lunedì 20 gennaio 2014
Un inedito di Leonardo Sciascia
Per gli italiani il Paradiso è come un ministero In
questo testo inedito, lo scrittore riflette sul senso profondo della
religiosità, sull’ateismo e sulla fede fatta solo di apparenza
di Leonardo Sciascia Repubblica 18.1.14
Religiosità e ateismo è il titolo di questo testo inedito di Sciascia
che esce sul nuovo numero diTodo Modo. Rivista internazionale di studi
sciasciani, edita da Leo S. Olschki e fondata da Francesco Izzo che la
dirige con Marco Fiaschi e Mark Chu
Io spero che nessuno si aspetti da me un dotto discorso oppure
un’indagine esaustiva su religiosità e ateismo o su ateismo e
religiosità. [...] Mi pare sia stato Bertrand Russell a dire che tutta
la filosofia occidentale non è che un’annotazione in margine a Platone e
così è anche per il problema dell’ateismo che si è invece portati a
considerare abbia avuto dibattito e definizione prevalentemente nel
secolo XVIII. Ed è certo che quantitativamente in quel secolo il
problema è stato maggiormente agitato e si potrebbe anche dire
propagandato, ma in definitiva pochissimo è stato aggiunto allora e fino
ad ora, all’analisi di Platone. Si tratta, insomma, di annotazioni in
margine, propriamente.
Dicendola la prima e più bella analisi dell’ateismo che la storia della
filosofia ricordi, così Abbagnano la riassume, dal Decimo Libro delle
Leggi di Platone. Platone considera tre forme di ateismo: primo, la
negazione della divinità; secondo, la credenza che la divinità esista,
ma non si curi delle cose umane; terzo, la credenza che la divinità
possa essere propiziata con doni e offerte. Di queste tre forme di
ateismo, le prime due, corrispondenti approssimativamente al
materialismo e allo scetticismo, si possono dire di ateismo filosofico,
anche se Platone riconosceva come tale soltanto la prima, considerando
di volgare pregiudizio le altre due. [...] Comunque, ad apparentare le
prime due forme di ateismo poste da Platone e che qui ed ora non molto
mi interessa, ricorderò le poco conosciute lettere di Lorenzo Magalotti
sull’ateismo, piene, specialmente le prime, di sottili osservazioni a
svolgimento di temi come questo: «Veri atei pochissimi. Gli uomini di
buon senso che danno in ostentar l’impietà, siccome non diventano mai
veri atei, così mai non s’assicurano nel loro preteso ateismo. Questi
son più lontani dal diventare veri atei che dal professare qualche
religione». E ancora: «Non potere gli atei negare Dio, ma al più
dubitarne», e così via.
Che è, questa di Magalotti, una meditazione sull’ateismo degli “uomini
di buon senso”, come lui dice, e fatta da un uomo di buon senso. Che più
di due secoli dopo questo modo di intendere l’ateismo e del più
impetuoso scorrere dell’ateismo filosofico, André Gide riassume in
questa nota nel Journal: «Sade e La Mettrie i due veri atei del XVIII
secolo, diceva Jean Strohl. La penso quasi allo stesso modo, non potendo
considerare atei Voltaire, d’Holbach, Grimm, Montesquieu e meno ancora
Rousseau. Quanto a Diderot, il suo articolo su Spinoza mi mette in
confusione. Oh, sì, qualcuno di loro non credeva ai miracoli, alla
provvidenza, a un qualche dio che accidentalmente faceva trionfare nei
particolari voleri, ma non è così facile essere atei. Io capisco Hume
quando dice a d’Holbach che non aveva avuto la fortuna di incontrarne
uno solo e quando il barone d’Holbach gli risponde: “Stasera avrete il
piacere di cenare con diciassette di loro”, egli un po’ gioca sulla
parola; mettendo poi i commensali con le spalle al muro, trovò in loro
più un vago scetticismo che delle affermazioni negative ben precise e
ben risolute ». [...] Ma riprendendo, io dico come Gide: ho sempre
pensato che non è facile essere atei, totalmente e rigorosamente atei. È
stato spiritosamente detto che in una sola giornata è possibile ad un
uomo vivere tutte le filosofie che sono state pensate nei secoli,
passare dall’una all’altra visione della vita e s’intende della morte,
