giovedì 6 febbraio 2014

Il PD e la sua lista civetta fanno ricorso al plotone d'esecuzione filosofico per coprire il loro furto di democrazia e criminalizzare le minoranze

Una pessima pagina per la filosofia italiana: il vizio dell'organicità applicata adesso a quella banda di briganti che è diventata la sinistra italiana. E una bruttissima caduta per Roberto Esposito [SGA].

La politica dell’insulto
Gli scontri in aula alla Camera, il dileggio virale sulla rete l’atteggiamento sessista. Così l’aggressività verbale è diventata la modalità egemone di comunicazione pubblica La voglia di annichilire l’avversario che mette a rischio la democrazia
di Roberto Esposito Repubblica 6.2.14


Chi l’avrebbe mai detto che il movimento che più si è proposto come innovativo sulla scena politica italiana avrebbe adottato l’atteggiamento più antico? E anzi letteralmente primitivo, come è sempre la parola quando rompe il ritmo del dialogo per farsi insulto. Entrati in campo attraverso il medium postmoderno della rete, i militanti del movimento 5stelle lo riempiono col gergo tribale dell’offesa. È il corto circuito tra quella che si presenta come postpolitica e atteggiamenti che precedono la politica deformandola in gesto intimidatorio. La politica, fin dalla sua genesi greca, nasce all’interno del discorso. Essa produce decisioni condivise solo dopo che più alternative sono state messe in campo. L’agorà è il luogo in cui discorsi diversi, o opposti, si confrontano per arrivare, attraverso il voto, a scelte che impegnano tutti.
Ma anche la politica moderna, costituita dalla dialettica tra partiti, prevede, sia all’interno di ciascuno di essi, sia nel loro confronto, anche polemico, la discussione. Il parlamento è la nuova “piazza” in cui essa si esprime tra tutte le forze democratiche. È questa logica che il movimento 5stelle ha deciso di far saltare con una scelta che riporta l’agire politico fuori dalle sue procedure consuete, per spingerlo in un orizzonte radicalmente impolitico. Ciò cui esso punta non è la prevalenza di una prospettiva su un’altra, ma la messa in mora dell’intero meccanismo della decisione politica a favore di un altro modo, appunto prepolitico, di procedere. La rottura del lessico politico, secondo questa strategia, consente di aggregare non una parte di opinione pubblica, ma l’intero fronte dell’antipolitica in uno scontro assoluto con tutto l’arco dei partiti in parlamento e con l’idea stessa di rappresentanza parlamentare. Ad essere insultato non è mai l’avversario, ma il Nemico, prima che si incrocino le armi.
Certo, l’insulto non nasce oggi e non viene solo da una parte. È vero che siamo tutti artefici di un impoverimento del linguaggio che a volte sembra assumere i tratti di una mutazione antropologica. Come è vero che forme taglienti di protesta hanno caratterizzato la vita politica italiana fin dagli anni Cinquanta. Ma ciò non candentro,cella il salto di qualità, la vorticosa corsa al ribasso, che sperimentiamo in questi giorni. Intanto bisogna distinguere. Una cosa è la protesta più intransigente, che può arrivare allo sciopero della fame, un’altra l’istigazione alla violenza. L’insulto aggressivo non è una modalità, anche estrema, di opposizione politica, ma ciò che la impedisce. Esso non divide tra punti di vista diversi. Chiama a raccolta il branco, lo lusinga, lo eccita, dandogli in pasto chi, almeno in quel momento, non può difendersi, si sente colpito, circondato, impietrito.
In questo senso l’insulto, anche quando ha un effetto politico, come quello di deviare l’attenzione da qualcos’altro che sta accadendo, non appartiene al linguaggio della politica. E’ sempre causa, ed effetto, di spoliticizzazione, nel senso che riporta la pratica politica ad una fase balbettante, se non all’afasia. Esso non inaugura mai una stagione nuova, porta solo allo sfinimento la vecchia. Non immette energia nell’azione, ma la blocca e la prosciuga. Chiude la parola in una gabbia e la sequestra. L’insulto, con la minaccia che sempre porta non è semplicemente esterno alla politica. È il suo contrario. Ciò che, quando dilaga, rompe il dialogo, la critica, la dialettica tra posizioni diverse e anche opposte.
Già lo strumento della rete, pur con tutte le sue risorse positive, tende a svuotare l’attività politica comune, fatta di incontri, manifestazioni, dibattiti. I visi di coloro che twittano sono invisibili, coperti da uno schermo che non consente di legare comunicazione e responsabilità. In rete si può parlare con altri senza metterci la faccia e neanche, volendo, il nome. Chiunque può esprimersi senza affrontare un reale contraddittorio. Ma l’insulto triviale, scurrile, che in questi giorni impazza nei net è ancora altro e peggio. Esso serve a zittire l’avversario di turno, a sottrargli la parola, a impedirgli la replica, inchiodandolo al disagio dell’umiliazione subita.
L’insulto segna sempre un fallimento – innanzitutto di chi lo fa. Non solo perché dimostra la sua incapacità di articolare un discorso. Ma anche, più a fondo, perché annienta la sfera pubblica, deprivandola dei suoi codici comunicativi. Gonfia la parola fino a farla scoppiare, rovesciandola nel suo opposto. Rivela l’incapacità di controllare gli impulsi, di dare parola a un’emozione, di costruire simboli. In questo modo coloro che sono entrati in politica con il giusto intento di restituire la voce a coloro che non l’hanno, scelgono di spegnere ogni voce. Con il calcolo che il silenzio, o il grido, può produrre più consenso della parola.
Già ridotta alla semplicità manichea di opposizioni binarie – tra buoni e cattivi, cittadini e casta, corrotti e innocenti – nel brodo degli insulti la politica rischia di affogare. Qui non si tratta solo della rappresentanza, giustamente criticata quando non riesce a svolgere la funzione cui è deputata. Ma della stessa possibilità di dare senso alle azioni collettive. Hannah Arendt ha sostenuto che azione e discorso sono legati da un vincolo insolubile da cui nasce la politica. Senza di esse si può certo sopravvivere individualmente, ma non insieme gli uni agli altri. «Una vita senza discorso e senza azione è letteralmente morta. Ha cessato di essere una vita umana perché non è più vissuta fra gli uomini».



