mercoledì 5 febbraio 2014

Ottocento e Novecento. La formazione del movimento operaio nella trilogia di Evangelisti

Il sole dell'avvenire. Vivere lavorando o morire combattendo vol.1Ho letto alcuni libri di Evangelisti e li ho trovati molto divertenti. Ho letto alcune sue prese di posizione politiche e le ho trovate completamente sbagliate. Speriamo bene [SGA].

Valerio Evangelisti: Il sole dell’avvenire. Vivere lavo­rando o morire com­bat­tendo, Mon­da­dori, pp. 530, euro 17,50

Risvolto
La nuova trilogia progettata da Valerio Evangelisti vuole raccontare la storia del movimento operaio e contadino in Italia tra luci e ombre: un grande affresco storico dalla penna di uno scrittore di culto. L’obiettivo, ambizioso, è di raccontare la storia d’Italia dal 1875 al 1950 attraverso la storia personale di tre famiglie di braccianti e mezzadri romagnoli dai destini intrecciati, i Verardi, i Minguzzi e gli Zambelli, a partire dal capostipite Attilio Verardi, ex garibaldino.

Lo sfondo storico del primo volume, Il sole dell'avvenire - vol.1, in libreria ed ebook dal 3 dicembre, è ambientato come gli altri due in Emilia Romagna e verte sulla crisi agraria, la formazione del bracciantato di massa, i contrasti tra mazziniani, anarchici e socialisti, la nascita delle cooperative, le bonifiche, l’ingresso dei socialisti in Parlamento e nei comuni, le prime leghe di resistenza.

Un Evangelisti inedito, differente da quello che conosciamo, si dedica a questo grande progetto di affresco storico e sociale attraverso un grande lavoro di documentazione svolto su fonti d’epoca. Ma, al tempo stesso, Evangelisti mantiene la sua cifra più vera e dà vita a un’opera lontana da tutti i romanzi e i film di ambientazione rurale, da Novecento a L’albero degli zoccoli.

L’obiettivo non è magnifi care la “civiltà contadina”, ma raccontarla nella sua complessità: la storia

dei protagonisti, mai esenti da contraddizioni, e la storia del Paese e del movimento operaio, in tutte le sue luci ma anche in tutte le sue ombre.



La potenza di una storia plurale 
Narrativa. "Il sole dell'avvenire", il nuovo libro di Valerio Evangelisti. La prima, avvincente puntata di una serie di romanzi sulla formazione e lo sviluppo del movimento operaio italiano

Mauro Trotta, il Manifesto 5.2.2014 


«Il capi­tale ha la sua sto­ria e i suoi sto­rici la scri­vono. Ma la sto­ria della classe ope­raia chi la scri­verà?». Que­sta domanda se la poneva tanti anni fa, era il gen­naio del 1964, Mario Tronti all’interno di uno dei testi più famosi e impor­tanti della sta­gione dell’operaismo ita­liano, Lenin in Inghil­terra (Ope­rai e capi­tale, Deri­veAp­prodi). Di lì a poco sarebbe par­tita la grande sta­gione delle lotte, in Europa e nel mondo, un periodo che in Ita­lia sarebbe durato circa un decen­nio, tanto da essere defi­nito da qual­cuno il lungo Ses­san­totto italiano. 

