venerdì 17 gennaio 2014
Palmiro Togliatti cattocomunista e inventore del PD
La storia italiana predigerita affinché persino Renzi possa capirla. Fare della storia ciò che si vuole, a seconda di ciò che il quarto d'ora suggerisce [SGA].
Unità nazionale e conflitto: così è cambiata la sinistra
Da
Togliatti a Berlinguer la storia del Pci si modellò nel confronto col
partito «dei cattolici». Con sconfitte e successi. Fino alla rottura di
Occhetto
di Giuseppe Vacca l’Unità 17.1.14
Il giudizio del Pci sulla Dc
durante la Prima Repubblica fu molto oscillante. Si può dire, però, che
fino alla fine degli anni Settanta le oscillazioni corrispondevano a
modalità diverse di far leva sulla sua ispirazione antifascista, mentre
negli anni Ottanta, con la crisi del paradigma antifascista,
l’avvicinamento al socialismo europeo e la scelta della «democrazia
dell’alternanza», il Pci se ne fece un’altra immagine e cercò di
spingere la Dc ad assumere il ruolo di un grande partito di destra di
stampo europeo.
Fino all’inizio degli anni 70 la definizione
predominante della Dc era nel Pci quella di «partito di governo della
borghesia», risalente a Palmiro Togliatti. Ma conviene ricordare che
Togliatti fu interprete di fasi molto diverse dei rapporti fra Pci e Dc.
Nel triennio dei governi di unità antifascista (1944-47) favorì
l’avvento di De Gasperi alla presidenza del Consiglio e l’assunzione di
un ruolo preminente della Dc nella compagine di governo. Queste scelte
erano dettate non solo da realismo politico o da calcoli di partito.
Certo, Togliatti sapeva che nella sfera d’influenza occidentale, in cui
era collocata l’Italia, non potevano essere le sinistre a primeggiare
nel governo e d’altro canto la crescita del ruolo della Dc favoriva
quella del Pci nella sinistra, essendo i due partiti di massa più dotati
di risorse militanti e adesioni popolari. Ma la scelta di favorire
l’ascesa di De Gasperi era legata anche al convincimento di poter
contare sul fatto che la Dc non avrebbe potuto facilmente rinunciare
alla sua ispirazione antifascista senza mettere in crisi l’«unità
politica dei cattolici», necessaria a vincolare la Chiesa alla
democrazia repubblicana.
Dopo il quinquennio più aspro della guerra
fredda e la sconfitta del centrismo nelle elezioni del 1953, la Dc
decise di raccogliere la sfida delle sinistre e questo consentì al Pci
di inserirsi nella nuova fase politica favorendo l’apertura ai
socialisti e giuocando la carta della sinistra democristiana per
ricostruire l’arco delle forze che avevano collaborato alla stesura
della Costituzione e potevano sostenere un programma di riforme che si
proponesse di attuarla. Secondo Togliatti, questa politica doveva mirare
a mettere in crisi la centralità democristiana e per questo coniò
un’immagine negativa della Dc degasperiana con l’ambizione di influire
sulla lotta delle sinistre al suo interno. Quell’immagine della Dc
«partito della restaurazione capitalistica» e «partito americano»,
inaffidabile anche sul terreno dell’antifascismo, rimase uno stereotipo
della cultura politica del Pci fino ai primi anni 70, per essere poi
incrinata ma non sradicata dalla mentalità delle sinistre in cui è
fortemente presente anche ai giorni nostri.
Fu incrinata negli anni
in cui i protagonisti della scena politica divennero Moro e Berlinguer:
gli anni della «strategia dell’attenzione» e del «compromesso storico».
Alla base delle loro politiche vi era l’intuizione condivisa che
l’instabilità internazionale e il «conflitto economico mondiale»,
seguiti alla fine del sistema di Bretton Woods e del «trentennio d’oro»
della crescita mondiale e dello Stato sociale, riproponesse acutamente
il problema della fragilità interna e della debolezza internazionale
dell’Italia; perciò le due principali forze politiche dovevano cercare
di convergere e di rafforzarne la coesione interna. Moro e Berlinguer
condividevano una visione del problema italiano ereditata da De Gasperi e
Togliatti, fondata sull’esperienza del fascismo. Quindi erano convinti
che in un periodo storico di
instabilità internazionale e di acuti
conflitti sociali una polarizzazione radicale secondo lo schema
destra-sinistra avrebbe ridato fiato allo «spessore reazionario» della
società italiana, consegnando «i moderati» all’egemonia di una destra
antidemocratica e spingendo la Chiesa a fare blocco con essa. Moro e
Berlinguer condividevano, perciò, anche l’idea che la crisi della
democrazia repubblicana, insidiata dalla «strategia della tensione»,
dallo stragismo neofascista e dal terrorismo di sinistra, colpisse
innanzitutto la Dc, che oltre a essere il perno del sistema politico era
anche la principale garanzia della sua evoluzione. Questo indusse Moro
ad adoperarsi per spostare tutta la Dc sul terreno del «confronto» col
Pci e Berlinguer a spingere il Pci a mutare l’immagine della Dc
riconoscendone il carattere di partito nazionale e popolare.
LA DEMOCRAZIA BLOCCATA
Il
fallimento della «solidarietà nazionale», l’assassinio di Moro e
l’inizio della «nuova guerra fredda» mutarono drasticamente lo scenario
politico. L’anticomunismo dei neoconservatori che avevano assunto la
guida degli Usa e della Gran Bretagna era molto più assertivi del
passato, mentre l’opzione europea della politica italiana era ormai
condizionata dal progetto di integrazione a egemonia tedesca avviato da
Helmut Schmidt. Nel regime di «democrazia bloccata» che né Moro, né il
Pci, avevano avuto la forza di superare, il Pci era una forza ormai
isolata che rischiava un inarrestabile declino. La nuova generazione che
prese in consegna le sorti del partito fra l’88 e l’89 fece quindi
l’unica cosa vitale che si potesse fare: avviò un ricambio della sua
cultura politica e ne decretò la fine. Il gruppo dirigente occhettiano
era consapevole che eliminando il supporto dell’anticomunismo alla
«costituzione materiale» del sistema di governo si apriva una voragine e
cercò di colmarla con risorse culturali e politiche che non avevano
avuto una sedimentazione adeguata.
Per limitarmi al tema che sto
trattando, concepì il passaggio alla democrazie dell’alternanza come una
semplificazione tendenzialmente bipartitica del sistema politico
secondo uno schema sinistra-destra e, per giustificare la sua scelta
propose una banalizzazione della storia della Prima Repubblica che, per
farmi capire, rendo di proposito caricaturale: quarant’anni di
consociativismo e di malgoverno democristiano. L’unico riferimento
consolidato di questa visione era la «cultura radicale» e si può capire
perché, da queste premesse, fosse difficile provare interesse per i
tentativi di rifondare politicamente il cattolicesimo democratico. Sulle
ceneri della Prima Repubblica aleggiava il fantasma del «nuovo inizio»
che favorì l’avvento di Forza Italia.
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