venerdì 7 febbraio 2014
Cardano
Il Memoir di Cardano, star del Cinquecento
Ritorna “Il libro della mia vita”, autobiografia del medico e astrologo
di Franco Marcoaldi Repubblica 7.2.14
Un
farmaco che la mamma si era procurata per abortire non fece effetto: fu
così che io nacqui il 24 settembre 1501». Girolamo Cardano non ha
nessuna intenzione di imbellettare la propria vicenda biografica, e a
partire da una nascita tanto rocambolesca enumera le sue mille disgrazie
e malformazioni con bruschezza e sprezzatura: lo tirano fuori dal
ventre materno che sembra morto e per farlo respirare lo tuffano in un
bagno di vino caldo; a soli due mesi contrae la peste per la prima volta
e un’anomalia ai genitali lo renderà impotente fino ai trentun anni.
Basso
di statura, la mano destra con le dita storte, ha gli occhi minuscoli e
perennemente semichiusi: a parte gli infiniti guai fisici (palpitazioni
cardiache, cronici disturbi di stomaco, ernie intestinali) è un
nevrastenico conclamato. E sul dolore ha una sua teoria piuttosto
curiosa: essendo il piacere nient’altro che un dolore placato, meglio
avere sempre qualche disturbo a portata di mano. Se necessario,
procurandoselo in proprio. Come? Mordendosi le labbra, torcendosi le
dita, strizzando «l’esile braccino sinistro» sino a lacrimare.
Non si
tratta né della prima né della più rilevante bizzarria di un uomo
geniale e stravagantissimo, che offre una testarda e minuziosa
auto-analisi nel celebre Il libro della mia vita,riuscito ora in
un’edizione curata da Serafino Balduzzi per Luni editrice (pagg. 208,
euro 20). Si dice sempre che l’Io entra a pieno titolo sulla scena
letteraria della modernità con Michel de Montaigne, ma ci si dimentica
questa autobiografia di Cardano, che viene stesa a un anno dalla morte,
nel 1575, dunque in leggero anticipo sulla stessa pubblicazione degli
Essais.
L’epoca è segnata dai prodigi dell’arte tipografica, dall’uso
della bussola, dalla diffusione della polvere da sparo e prima ancora
dalle scoperte geografiche: «certo ci si può aspettare che dividere fra
noi un bottino di queste dimensioni ci provocherà disastri a non finire:
ciascuno farà di testa sua, si butteranno via arte e cultura, si
scambierà il certo per l’incerto. Queste cose se le vedranno i posteri;
per il momento noi stiamo ancora nel prato fiorito e godiamo».
Cardano
è medico, filosofo e matematico e oggi, quando si pensa a lui, il primo
pensiero va al giunto cardanico delle automobili, ma la sua gigantesca
opera ha spaziato in lungo e in largo, malgrado la fama postuma non sia
pari allo straordinario talento. Questa autobiografia, considerata
dall’autore come “ombelico” del proprio lavoro, è il modo migliore
offerto al lettore comune per tornare a riaccostare la sua strabordante
personalità. Il godimento è assicurato: l’acume incrocia di continuo un
ingenuo candore, l’acribia dialettica sfocia sovente nella magia. Senza
contare l’ininterrotto fuoco d’artificio immaginativo cui assistiamo: la
passione per il gioco dei dadi lo spingerà ad azzardare l’abbozzo di
una teoria sul calcolo della probabilità, quella per l’astrologia a
disegnare l’oroscopo di Gesù Cristo, con conseguenti, gravissimi guai
con Santa Romana Chiesa (ivi compreso il carcere).
Nell’Europa del
Cinquecento, Cardano è una star: gli uomini potenti si contendono i suoi
servigi. Eppure il tragitto biografico resta accidentato, doloroso (per
dirne una, il figlio Giovanni Battista verrà condannato a morte
gettandolo in uno stato di assoluta prostrazione), né per certo lo aiuta
il suo pessimo carattere: iroso, attaccabrighe,paranoico. Il Nostro
ripete a ogni pie’ sospinto di voler rifuggire dagli onori e dal potere,
l’unico suo cruccio è rimanere nella memoria dei posteri. Per questo
lavora come un matto, sorretto da doni naturali che enumera con
precisione certosina. Si va dalla stregonesca capacità di predire gli
eventi alla forza di carattere nel sostenere le peggiori avversità. Ma
il dono più importante è quello che lui chiama «il lampo di luce nella
mente», «una fusione di ragionamento esperto e di folgorazione
intuitiva: l’uno radicato nel mestiere e l’altro vagante in totale
libertà». Cardano non ha dubbi: questo modo di procedere rappresenta «la
vetta suprema della natura umana», qualcosa che rasenta la perfezione
divina. Solo così si può infondere l’opera di vera gioia, solidità,
leggerezza. Però ci vuole tempo, molto tempo prima che questo dono
affiori nella mente: i pochi che ne sono toccati, lo riconoscono solo in
vecchiaia.
Antesignano del pensiero libertino, Cardano – come ha
scritto Alfonso Ingegno, uno dei suoi massimi studiosi – individua nella
longevità e nella tranquillità d’animo le precondizioni di quel
misticismo sapienziale, benefico per le sorti dell’umanità, a cui figure
eccezionali come la sua sono destinate.
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