Oggi quella stessa domanda si pone ancora una volta. O quanto meno se la pone, donan­dole una pro­pria rispo­sta, il Magi­ster della let­te­ra­tura ita­liana, Vale­rio Evan­ge­li­sti. Il suo nuovo pro­getto nar­ra­tivo, infatti, si pre­senta come una tri­lo­gia che, attra­verso le vicende di una serie di per­so­naggi appar­te­nenti ad alcuni gruppi fami­liari roma­gnoli, i Verardi, i Men­guzzi, i Gia­co­melli, segua il for­marsi e l’imporsi sulla scena della sto­ria del pro­le­ta­riato ita­liano. In par­ti­co­lare, almeno a giu­di­care dal primo romanzo uscito, del movi­mento ope­raio dell’Emilia Roma­gna. Si parte dal 1875 e si dovrebbe arri­vare – «dipen­derà dall’interesse dei let­tori e dalle forze dell’autore» – fino agli anni Cin­quanta del Novecento. 
Tra gari­bal­dini e mazziniani 
Il primo volume si inti­tola Il sole dell’avvenire. Vivere lavo­rando o morire com­bat­tendo (Mon­da­dori, pp. 530, euro 17,50) e arriva fino all’eccidio del 1898, quando Bava Bec­ca­ris fece pren­dere a can­no­nate a Milano la folla degli insorti, cau­sando la morte di oltre ottanta per­sone e il feri­mento di circa cin­que­cento, tra uomini e donne. Il libro è per­fet­ta­mente leg­gi­bile a sé, risulta con­chiuso nella sua strut­tura, anche per­ché l’autore non uti­lizza alcun espe­diente reto­rico o nar­ra­tivo per sti­mo­lare la curio­sità del let­tore su cosa acca­drà in seguito. È la forza, la potenza della sto­ria, o meglio delle vicende nar­rate e la mae­stria della scrit­tura di Vale­rio Evan­ge­li­sti a far sì che una volta chiuso il volume si senta l’esigenza di volerne ancora, ci si auguri for­te­mente che pre­sto possa uscirne il seguito in libreria. 
Il libro è diviso in tre sezioni, ognuna inti­to­lata a uno dei pro­ta­go­ni­sti prin­ci­pali ovvero Atti­lio, detto Tilio, Verardi, la moglie Rosa Men­guzzi e il loro figlio, Can­zio. Si parte con le vicende legate al fidan­za­mento e al suc­ces­sivo matri­mo­nio tra Atti­lio e Rosa, espo­nenti tipici di due gruppi sociali diversi anche poli­ti­ca­mente. Lui è gari­bal­dino, lei viene da una fami­glia repub­bli­cana fana­tica di Maz­zini. Lui, come la gran parte del pro­le­ta­riato roma­gnolo dell’epoca, svolge lavori sal­tuari e dif­fe­renti, brac­ciante, mano­vale, car­ret­tiere. I Men­guzzi, invece, sono mez­za­dri. Attra­verso le loro vicende e quelle di amici, cono­scenti, paren­ti­viene deli­neato il pano­rama sociale e poli­tico dell’epoca e di quei ter­ri­tori. È il momento del tra­monto della Prima Inter­na­zio­nale, i gari­bal­dini sono rivo­lu­zio­nari – è l’eroe dei due mondi che ha defi­nito il socia­li­smo il sole dell’avvenire – i repub­bli­cani invece potremmo defi­nirli rifor­mi­sti. E poi ci sono ancora i vec­chi inter­na­zio­na­li­sti, gli anar­chici, i socia­li­sti. Nel 1881, Andrea Costa fonda il Par­tito Socia­li­sta Rivo­lu­zio­na­rio e, primo socia­li­sta, viene eletto in Par­la­mento. Si pone in atto la tat­tica dell’alleanza tra socia­li­sti e repub­bli­cani per con­qui­stare elet­to­ral­mente i Comuni. Si for­mano coo­pe­ra­tive a cui saranno appal­tati i lavori di argi­na­tura dei corsi d’acqua roma­gnoli e non solo. I lavo­ra­tori della Roma­gna, infatti, andranno a boni­fi­care l’Agro romano e poi addi­rit­tura in Gre­cia. Ci sono le lotte, con le loro vit­to­rie e le loro scon­fitte, le insur­re­zioni, i momenti di esplo­sione della crea­ti­vità pro­le­ta­ria che si fa beffe di sbirri e padroni. C’è poi la guerra, quella tra Greci e Tur­chi a cui par­te­ci­perà un con­tin­gente di volon­tari gui­dati dal figlio di Gari­baldi, Menotti. E ancora le modi­fi­ca­zioni dei rap­porti di lavoro in agri­col­tura, col declino della mez­za­dria e i ten­ta­tivi di moder­niz­za­zione capitalistica. 
