martedì 25 febbraio 2014

Faranno di noi carne di porco dopo averci raccontato in barzelletta

Nella trincea dei filo-russi: «I nostri padri vinsero i nazisti adesso noi faremo lo stesso»

A Kharkiv si organizzano i comitati di autodifesa
di Francesco Battistini Corriere 25.2.14


KHARKIV (Ucraina) — Il ring è bianco, con le scritte dello sponsor Lexus e la gabbia intorno: «Ci facciamo i combattimenti a pugni nudi, vai su YouTube e li vedi…». Sul retro, due boxer che abbaiano e un lupo alla catena: un lupo vero: «L’abbiamo da tre anni, è la nostra mascotte». C’è un’Audi nera che passa tre volte sulla piazza Primo Maggio: «Il servizio di pattuglia, bisogna stare attenti…». L’Olpot Fight Club è una palazzina giallognola e di gusto zarista, di fianco all’ippodromo. Sbarrata ai curiosi. «Olpot come fortezza», dice Borislav Yagor, orgoglioso dello stemma: un Muro che non è mai crollato, uno scudo rosso, due lanciarazzi che fra spighe sovietiche incorniciano la scritta «Mmx Team» e annunciano la sfida del nuovo millennio, «Salvare la Russia!». 
Fischia il vento, infuria la bufera, ossa rotte e pronti per menar: la nuova Ucraina non piace alla vecchia e nell’ultima città verso Mosca, a 40 chilometri dal confine e a poche ore dalla fine di un’era, c’è chi si sta organizzando. Teste rasate e tatuaggi falcemartellati, anelli coi teschi e nocche spellate. La roccaforte di Olpot non ha molto della spontanea protesta popolare: è un’organizzazione paramilitare, trecento nel gruppo di fuoco e un migliaio d’appoggio, più tutti quelli che a Kharkiv ci stanno. Il capo è l’ex comandante locale della polizia: Gylian Vlodimorovic, 38 anni, finito in galera per un’autobomba e un po’ di tangenti, miracolosamente scarcerato dietro cauzione (260 mila dollari) pagata da un milionario russo che ha fatto riavere a Gylian distintivo, stipendi arretrati e tante scuse. «Abbiamo le mazze da baseball, la gente. E se serve, qualche arma. I nostri padri hanno dato la vita contro il fascismo e il fascismo adesso è tornato a Kiev! Che cosa direste voi italiani, se a Roma andasse al governo gente mascherata e col kalashnikov?». 
Lenin Fight Club. Febbraio rosso. Dalla Crimea al Donbass, c’è mezzo popolo che non rimpiange molto la fuga di Yanukovich, il corrotto di ieri, ma teme tantissimo il ritorno della Tymoshenko e l’arrivo dei nuovi padroni, i corrotti dell’altroieri. E per ogni statua post-sovietica che cade, ecco un comitato di difesa che insorge. Sull’infinita piazza centrale di Kharkiv, in mezzo un sottile cordone di polizia e due giganteschi galli gialli di cartapesta rimasti lì dalla festa del patrono, la nuova Ucraina e la Piccola Russia si fronteggiano da sabato. Già scisse. Dentro i palazzi del governatore e del sindaco, ormai fuggiti a casa di Putin, presidiano con gli scudi e coi bastoni i duri e puri di Maidan. «Non possiamo continuare a chiamare piazza della Libertà un posto dove c’è la statua del dittatore comunista», dice Mykola Gnatchenko, 28 anni, stomatologo: «Arrivano i carri armati di Mosca? Sappiano che questa non è la Georgia. Non esistono ucraini russi, ci sono ucraini e basta». Oleksandr Syvovol, 27 anni, odontotecnico: «Chi rimpiange la Russia ha paura di restare senza lavoro. Ma il lavoro qui non c’era neanche prima». 
Bisogna fare mille passi. Dall’altra parte, intorno al monumento di Lenin, fanno barriera i violenti «titushki» e i vecchi nostalgici con la fettuccia arancione e nera, quella che sotto Stalin serviva a decorare Georgy Zhukov e tutti gli eroi dell’Armata rossa in trincea contro Hitler. La gente è poca, per la verità, e nel freddo battono più protesi che denti: «A noi non importa d’entrare in Europa! — gridano Ludmyla Barabasha e Svetlana Garnga, 58 e 53 anni —. Siamo venute qui trent’anni fa da Mosca, perché ci sentivamo ucraine. Abbiamo cacciato i nazisti per trovarci governati dai tedeschi?». «Io sono appena stato in Grecia — dice Leonid Stryzhko, 70 anni, ex deputato di Yanukovich — e ci sono le strade piene di gente che fa la fame. Sono stato in Polonia e ho visto che comanda solo il dio euro. Le radici dell’Ucraina non sono state piantate dagli americani: voi ci volete tutti uguali, non capite che si salverà chi resterà fedele a se stesso». 
E’ il confine ultimo della terra di confine. La seconda città del Paese, eppure dimenticabile per Kiev: è difficile volare dalla capitale a Kharkiv, la mattina, perché molti aerei fanno prima scalo a Mosca. A Kharkiv si progettavano i razzi sovietici che andavano nello spazio, e si formavano gli intellettuali da mandare a Mosca. Qui veniva a svacanzare l’ultimo Breznev e qui, sabato, è apparso l’ultima volta il presidente deposto. Qui era detenuta la Tymoshenko e qui, mentre lei tornava a Kiev, si sono riuniti i governatori dell’Est per decidere se separarsi dalla capitale. Urss Memories, difendere le statue non è tutto: sul fondo della piazza, c’è il putiniano palazzo Gazprom che fa lavorare un bel po’ di città. E appena fuori, tra placche della Rivoluzione d’Ottobre e bandiere rossodorate, macina utili la più grande fabbrica di trattori della regione: 60 per cento d’export in Russia, proprietà legata alla famiglia Eltsin. «Nell’Ucraina dell’ovest si fanno le rivoluzioni, qui a Est facciamo i milioni!», una settimana fa è sceso in piazza ad arringare il sindaco, Gennady Kernes detto «Gena». Ama le sbruffonate, Gena, e a un giornalista belga che gli chiedeva perché fosse contro l’Europa, una volta mostrò un maglione rosa e rispose: «Perché avete i matrimoni gay! E crescete i figli gay! E volete che ci vestiamo tutti di rosa!...». Grande amico di Yanucovich, il sindaco. Sabato se l’è trovato davanti, terrorizzato e in fuga. Non ha perso un attimo: ha noleggiato un’auto, l’ha mollato ed è scappato pure lui. 

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