martedì 4 febbraio 2014
Stimata intellettuale del PD si accorge nel 2014 del nesso tra diseguaglianze sociali e crisi della democrazia
Se cresce la diseguaglianza
di Nadia Urbinati Repubblica 4.2.14
Una
democrazia dei due terzi: è questa la rappresentazione della società
che proviene dai dati resi noti da Bankitalia. Si tratta di una conferma
dello stato della diseguaglianza socio-economica, che non solo non
tende a correggersi, ma si riafferma come caratteristica endogena, un
male cronico. L’economia non riesce a stare al passo con la promessa
della democrazia. Il problema è che, ora, anche la politica sembra voler
seguire le orme dell’economia e cessare di preoccuparsi di quella
promessa; anch’essa è sempre meno inclusiva e sempre più preoccupata a
rappresentare i molti, non tutti o quanti più è possibile. Avere voce
forte è un prerequisito per contare ed essere contati, e le procedure
sono sempre più disposte a riflettere questo fatto invece di
correggerlo.
È ragionevole tentare un parallelo tra lo squilibrio
economico e la fisionomia della democrazia? La domanda è retorica,
poiché l’opinione pubblica ha la percezione di questo parallelo, anche
se lo stato della ricerca che valga a confermarlo è ancora in fieri. Ci
sono tuttavia buoni indizi per tentare una triangolazione tra la
crescita della diseguaglianza e della povertà, il restringimento della
partecipazione elettorale, e l’inclusività delle regole del gioco. Il
massiccio parlare di democrazia, l’ideologia che la vuole come la
migliore forma di governo, e la sua solitudine planetaria si
accompagnano paradossalmente a una crescita di indifferenza verso la
politica e di sfiducia nelle sue attuali procedure di decisione.
Rivedere le regole è a un tempo un riflesso e un esito di questa società
più diseguale e divisa.
I dati di Bankitalia confermano del resto un
trend ventennale che parla di un progressivo peggioramento del reddito
familiare medio e di un allargamento della forbice tra chi può (poco o
molto) e chi non può (poveri relativi, impoveriti e a rischio di
povertà). Il trend è questo: crescita della concentrazione dei redditi e
della povertà. I poveri o coloro che non riescono a far fronte ai
bisogni minimi sono circa il 14 percento (con punte del 25 percento nel
Mezzogiorno); i bilanci delle famiglie sono distribuiti in maniera
corrispondente: il 10 percento delle famiglie più ricche possiede quasi
la metà della ricchezza netta totale mentre è raddoppiata in quattro
anni la fascia di coloro che sono caduti in povertà. Dati che confermano
il dubbio: la ricchezza è concentrata nel 64 percento della
popolazione; ovvero, per semplificare al rialzo, poco più di due terzi
dentro, gli altri fuori.
Benché la correlazione tra diseguaglianza
economica e stato della democrazia sia costruita su ipotesi (ma
scienziati sociali stanno dovunque lavorando per comprovarla con dati
certi), viene spontaneo il dubbio che l’andamento della forbice sociale
abbia ricadute più o meno dirette sulla politica. Non è un caso del
resto che la partecipazione elettorale abbia subito un declino
progressivo negli ultimi due decenni, quasi a seguire la traiettoria
dell’eguaglianza economica: alle recenti consultazioni politiche hanno
votato circa il 75 percento alla Camera e 70 percento al Senato, cifre
che rispecchiano quelle relative al numero delle persone nelle mani
delle quali sta la ricchezza. Difficile stabilire una corrispondenza
diretta; sufficiente avere squadernata davanti agli occhi la
similitudine tra questi due dati.
Dati empirici di alcuni decenni
provano che il sistema politico è “usato” o praticato più da chi si
posiziona meglio nella società. Ciò non significa, ovviamente, che la
democrazia sia “posseduta” da chi la pratica, dagli inclusi o dai meglio
rappresentati. Starsene a casa, restare indifferenti alla politica o
non avere la propria voce rappresentata non comporta perdere nulla in
termini di diritti e uguaglianza legale. Tuttavia si dovrebbe essere
allarmati per il deprezzamento della democrazia da parte di una fetta
sempre più larga di cittadini, tra l’altro confermato da dati recenti,
che parlano di delusi del funzionamento delle istituzioni e di desiderio
di governi forti, con pochi esperti e poche sigle partitiche. Forbice
tra le classi, forbice tra gli elettori, forbice tra cittadini e
politici: una società divisa, con pesi sociali sempre meno
proporzionati, e una tendenza alla registrazione ineguale della voce dei
cittadini. Una fisionomia sfigurata che mostra il paradosso del trionfo
della forma democratica di governo proprio mentre si assiste a un
effettivo restringimento del valore inclusivo delle sue istituzioni.
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