È inu­tile cer­care qui la figura dell’operario di fab­brica. I pro­ta­go­ni­sti sono tutti brac­cianti, mano­vali, mon­dine, car­ret­tieri e poi sarti, fab­bri, pic­coli arti­giani, car­ret­tieri, tipo­grafi, addi­rit­tura por­tieri d’albergo e com­mer­cianti di cereali. L’operaio farà sen­tire la sua pre­senza sol­tanto verso la fine del libro, una pre­senza evo­cata più che reale. Si intrav­vede, infatti, nella nuova linea poli­tica, evo­lu­zio­ni­sta più che rivo­lu­zio­na­ria, por­tata avanti dal socia­li­smo ope­raio mila­nese di Filippo Turati. 
Siamo, dun­que, agli albori della sto­ria del movi­mento ope­raio ita­liano. E la mate­ria scelta o, meglio, il luogo, l’ambiente, la situa­zione ana­liz­zata non è nem­meno quella della for­ma­zione della grande fab­bri­che. Certo anche in Roma­gna si assi­ste a quei movi­menti dalla cam­pa­gna alla città che hanno carat­te­riz­zato il periodo, ma manca, in que­sto primo libro, il pro­cesso di for­ma­zione della classe ope­raia indu­striale. C’è però una viva­cità poli­tica, una ricerca di atten­zione alle istanze pro­ve­nienti dal basso che ren­dono la scelta di Evan­ge­li­sti con­grua e fun­zio­nale. È pro­ba­bil­mente pro­prio qui, in que­sta sorta di brodo di col­tura che è giu­sto andare a ritro­vare l’origine dell’anima più san­gui­gna e rivo­lu­zio­na­ria del pro­le­ta­riato ita­liano. E, pur­troppo, non solo. Com­pare infatti nel libro anche una figura di vero com­pa­gno, tipico roma­gnolo duro e leale, che non per sua colpa sarà all’origine di ben altro. Si tratta di un fab­bro, tale Andrea Mus­so­lini, padre di quel Benito che senza dub­bio rive­stirà un ruolo impor­tante nel resto della saga. 
Un felice ritorno al passato 
Epo­pea senza reto­rica, affre­sco secco e tagliente di un’origine, Il sole dell’avvenire sem­bra rap­pre­sen­tare all’interno del per­corso let­te­ra­rio di Vale­rio Evan­ge­li­sti sia un punto di arrivo che un ritorno al pas­sato. Un punto d’arrivo per­chè da un lato porta a com­pi­mento quel lavoro da sem­pre svolto dallo scrit­tore, incen­trato sull’abbattimento dei con­fini che ten­dono a rele­gare la let­te­ra­tura di genere in un ambito di puro intrat­te­ni­mento e di sud­di­tanza nei con­fronti della nar­ra­tiva cosid­detta alta. Qui Evan­ge­li­sti, non solo nella scrit­tura ma anche nella strut­tura del romanzo è al suo mas­simo, riu­scendo ad avvin­cere il let­tore come e più del suo miglior libro dedi­cato all’inquisitore Eymerich. 
D’altro canto la sto­ria del movi­mento pro­le­ta­rio roma­gnolo sem­bra dav­vero il ver­tice di un per­corso che par­tendo dalle ere­sie medie­vali ha poi attra­ver­sato il capi­ta­li­smo sel­vag­gio pre­fi­gu­rato dalla pira­te­ria, le rivolte ope­raie ame­ri­cane, l’esperienza degli Iww, la rivo­lu­zione mes­si­cana, non disde­gnando nem­meno una pun­tata sul Risor­gi­mento ita­liano. Ma Il sole dell’avvenire appare anche come un ritorno al pas­sato in quanto tratta lo stesso argo­mento affron­tato come tesi di lau­rea dall’autore e che fu all’origine di un altro testo – un vero e pro­prio sag­gio sto­rico – che vedeva mon­tate insieme la sua e la tesi di Ema­nuela Zuc­chini. Libro, quest’ultimo, inti­to­lato Sto­ria del Par­tito Socia­li­sta Rivo­lu­zio­na­rio 1881–1893, di recente ripro­po­sto da Odoya (Bolo­gna, euro 20) e che rap­pre­senta un’ottima intro­du­zione e un eccel­lente appro­fon­di­mento degli avve­ni­menti e dei temi affron­tati nel romanzo.

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