attraverso il succedersi delle condizioni e dei condizionamenti, delle
percezioni e degli stati d’animo, della fatica, del riposo, dei
desideri, degli appagamenti che una giornata contiene. Epicurei se
immersi nel bagno, sofisti davanti allo specchio, stoici se sanguiniamo
sbarbandoci, e così via. [...] Ma, come dicevo, non è l’ateismo proposto
che qui ed ora m’interessa, ma quella terza forma di ateismo che
Platone considera come la più pericolosa e malvagia che si potrebbe dire
l’ateismo del credente in Dio, l’ateismo pratico, l’ateismo attivo;
tenendo presente che sto parlando di credenza religiosa e di credenza
atea nel mondo nominalmente cristiano, per capire che anche se le chiese
cristiane hanno sempre indicato l’ateo filosofico come il vero e
pericoloso nemico, effettualmente siamo di fronte a una mistificazione
alquanto simile a quella cui ricorrono le tirannie quando impotenti al
buon governo e mancando alle loro stesse promesse, per coloro che
tengono in soggezione, creano ed indicano il nemico esterno.
In realtà, in area cristiana, l’ateo filosofico si potrebbe definire
come un cristiano che crede di non credere in Dio. «Se Dio non esiste»,
dice Dostoevskij, «nulla ci è permesso »: nulla è permesso all’ateo e
nulla l’ateo si permette che la legge religiosa non permetta tra gli
uomini.
E qui voglio introdurre una personalissima nota, ricordando Giuseppe
Rensi, filosofo scettico, autore di una apologia dell’ateismo in una
collana di apologie pubblicata, intorno al ’27, dall’editore Formiggini,
collana che portava questa dicitura: «Tutte le fedi esaltate da
credenti » e che quindi dava come fede anche l’ateismo e Giuseppe Rensi
come nell’ateismo credente. Ed era un uomo, Rensi, di limpida e
cristianissima vita, di limpido, libero e coraggioso sentire e dire,
anche negli anni del fascismo da cui ebbe persecuzioni. Era un’anima
naturale per i cristiani e posso dire cheper me che mi sento cristiano,
checché ne dicano i preti, i libri di Rensi sono stati una confermazione
del mio essere cristiano; e non a caso uso la parola confermazione: la
uso appunto come sinonimo di cresima; il mio battesimo è stato Victor
Hugo e la mia cresima Giuseppe Rensi. E devo dire che io ritengo che
quel tanto di cristiano che c’è nel mondo occidentale, lo si deve più a
Victor Hugo che al catechismo. Ecco, questo scettico Giuseppe Rensi, io
non lo direi ateo, nonostante la sua apologia dell’ateismo, nonostante
il suo testamento che però alle parole «atomi» e «vuoto» aggiunge: «è il
divino in me».
Questa nota personalissima e forse divagante, mi dà però modo di entrare
nel vivo del problema, brevemente. Il problema per come io lo sento, e
cioè cogliendo un riferimento che Rensi, nella sua autobiografia
intellettuale, fa a Pirandello, quando dice: «Il teatro di Pirandello
non è altro che la mia filosofia portata con grandissimo ingegno
drammatico sulla scena. La cosa è così evidente e innegabile che
verrebbe universalmente riconosciuta e proclamata se, a mio riguardo,
circostanze che non hanno nulla a che fare con la valutazione del
pensiero, non stessero ad impedirlo ». Rensi in effetti si illudeva: non
erano le circostanze, e cioè il fa-scismo dominante, a impedire,
parlando di Pirandello, un riferimento alla sua filosofia: era piuttosto
l’ignoranza e la disattenzione. Il rapporto comunque c’è e al di là o
al di qua di ogni etichettabile filosofia; il rapporto sta,
intrinsecamente, nel loro essere naturalmente cristiani e nel loro
drammatico scontrarsi in un mondo che s’appartiene a quella forma di
ateismo chePlatone considera la più volgare e pericolosa: l’ateismo di
coloro che credono nella trascendente divinità e che con invocazioni ed
offerte, osservandone i riti, credono di poter averla propizia e tutto
permettersi. Ed è una forma di ateismo molto diffusa nel mondo cristiano
e nel nostro paese diffusissima. È un rapporto di corruzione che si
instaura con Dio, quasi che Dio fosse un’entità simile a un ministero.
