domenica 12 gennaio 2014
Le atrocità del colonialismo italiano durante la Seconda guerra mondiale
Riemergono le carte della commissione istituita nel 1946 Abusi e atrocità dalla Grecia all’Albania, dalla Russia alla Jugoslavia: nessun responsabile fu giudicato
Quei crimini rimasti impuniti commessi dai generali del Duce
Le pagine oscure della guerra d’occupazione italiana
di Franco Giustolisi Corriere 12.1.14
C’ è l’armadio della vergogna, ma anche il carrello della vergogna. Nel
primo furono nascosti per mezzo secolo i fascicoli degli innumerevoli
crimini commessi in Italia dai nazisti con il valido aiuto degli
scherani di Mussolini. Nel secondo, un enorme carrello a due piani, per
ancora più tempo sono stati accantonati (sarebbe meglio dire occultati)
tutti i faldoni riguardanti le non gloriose imprese commesse dalle
truppe inviate dal Duce alla conquista del mondo. E, mi duole dirlo, non
c’è eccessiva differenza tra le azioni delle camicie brune tedesche e
quelle delle camicie nere.
Italiani brava gente? In guerra quasi non esistono differenze, come non
sono esistite e non esistono nel trattamento morale e penale di nazisti e
fascisti. Tranquilli i primi, nei loro Paesi, nonostante condanne
all’ergastolo comminate dai nuovi Tribunali militari. Tranquillissimi i
secondi, neanche sfiorati dalle inchieste.
Ora i fatti. Tra le montagne di carte di quell’enorme carrello, che per
oltre due anni ho faticosamente inseguito, c’è la relazione della
Commissione istituita il 6 maggio del 1946 dal ministero della Guerra
per «accertare le responsabilità nelle quali potessero essere incorsi i
comandanti o i gregari italiani nei territori d’oltre confine occupati
dalle forze armate italiane nell’ultima guerra». Firma la relazione,
datata 30 giugno 1951 e inviata a quello che ormai è divenuto il
ministero della Difesa, il senatore avvocato Luigi Gasparotto:
antifascista, cofondatore del Partito della democrazia del lavoro
(scomparso nei primi anni del dopoguerra insieme al Partito d’azione) e
unico civile tra tanti militari. Uno dei suoi figli, rinchiuso nel lager
di Fossoli, fu ucciso dai nazifascisti assieme al finto generale Della
Rovere e ad altri settanta internati.
Gli accusati dalle varie nazioni aggredite dal fascismo sono 326 di cui
solo 34, secondo la relazione, «sarebbe opportuno sottoporre a giudizio
dell’autorità competente». Ma quest’ultima, cioè la Procura militare di
Roma, quando riemersero le carte, si pronunciò qualche anno fa per la
«non punibilità» di tutti, a norma, artatamente, di un articolo del
codice militare di guerra, il 165, previsto per ben diverse situazioni.
La relazione parte considerando le richieste della Jugoslavia, «Paese
dal quale sono state mosse le più numerose e più gravi accuse alle
nostre truppe di occupazione e alle autorità civili preposte
all’amministrazione dei territori occupati». Dopo aver respinto l’accusa
di preordinata e sistematica violenza da parte italiana, si fa
riferimento alla necessità degli occupanti di emettere provvedimenti di
rigore per controbattere «gli atti di ferocia commessi dai partigiani». E
che i partigiani jugoslavi non fossero anime gentili, è raccontato in
un altro di quei numerosissimi fascicoli: 40 bersaglieri catturati
furono evirati. Ma un generale italiano commentò: «Però noi siamo gli
aggressori». Vien anche scritto in questa relazione che «l’annientamento
di interi villaggi, le rappresaglie più spietate, furono opera di
gruppi etnici e religiosi in lotta fra loro». L’allusione riguarda,
evidentemente, la guerra intestina tra titini e monarchici. «Tuttavia
non può disconoscersi che gli ordini e le disposizioni dati da alcuni
comandanti militari e da qualche autorità civile e i giudizi sommari di
qualche tribunale straordinario apparissero improntati ad un rigore
eccessivo». E così vengono denunciati, tra gli altri, alle autorità
competenti «i generali Roatta e Robotti, il governatore della Dalmazia,
Bastianini, i componenti del tribunale straordinario di Sebenico,
generale Magaldi e colonnello Sorrentino, essendo stato l’altro
componente, Pietro Caruso, fucilato in Roma, dove aveva esercitato le
funzioni di questore, dietro condanna dell’Alta Corte di Giustizia».
Roatta, già capo dei servizi segreti fascisti, mandante insieme a
Mussolini, dell’assassinio in Francia dei fratelli Carlo e Nello
Rosselli, comandante supremo dell’armata che aveva invaso la Jugoslavia,
diceva ai suoi: «Non dente per dente, ma testa per dente». E il suo
successore, Robotti, si lamentava nelle riunioni dello stato maggiore
perché «qui ne ammazziamo troppo pochi». Ma non c’è problema: loro e
tutti gli altri se la cavarono a norma di quell’articolo 165 del Codice
militare di guerra che prevede la parità della tutela penale, come se ci
fosse parità tra eserciti e civili, come se si mettessero sullo stesso
piano le vittime di S. Anna di Stazzema e chi le massacrò.
Albania. Dice la relazione: «Anche il governo albanese, sull’esempio di
quello jugoslavo, ha rivolto molteplici gravi accuse di crimini di
guerra ai connazionali militari e civili di cui hanno chiesto la
consegna… Costoro, secondo quanto afferma detto governo, avrebbero
ispirato, organizzato ed eseguito l’aggressione armata del 17 aprile
1939, favorito l’aggressione da parte della Germania del 6 luglio 1943,
ordinato e commesso innumerevoli delitti contro il popolo albanese»,
consistenti in deportazioni, uccisioni, atti di terrore, atrocità. Ma
«si tratta di accuse così vaghe e generiche» da non potersi prendere in
considerazione. E le varie colpe addebitate ai singoli sono «quelle
misure che potevano essere compatibili con le condizioni anormali create
dallo stato di guerra». E poi, stigmatizza la commissione, «il governo
albanese, anziché lanciarsi in accuse infondate, avrebbe dovuto
ricordare l’azione oltremodo benefica svolta dall’Italia in quel Paese
negli anni che precedettero l’occupazione». Come vi permettete? Siete
privi di memoria?
Grecia. A norma dell’art. 45 del Trattato di pace il governo greco
chiese la consegna di 23 persone, tra militari e civili. Tra queste l’ex
luogotenente in Albania Francesco Jacomoni. Però, nell’aprile del 1948
le autorità greche «dichiaravano di rinunciare a dette consegne,
lasciando alla magistratura italiana il compito del giudizio». Anche in
questo caso, nota la relazione, ci si trova davanti a generiche
enunciazioni (ma alcune inchieste riaperte dal nuovo procuratore Marco
De Paolis dimostrano esattamente il contrario). Quindi, per la
Commissione tutto a posto. Unica eccezione il generale Gherardo Magaldi,
ancora lui, «il cui carattere violento avrebbe potuto giustificare
l’accusa di uccisioni e atti di crudeltà da lui commessi e ordinati… Per
questo è stato deciso di inviare il suo caso ai nostri organi
giurisdizionali per compiere un’ampia istruttoria». Ma come vado
ripetendo non se ne farà niente.
Russia. In una nota dell’ottobre del 1944 il governo russo denunciava
come criminali di guerra il generale Roberto Lerici ed altri 11
ufficiali. «Tuttavia la Commissione si è dovuta convincere che le accuse
erano basate su dati di fatto inesatti o insussistenti». Comunque il
governo russo non rispose alle richieste di chiarimenti, «dimostrando,
tra l’altro, di non insistere sulla consegna degli accusati». Alla
commissione arrivarono richieste anche dalla Francia e dalla Gran
Bretagna, di rilevanza minore, comunque anch’esse completamente
azzerate. Manca, stranamente, in questa relazione finale della
«Commissione d’inchiesta per i crimini di guerra italiani secondo alcuni
Stati esteri» ogni riferimento a quel che combinarono in Africa i
marescialli Badoglio e Graziani. In particolare quest’ultimo, che poi
aderirà a Salò.
La conclusione, assai amara: in questo Paese è più facile, molto, molto
più facile far riemergere la mastodontica Concordia, piuttosto che la
storia, la memoria, la giustizia. Cioè, in una parola, la civiltà.
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