Tutto si svolge come in un combattimento al Colosseo.
Prevale il linguaggio volgare di chi “non fa prigionieri”.
Le manifestazioni dei Forconi non sono troppo diverse da quanto avviene nell’emiciclo di Montecitorio

Quando il “plebeismo” entra in Parlamento Le istituzioni contaminate

di Nadia Urbinati Repubblica 6.2.14


Nella democrazia post-partitica il pubblico è una come un occhio senza corpo, informe e gestito da chi sa meglio attivare le emozioni, fare audience. L’arte del parlare in pubblico cambia di conseguenza, non solo nella sfera delle opinioni ma anche nelle istituzioni, intrappolandole nella logica teatrale. Lo stile che ha successo non è il dialogo tra cittadini sulle questioni di loro interesse, ma la dichiarazione ad effetto, l’espressione immediata e diretta del sentire soggettivo in reazione agli eventi esposti al pubblico occhio, non per informarlo ma per tenerlo dalla propria parte. Il pubblico come arte del nascondimento per mezzo delle immagini: un paradosso del nostro tempo di “democrazia in diretta”. È il giudizio estetico che governa la scena invece di quello politico: la centralità dei simboli sui programmi, della figura del leader sul collettivo del partito, delle qualità estetiche su quelle pratiche (la sessualità invece della prudenza, l’aspetto fisico invece della competenza). Il giudizio come questione di gusto intercetta e codifica luoghi comuni e pregiudizi diffusi, che entrato prepotenti nel linguaggio pubblico colonizzandolo e deturpandolo.
I programmi televisivi sono le aule scolastiche nelle quali si è formata questa politica plebea. Anche quando dovrebbero avere lo scopo di discutere dei problemi d’attualità, sono condotti come corride, più interessati a registrare largoascolto che a costruire opinione ragionata – anche perché hanno col tempo abituato gli spettatori a desiderare quel che gli propinano: lo scontro e la demolizione dell’avversario. Del resto, il giudizio veloce sulla persona fa più audience della discussione sulle idee (“Fassina, chi?” si è dimostrato uno schema di giudizio di grande efficacia). Uomini politici e dello spettacolo (spesso identificati concretamente come nel caso di Grillo) coltivano il loro pubblico grazie all’uso studiato di un linguaggio volgare che non fa prigionieri. E così, l’avversario politico diventa un bersaglio di dileggio, mentre l’amico di partito o di blog un alleato gregario. La sfera pubblica come il Colosseo, dentro e fuori delle istituzioni. Le manifestazioni dei forconi non sono diverse nello stile dalle baruffe che animano l’emiciclo del Parlamento.
La politica plebea ha bisogno dell’audience per alimentarsi. Cerca negli spettatori il consenso complice e lo trova: perché l’offesa urlata sa di cadere in un terreno fertile, in un pubblico che la condivide e la ripete. Le offese alle donne e a Laura Boldrini gridate dai parlamentari del M5S sono rappresentative di luoghi comuni diffusi: non sono eccezioni e non sono casi isolati. Del resto se quei parlamentari hanno cercato la platea televisiva era perché sapevano di trovare approvazione. L’occhio televisivo ha fatto da mezzo scatenante, come a confermare quanta osmosi ci sia tra dentro e fuori le istituzioni, quanto unitario sia il clima e lo stile della sfera pubblica.
La politica plebea è una versione deturpata della sfera pubblica democratica, facile da attecchire quando i partiti fanno secessione dallo spazio sociale rinchiudendosi nelle istituzioni. Perché a metterli in comunicazione può a quel punto essere solo una serie eclatante di eventi: i parlamentari devono fare notizia per essere visibili al loro pubblico. È questa distanza che contribuisce a rendere il discorso politico un’arte privata che deve toccare le corde del gusto, essere di godimento come l’urlo, la risata, la baruffa. Il paradosso è che l’audience plebea è un pubblico passivo di uno spettacolo che non mette in scena, un occhio reattivo che non controlla nulla. Tutto avviene dietro le quinte; in diretta restano le parole violente e le offese.