Di questa forma di ateismo che per lui era semplicemente impostura, ebbe
sospetto che potesse insinuarsi nel mondo cristiano già Luciano di
Samosata nel secondo secolo; e ne è certo Montaigne nel XVI, e possiamo
noi del XX scrutarla in ogni sua manifestazione, implicazione e
conseguenza, appunto nel prisma dell’opera pirandelliana. E si può
cominciare dalla commedia Pensaci, Giacomino! in cui al cristianesimo
del professor Toti si oppone l’ateismo pratico, l’ateismo attivo di
padre Landolina, opposizione che esplode in queste battute finali: «TOTI
(a Landolina parlandogli davanti) Vade retro, vade retro! Via, via
Giacomino, non ti voltare! (E mentre Giacomino e Ninì passano la soglia,
seguita imperterrito a gridare)Vade retro! Distruttore dellefamiglie!
Vade retro!
LANDOLINA (accorrendo, gridando) Giacomino, io credo...
TOTI (subito dandogli sulla voce) Che crede? Lei neanche a Cristo
crede!» Da qui, scorrendo tutta l’opera di Pirandello, ci apparirà
quest’opera come conclusa, come serrata dentro il drammatico impatto che
necessariamente doveva trovare la sua celebrazione definitiva nel
teatro, nell’impatto tra quella che Bontempelli chiama l’anima candida e
che io vorrei chiamare l’anima religiosa, l’anima naturalmente
cristiana di una realtà umana di fidelistiche apparenze, ma
sostanzialmente atea che è la nostra. [...] Contro questo tipo di
ateismo non mi pare si rivolga oggi quello che appare come un ritorno
alla religione; ha tutta l’aria di un ritorno di reduci, di sconfitti,
di sconfitti nella affannosa, dolorosa e vana ricerca della felicità,
nelle ideologie che quella terrena felicità prometteva. E l’effetto di
questo ritorno, si intravede nel mondo cattolico; mi pare di trovare un
riflesso in quello che Chesterton, altro grande scrittore cristiano,
diceva cinquant’anni fa del cattolicesimo americano: che all’impressione
di essere in America come in una terra avanti la venuta di Cristo,
molte perplessità aggiungeva l’innegabile sviluppo del cattolicesimo, i
tanti cattolici americani. «Ho conosciuto», diceva Chesterton, «una
signora serissima, laureata nella migliore Università cattolica; era
convinta d’essere stata Maria Maddalena in un’esistenza anteriore. Sono
cose che fanno paura, un senso di religioni nere, di torvi misteri». E
non per nulla oggi la Chiesa è costretta a prendere posizione contro
l’astrologia. I torvi misteri: qualcosa di nero, di oscuro c’è, in
questo ritorno al cattolicesimo.
Ma per concludere, c’è un solo vero e fervido segno di religiosità, di
religione che mi pare scenda oggi nel cuore degli uomini ed è il
desiderio e la speranza della pace. A questa parola, a questo segno,
nell’avvento che avrà tra i popoli, tra gli uomini e soprattutto in ogni
uomo, forse potrà legarsi la fine di quell’ateismo dominante che già
Platone vedeva e condannava come il più pericoloso e malvagio.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento