori sensoriali e il proprio apparato regolatore, che lo rendono adatto a svolgere compiti specifici in interazione con altri organi, ma certamente non ogni compito. Ovvero, il cervello intestinale ha un ambito definito e limiti definiti determinati dalla sua natura interna, come nel caso di ogni sistema organico. Questo ambito definito, tuttavia, deve essere inteso come mutabile in certa misura in certe condizioni.
Lo studio del cervello viscerale è internalista. Il funzionamento dell'apparato digerente certamente dipende da fattori esterni ad esso, alcuni interni all'organismo, altri al di fuori della pelle, ad esempio le sostanze chimiche prodotte dalla casa farmaceutica Monsanto. Gli scienziati studiano la natura del sistema interno, e le sue interazioni esterne, e questo non genera particolari dilemmi o dibattiti filosofici.
Torniamo al "primo cervello", e a certe sue componenti, come il sistema visivo, o quello motorio, o il linguaggio. Essi differiscono per aspetti cruciali, ma non vedo motivo per cui la ricerca su di essi non dovrebbe essere internalista tanto quanto quella sul cervello viscerale. Anche in questo caso, ci sono certamente interazioni esterne, ma non appare chiaro il motivo per cui queste dovrebbero suscitare problemi speciali. Tyler Burge ha sostenuto che la teoria della percezione visiva di David Marr integra proprietà del mondo esterno nel sistema visivo stesso, ma io credo che questo sia un fraintendimento. Certamente Marr parla di proprietà del mondo esterno, ma per un motivo. Ciò diventa chiaro quando guardiamo alla ricerca sperimentale, che non utilizza stimoli come giraffe o tavoli, bensì prevalentemente immagini tachistoscopiche. Se il nervo ottico potesse essere indagato direttamente, le indagini si baserebbero su questo. Il lavoro teorico più importante, prendiamo il principio di rigidità di Stephen Ullman, rimane completamente internalista. Lo stesso vale per l'organizzazione motoria. C'è uno studio internalista del sistema e di come esso funziona, e, come nel caso del cervello viscerale o della visione, ci sono ulteriori ricerche sulle interazioni con altre parti dell'organismo e il mondo esterno.
È difficile comprendere perché un approccio simile dovrebbe essere controverso nel caso del linguaggio. Il fatto che io parli una certa varietà di ciò che è comunemente chiamato inglese piuttosto che un'altra varietà di inglese, o una varietà di italiano, è semplicemente una proprietà interna, primariamente del mio cervello. Interna a me c'è una procedura computazionale G che genera una gamma infinita di espressioni strutturate che corrispondono a interpretazioni assegnate a livello dell'interfaccia sensorimotoria (per l'uso esterno del linguaggio) e dell'interfaccia concettuale-intenzionale, e che forniscono un "linguaggio del pensiero" – presumibilmente l'unico linguaggio del pensiero esistente, ma questo è un altro discorso. Possiamo dunque definire questa procedura come la Proprietà Base del linguaggio.
Una delle espressioni generate da G sottende la frase (1): «Quale dei suoi dipinti hai detto ai tuoi amici che ciascun artista preferisce?» G determina la pronuncia di (1) e il suo significato, per esempio il fatto che il pronome "suoi" si interpreti come riferito a "ciascuno", cosicché la risposta a (1) potrebbe essere la frase (2): «Il primo che ha dipinto», intendendo un dipinto differente per ogni artista. Da questo punto di vista la frase in (1) differisce dalla frase (3): «Quale dei suoi dipinti ha convinto i tuoi amici che ogni artista ama i fiori?», che pure è strutturalmente simile a (1), ma dove la risposta non può essere (2). Osservazioni di questo tipo valgono per un'infinità di espressioni, come risultato di proprietà interne a me.
Conseguentemente, il nucleo centrale dello studio del linguaggio è la cosiddetta "Lingua I", dove I sta per interna, individuale, e intensionale: abbiamo a che fare con le procedure computazioni concrete che soddisfano la Proprietà Base, una proprietà biologica dell'individuo a cui la Lingua I appartiene. Lo stesso vale, mutatis mutandi, per altri sistemi dell'organismo, che si tratti del cervello viscerale o del sistema visivo o del sistema immunitario o di altro. La Lingua I non va confusa con la nozione di idioletto, che manca della cruciale disposizione alla formulazione intensionale propria della Proprietà Base – ossia di ciò che converte la discussione sul linguaggio in una impresa che ora può essere perseguita in tutti i suoi aspetti con una profondità di gran lunga maggiore che in passato, come la ricerca degli ultimi anni ha dimostrato ampiamente.
(traduzione di Valentina Bambini)

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