venerdì 17 gennaio 2014
Il confine tra la storia moderna e quella contemporanea
Il confine difficile tra due storie
Moderno o contemporaneo, l’ambiguità del Risorgimento
di Antonio Carioti Corriere 17.1.14
Falso
allarme. Non è vero che all’Università di Bologna ci si può laureare in
Storia senza conoscere le vicende della seconda metà dell’Ottocento e
in particolare il Risorgimento italiano. Resta però aperto in generale
il problema della delimitazione tra un insegnamento di Storia
contemporanea che tende a concentrarsi sul Novecento e un programma di
Storia moderna che ha superato i limiti cronologici in uso nel passato
(prima la rivoluzione francese, 1789; poi il Congresso di Vienna, 1815),
per addentrarsi ormai a metà del XIX secolo e anche oltre.
La
notizia secondo cui a Bologna il corso di laurea triennale in Storia non
prevede lo studio dell’unità d’Italia, diffusa dall’Ansa, viene
smentita dai diretti interessati. In particolare da Alberto De Bernardi,
titolare della cattedra di Storia contemporanea presso l’ateneo
emiliano: «Negli ultimi anni i miei corsi hanno riguardato la questione
meridionale, che nasce nel 1860; il colonialismo italiano, che comincia
nell’Ottocento; e nel 2011 proprio l’unità d’Italia. Francamente non
capisco su che cosa si basi questa accusa. Per anni noi storici italiani
siamo stati rimproverati di essere dei provinciali, che guardavano solo
alle vicende del loro Paese. E c’era del vero: infatti io cerco di dare
al mio insegnamento una dimensione globale. Questa polemica di segno
opposto mi sembra priva di senso».
Ma da dove nasce la questione?
«Forse dal fatto — osserva Gian Paolo Brizzi, che a Bologna insegna
Storia moderna — che al momento non c’è un insegnamento specifico di
Storia del Risorgimento nel corso di laurea in Storia. Ma esiste nel
corso di laurea in Lettere e gli iscritti di Storia possono ovviamente
frequentarlo. A partire dal prossimo anno del resto la Storia del
Risorgimento ci sarà anche da noi: abbiamo già previsto il corso, che
sarà tenuto dalla collega Maria Pia Casalena. Il problema vero è che
ormai viene rimpiazzato un docente ogni cinque che vanno in pensione:
dato che le discipline cardine, come Storia moderna e Storia
contemporanea, devono essere comunque coperte, a soffrire sono quelle
specialistiche, tipo Storia del Risorgimento. Avviene lo stesso altrove:
negli studi giuridici, a Medicina, a Ingegneria, nelle scienze
naturali».
Giudica inesistente il caso anche Angelo Varni, che a
Bologna insegna proprio Storia del Risorgimento: «Sono titolare della
cattedra nel biennio che porta alla laurea magistrale, mentre nel
precedente corso triennale (la struttura complessiva è il famoso 3 più
2) insegno Storia del giornalismo. Ma anche trattando quest’ultima
materia mi occupo ampiamente del XIX secolo, che vede lo sviluppo della
stampa moderna. È l’incredibile laboratorio di eventi tra il 1789 e il
1815 che segna l’affermarsi dell’opinione pubblica e di una concezione
della politica, fondata sul rapporto tra Stato e cittadino, con cui ci
confrontiamo ancora oggi: per questo ritengo che la rivoluzione francese
sia lo spartiacque tra la storia moderna e quella contemporanea, al di
là delle ripartizioni accademiche».
Su questo punto però i pareri
non sono unanimi. De Bernardi ritiene che il confine vada spostato più
in là nel tempo: «Credo che la rivoluzione europea del 1848 sia più
adatta del 1789 parigino. La storia contemporanea riguarda i fenomeni
che possiamo considerare aperti dal punto di vista delle loro dinamiche
di sviluppo. È a metà dell’Ottocento, con l’affermazione dell’industria,
i nuovi mezzi di comunicazione, l’avvento della società di massa e
dello Stato liberale, che la modernità acquista una fisionomia nuova».
Propende
invece per la fine del Settecento, in sintonia con Varni, un altro
docente contemporaneista dell’ateneo di Bologna, Fulvio Cammarano: «Con
la rivoluzione americana e quella francese i diritti dell’individuo
diventano materia di lotta politica e il cittadino rivendica una
definizione dei rapporti di potere attraverso la Costituzione. Si tratta
di una svolta dalla quale non si torna più indietro, che interpella
ancora noi contemporanei, visto che i problemi della rappresentanza sono
al centro dei conflitti in corso nelle democrazie odierne».
È
interessante ascoltare in proposito anche il parere di uno storico
dell’Età moderna come Brizzi: «Difficile individuare una data
discriminante: se ne possono proporre molte, tutte a buon titolo. Di
certo è impensabile capire gli sviluppi attuali senza considerare gli
eventi che caratterizzano l’esordio dell’età moderna: l’invenzione della
stampa, la scoperta dell’America, la Riforma protestante. Ma sul piano
didattico credo che si debba mantenere un equilibrio tra i due
insegnamenti: è sbagliato avere una Storia contemporanea che copre solo
il XX secolo o poco più, mentre quella moderna arriva a estendersi per
quasi quattrocento anni, dall’impresa di Cristoforo Colombo (1492) fino
al 1848, se non addirittura al 1870. È anche il frutto della scelta di
dedicare il programma di storia dell’ultimo anno delle scuole superiori
al solo Novecento, restringendo lo spazio del XIX secolo. È così che si
penalizza davvero il Risorgimento».
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