mercoledì 5 febbraio 2014

Richard Dixon racconta a Paolo Ercolani la traduzione dello Zibaldone di Leopardi

Lo Zibaldone è come un blog 

Intervista. Incontro con Richard Dixon, uno dei sette traduttori dello Zibaldone di Giacomo Leopardi in inglese, un'impresa culturale straordinaria. Per la prima volta, quel diario di pensieri sparsi potrà essere letto integralmente in lingua anglosassone

Paolo Ercolani, il Manifesto 5.2.2014 


Si narra che un giorno si pre­sentò a Reca­nati un pic­colo gruppo di ebrei, con i quali nes­suno della cit­ta­dina mar­chi­giana riu­scì a inter­lo­quire fatta ecce­zione per Gia­como Leo­pardi, che discusse ama­bil­mente e flui­da­mente con loro par­lando un per­fetto ebraico. Peral­tro una delle sei lin­gue che il grande poeta par­lava cor­ren­te­mente già a 17 anni. 
Un epi­so­dio que­sto, che da solo rie­sce a ren­dere l’idea della straor­di­na­ria cul­tura del per­so­nag­gio, for­nito di un’erudizione ampia­mente rifusa in quell’opera incre­di­bil­mente ricca e com­plessa che è lo Zibal­done. 
Ne par­liamo con Richard Dixon, già tra­dut­tore in inglese di Umberto Eco e Roberto Calasso, uno dei sette tra­dut­tori della straor­di­na­ria impresa cul­tu­rale che vede, per la prima volta inte­gral­mente, ripro­dotto in inglese lo Zibal­done di Leo­pardi. Dixon pre­sen­terà a Cagli (vicino a Urbino) il suo lavoro, nell’ambito di un incon­tro orga­niz­zato dall’associazione «Con­tem­po­ra­neo», venerdì pros­simo (ore 18) presso il Polo cul­tu­rale di Eccel­lenza, sito nel palazzo Berardi Mochi Zamperoli. 

La tra­du­zione inte­grale dello «Zibal­done» arriva dopo più di un secolo di silen­zio del mondo anglo­sas­sone su Leo­pardi. Quali sono state le moti­va­zioni che vi hanno spinto a com­piere un’operazione di por­tata storica? 

Quat­tro­mi­la­due­cen­to­cin­quan­ta­sei pagine sono tante. È stato un lavoro enorme, non sol­tanto per il numero di pagine da tra­durre ma per gli argo­menti trat­tati. Soprat­tutto, per un’impresa così signi­fi­ca­tiva, ci voleva la guida giu­sta. Credo che non sarebbe stato pos­si­bile arri­vare ad una pub­bli­ca­zione così riu­scita senza la visione dei cura­tori, Michael Cae­sar di Bir­min­gham Uni­ver­sity, Franco D’Intino dell’Università La Sapienza di Roma e l’impegno di una casa edi­trice come Far­rar Straus e Giroux nella per­sona di Jona­than Galassi, lui stesso tra­dut­tore dei Canti di Leo­pardi pub­bli­cati recen­te­mente da Pen­guin Books. 

Il pro­getto è nato nel 1998 con la fon­da­zione del Leo­pardi Cen­tre di Bir­min­gham in col­la­bo­ra­zione con il Cen­tro Studi Leo­par­diani di Reca­nati e poi suc­ces­si­va­mente la crea­zione di un comi­tato scien­ti­fico con nume­rosi con­su­lenti nelle diver­sis­sime mate­rie trat­tate nello Zibal­done, dal campo lin­gui­stico e filo­lo­gico (non sol­tanto le lin­gue euro­pee, il greco, latino, ebraico ma anche san­scrito, mon­golo, tibe­tano, cinese) alla filo­so­fia, musi­co­lo­gia, sto­ria clas­sica, medie­vale e moderna, giu­ri­spru­denza, scienza. Era­vamo sette tra­dut­tori, ma non sarebbe stato pos­si­bile por­tare l’impresa a buon fine senza l’impronta deci­siva dei due auto­re­voli cura­tori. Quindi, più che par­lare di «silen­zio», direi che il tempo era maturo. 

Sono non poche le dif­fi­coltà che si incon­trano nel tra­durre uno scrit­tore che si esprime nella lin­gua roman­tica e imma­gi­ni­fica per eccel­lenza, in una lin­gua più ana­li­tica e seman­ti­ca­mente rigida come l’inglese.… 

Leo­pardi scrive con una flui­dità e scor­re­vo­lezza impres­sio­nanti. Qual­che volta, men­tre tra­duci, senti vera­mente la sua voce. E in quel momento (quando le cose vanno bene) ogni altra con­si­de­ra­zione viene dimen­ti­cata. C’è stata la dif­fi­coltà di dover tra­durre un testo con altri sei tra­dut­tori, e la voce che sen­tivo io non era neces­sa­ria­mente uguale a quella che sen­ti­vano i miei col­le­ghi. Abbiamo lavo­rato in diversi paesi fra le due sponde dell’Atlantico e, quindi, le occa­sioni di tro­varci tutti insieme sono state pochissime. 

Ma siamo riu­sciti a costruire un approc­cio uni­ta­rio e a trac­ciare alcune linee guida da seguire con l’aiuto anche del nostro «voca­bo­la­rietto», un glos­sa­rio di parole pro­ble­ma­ti­che con le solu­zioni che abbiamo scelto di comune accordo. A tra­du­zione finita, abbiamo lavo­rato con gli edi­tors, per ren­dere la traduzione 

sti­li­sti­ca­mente omogenea. 

Che idea si è fatto di que­sto grande capo­la­voro dell’Ottocento? Un’opera fram­men­ta­ria e quindi disper­siva, come riten­gono alcuni, o si pos­sono scor­gere degli ele­menti strutturali? 

Credo che tutti tra­dut­tori pre­fe­ri­scano evi­tare domande che riguar­dano la qua­lità del testo ori­gi­nale, forse per­ché nel pro­cesso di tra­du­zione diven­tiamo così inti­ma­mente coin­volti con il testo stesso che non siamo più in grado di giu­di­carlo. Ora che sono pas­sati tre anni da quando ho con­se­gnato la mia parte della tra­du­zione, rie­sco a leg­gere il testo quasi come un let­tore nor­male, e mi rendo conto che, sì certo, è un lavoro fram­men­ta­rio, è un lavoro che ti porta di qua e là, ma ha una ori­gi­na­lità spa­ven­tosa, e man mano che leggi, trovi anche una con­ti­nuità, gra­zie anche ai rimandi ad altre pagine che abbiamo inse­rito lungo tutto il testo. 

In par­ti­co­lar modo sono rima­sto col­pito dal paral­le­li­smo che si scorge fra il pes­si­mi­smo di Leo­pardi e la con­ce­zione bud­di­sta secondo cui la feli­cità è un’esperienza pas­seg­gera, per cui la sof­fe­renza pre­sente nel mondo va medi­tata ed ela­bo­rata, nel ten­ta­tivo di riu­scire a supe­rarla (idea che attirò su Leo­pardi la cri­tica impie­tosa del Nie­tzsche nichi­li­sta, ndr). 

Lei ha tra­dotto Eco, Calasso. Adesso Leo­pardi, che per molti versi è un mae­stro asso­luto della cul­tura let­te­ra­ria e filo­so­fica ita­liana. Cosa pos­siamo dire riguardo un’eventuale attua­lità del pen­siero di que­sto «mostro sacro»? 

Voglio rispon­dere con tre bre­vis­sime cita­zioni dello Zibal­done. Per esem­pio: «L’abuso e la disub­bi­dienza alla legge, non può essere impe­dita da nes­suna legge» (31 ago­sto 1820). Oppure: «L’uomo era più felice prima che dopo il Cri­stia­ne­simo» (18 dicem­bre 1820). O ancora: «Non v’è quasi altra verità asso­luta se non che Tutto è relativo. Que­sta dev’esser la base di tutta la meta­fi­sica» (22 dicem­bre 1820). L’idea che mi sono fatto è che que­sto ragazzo ven­ti­duenne reca­na­tese aveva poco a che fare con il mondo del suo tempo. Nes­suna sor­presa che è stato osan­nato dai suoi con­tem­po­ra­nei per la sua poe­sia, sublime ancora oggi, e invece basto­nato per la sua prosa. Que­sta rac­colta di appunti, nasco­sta in una baule per cinquant’anni dopo la sua morte, e pub­bli­cata per la prima volta cento anni dopo la sua nascita nel 1898, non era stata pen­sata per la pub­bli­ca­zione. Certe pagine sono, e sono sem­pre state, dif­fi­cili da leg­gere. Ma sfo­glian­dole, trovi in ogni pagina, quasi per caso, qual­che pic­colo o grande gioiello. 

Non pochi recen­sori inglesi e ame­ri­cani, non senza un certo azzardo «post­mo­der­ni­sta», hanno par­lato dello «Zibal­done» come di un’opera tal­mente moderna nella sua strut­tura, da far pen­sare al primo iper­te­sto filo­so­fico dell’età moderna. Quasi un blog ante lit­te­ram? Pare accet­ta­bile tale interpretazione? 

Sì, pro­prio così. Ma non voglio creare un’idea sba­gliata. La nostra tra­du­zione rimane fedele al testo ori­gi­nale, con tutto ciò che com­porta. Abbiamo pre­fe­rito, ad esem­pio, non spez­zare le frasi molto lun­ghe, uti­liz­zando sì una prosa moderna ma evi­tando ogni tipo di gergo di oggi, che potrebbe sem­brare goffo al let­tore di domani. 

Detto que­sto, la forma fram­men­ta­ria dello Zibal­done, con il cam­bia­mento con­ti­nuo di argo­menti, lo fa asso­mi­gliare a quello che oggi potrebbe essere un blog. E poi, in quasi ogni pagina, ci sono rife­ri­menti che ti con­du­cono verso altre pagine in modo che la let­tura non avviene in maniera lineare, come per un libro, ma cir­co­lare, come quando si naviga in Rete, clic­cando da pagina a pagina e seguendo l’argomento che interessa.

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