Perché si prende di mira il corpo femminile

Se la donna è una ossessione

di Massimo Recalcati Repubblica 6.2.14


Quando irrompe l’insulto ogni forma di dialogo diviene impossibile perché la condizione del dialogo – sulla quale si sostiene ogni democrazia – è il riconoscimento di eguale dignità dell’interlocutore. L’insulto è l’irruzione di uno stop, di una violenza che rende la parola stessa una sorta di oggetto contundente. Nei recenti episodi che hanno coinvolto il leader del M5S e i sui adepti esso si è però colorato di un riferimento forte alla sessualità che sarebbe opportuno non sottovalutare. Perché? L’insulto sessista scavalca il dibattito politico pretendendo di toccare direttamente l’essere dell’avversario. L’odio più puro non è infatti per le idee, ma per l’essere: negro, comunista, ebreo, gay, donna? Il politico regredisce qui alla dimensione ciecamente pulsionale del pre-politico. Il nemico non è qualcuno che ha idee diverse dalle mie, ma è un impuro, un essere profondamente corrotto, indegno, privo di etica, per definizione reietto. Una donna è per il leader del M5S questo? Perché altrimenti suggerire la fantasia di cosa si potrebbe fare alla Boldrini avendocela in auto? A chi verrebbe mai in mente di proporre un quesito del genere? Gli psicoanalisti sanno bene che le fantasie non sono mai innocenti perché traducono moti pulsionali inconsci. Che razza di rappresentazione inconscia il leader del M5S ha del femminile? Lo scatenamento delle fantasie sessuali sul web ha fornito unritratto inquietante della pancia del movimento che egli rappresenta. Di questo ritratto vorrei mettere in luce due aspetti particolari.
Il primo è la prossimità perturbante con quella cultura berlusconiana che ha fatto della degradazione del corpo femminile una sua tristissima insegna illuminando così la matrice inconscia di quel movimento che si propone come alternativa al berlusconismo. “Sei una puttana!” “Sai fare solo pompini!” non sono affatto insulti post-ideologici, da bar sport, ma riflettono una ideologia totalitaria in piena regola che riduce la donna a roba, oggetto, strumento di godimento, pezzo di carne da dare in pasto agli appetiti di maschi in calore.
Il secondo è un arcaismo di fondo: quello del padre totemico che gioca coi figli al gioco della rivoluzione senza rendersi conto di quale potenziale ad alto rischio maneggia. Ha allora ragione la Presidente Boldrini a ricordarci che in chi esercita questa violenza verbale si cela uno stupratore potenziale. Con l’aggravante che l’appartenenza ad un collettivo, ad un gruppo in assunto di base rigido direbbe Bion, guidato cioè da un forte ideale di purezza autorizza a ingiuriare le donne rendendo il pericolo dello stupro ancora più reale: i commenti osceni, lo scatenamento di fantasie sadico-aggressive, la regressione dell’umano all’animale disinibito è, come mostra bene Freud ne La psicologia delle masse, un effetto del fare e del sentirsi “massa”. Non c’è limite al Male per coloro che pretende di fare le veci assolute del Bene.
Gramsci sosteneva che il valore etico di una Civiltà dovesse avere come sua misura di fondo la condizione e il rispetto per le donne. Potremmo tradurre questo concetto affermando che la democrazia ha sempre un’essenza femminile. Essa si fonda sulla cura delle relazioni, sulla legge della parola, sull’unione delle differenze, sulla dimensione fatalmente precaria che sempre comporta la vita insieme. L’ingiuria e il disprezzo verso le donne e le istituzioni democratiche non sono l’opposizione legittima all’ingiustizia, ma sono solo l’altra faccia dell’uso perverso e corrotto delle donne e delle istituzioni democratiche che ha fatto nel nostro paese scempio della politica.

3 commenti:

Giuseppe ha detto...

Chissà che avrebbero detto di questi plebei? Dall'Unità del 30 marzo 1953: "[...] Tutti i senatori dell'Opposizione sono in piedi e gridano, all'indirizzo di RUINI: Vergogna! Venduto! Servo! Fazioso! Questo non è più il Senato!
[...] il compagno Scocimarro, vicepresidente del'Assemblea, si fa largo fra la confusione e sale sul banco della Presidenza. Lo si vede parlare concitatamente con Ruini, sbattere il pugno sul tavolo della Presidenza e tornare nel settore di sinistra tra gli applausi dei nostri compagni
[...] Numerosi compagni vengono alle mani con i clericali, al centro dell'emiciclo, mentre i commessi stendono un cordone per evitare gli urti.
[...] È il compagno socialista LUSSU che per primo da sfogo alla sua profonda indignazione lanciando in faccia a Ruini il libretto del Regolamento [...] Nell'emiciclo la mischia è ormai furibonda. Sanna Randuccio viene schiaffeggiato e preso a pugni; Canaletti Gaudenti, Tartufoli, De Luca e Gerini ricevono colpi sul viso e sul corpo dai senatori di opposizione.
[...] Nell'emiciclo si agita un groviglio di corpi avvinghiati in una colluttazione violenta. Pacciardi, in piedi davanti al banco del governo, riceve un colpo sulla fronte che gli lascia un graffio insanguinato.
[...] l'Opposizione reagisce con una nuova salve di epiteti contro Ruini: «Canaglia! Venduto! Sudicione! ». Un pugo di monete metalliche viene lanciato contro il giuda Ruini. Si ode nettamente il compagno LI CAUSI scandire con voce tonante: «Por-co! Por-co!». Il compagno Terracini a sua volta grida: «Ella non è più il presidente del Senato! È un brigante!»
[...] NEGARVILLE tenta di salire sul banco della Presidenza aggrappandosi alle sottili colonnine di legno che lo decorano. Ci vogliono una dozzina di commessi per strapparlo a forza dopo una resistenza accanita.
[...] SECCHIA, MOSCATELLI, MINIO, PELLEGRINI, Rita MONTAGNANA, Adele BEI, PALERMO, SCOCIMARRO, LUSSU, LEONE, SPANO, PERTINI, MASSINI, LANZETTA, BOLOGNESI , FEDELI, PASTORE, ALLEGATO, picchiano con tutte le loro forze, insieme con gli altri senatori di opposizione di cui non riusciamo a segnare i nomi, sui banchi. C'è chi riesce a staccare le tavolette e a sbatterle con violenza ancora maggiore.
[…] Il compagno socialista LUSSU, vecchio amico di lotta di La Malfa, quando questi era ancora un antifascista, scende nell'emiciclo, si avvicina al ministri repubblicano e lo schiaffeggia.”

Giuseppe Sini

materialismostorico ha detto...

Eggià...

Contropiano ha detto...

Grazie della segnalazione!!!!
http://www.contropiano.org/politica/item/22041-bon-ton-parlamentare-antifascista