martedì 18 febbraio 2014

Tre libri - disuguali - sul fascismo



Il libro di Ceci sembra interessante; quello di Duggan scontato; quello di Vacca da Storia Illustrata [SGA].

Christopher Duggan, Il popolo del Duce. Storia emotiva dell’Italia fascista, traduzione di Giovanni Ferrara degli Uberti, Laterza, pagine 528, € 24

Risvolto
«Quando si scrive una lettera a Mussolini? Quando ci si guarda attorno o non si sa più a chi rivolgersi, ci si ricorda che c’è Lui. Egli è il confidente di tutti ed è ovunque. È anche in questa stanzetta semibuia, mentre tu, povero, parlavi dei tuoi dolori. Non hai sentito che ti ascoltava?».
Migliaia di lettere, poesie, disegni, pitture, fotografie, diari arrivano ogni giorno alla segreteria del Duce e raccontano l’Italia sotto la tragica fascinazione di un dittatore carismatico.
Esprimere gratitudine, avanzare una supplica, dimostrare la propria fede, chiedere favori, in un ventaglio inesauribile di circostanze e occasioni. Per il compleanno e l’onomastico del Duce; con la richiesta di un incontro; dopo che aveva pronunciato un discorso importante; quando un membro della sua famiglia era malato, o si voleva che facesse da padrino a un figlio; in occasione degli anniversari del fascismo o di una crisi internazionale; perfino quando lo scrivente aveva fatto un sogno significativo. Durante il ventennio migliaia di italiani impugnarono la penna per scrivere al loro capo carismatico. I mittenti erano di tutte le estrazioni sociali ed età. Erano soldati, contadini, massaie, bambini, preti, studenti, artigiani. Molti scrivevano per chiedere un aiuto economico, ma in moltissimi per esprimere al loro leader ammirazione incondizionata, fino al desiderio amoroso o all’adorazione religiosa: per tanti il culto del Duce non fu soltanto il prodotto della propaganda ma un attaccamento profondamente sentito. Christopher Duggan ricostruisce il ventennio dagli albori dello squadrismo sino alla caduta del regime, attraverso una documentazione fatta di lettere e diari privati inediti, resoconti giornalistici, programmi radio, canzoni popolari. La straordinaria relazione intimache moltissimi italiani intrattennero con Mussolini racconta una storia emotiva dell’Italia fascista che corre sotterranea e parallela lungo i binari degli avvenimenti storici.


Alberto Vacca, Duce! Tu sei un Dio! Mussolini e il suo mito nelle lettere degli italiani, prefazione di Mario Avagliano, Baldini&Castoldi, pagine 304, € 16,90



Risvolto

Durante il Ventennio gli italiani scrissero al duce milioni fra lettere, telegrammi e cartoline. Migliaia di tali missive sono oggi custodite presso l'Archivio Centrale dello Stato, in un fondo che stranamente è stato poco o per nulla esplorato dagli storici. Eppure, considerando il loro carattere disinteressato, quelle lettere ci rivelano quanto sia stato pervasivo il mito e il culto del duce in una parte del popolo italiano e come sia stato da essa vissuto nel periodo 1930-1943. C'è l'ammiratore che mette a disposizione il suo naso qualora il Duce ne avesse avuto bisogno dopo un fallito attentato; i parroci che salutavano in lui il "difensore della civiltà romana e cristiana"; i piccoli balilla, le suore, e i genitori che offrono il loro figlio appena nato come futuro braccio al servizio del Duce. Frutto di una inedita ricerca d'archivio, questo libro è una testimonianza di come eravamo, e ci fa capire, più di molti saggi accademici, come e perché gli italiani hanno creduto alla più grande illusione del Novecento. Prefazione di Mario Avagliano. 


Lucia Ceci, L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini, Laterza, pagine 338, € 22

Risvolto

Contravvenendo alle periodizzazioni classiche, questo libro racconta la storia dell’incontro tra la Chiesa cattolica e il fascismo partendo dall’infanzia di Benito Mussolini, alla fine del lungo Ottocento, e arrivando al crollo della Repubblica sociale. La scelta risponde al bisogno di dar conto dei mutamenti che investono la società italiana e, al suo interno, il cattolicesimo, per giungere alla ricostruzione complessiva di una pagina cruciale della nostra storia. Già prima del Concordato la Chiesa alimentò il mito del duce e ampliò il consenso al regime. Ma l’ambizione totalitaria del fascismo spinse papa Pio XI a competere con Mussolini per il controllo delle coscienze.Dalla Conciliazione in avanti, così, i vertici vaticani adottarono una strategia politica giocata su due tavoli: fervido sostegno al governo di Mussolini, manifestato nel messaggio pubblico; rivendicazione di una separata e contrastante identità nel confronto riservato con i poteri politici. Non basta quindi seguire le stanze del potere. Soprattutto quando il fascismo diventa Stato: tutto si amplia, tutto si complica, mentre il degenerare dei rapporti internazionali, la realtà della guerra, la tragedia degli ebrei pongono la Chiesa, a partire dai suoi vertici, dinanzi a scelte ineludibili.


La dialettica tra cattolicesimo e culto del Duce nei libri di Duggan, Vacca e Ceci 

Antonio Carioti La Lettura


Il Duce, che emozione!
Lo storico inglese Christopher Duggan documenta il consenso tributato al dittatore e al regime da parte degli italiani attraverso l'esame dei diari della gente comune
di Emilio Gentile Il Sole 24 Ore Domenica 4.5.14

Se fosse stato pubblicato negli anni Settanta un libro sulla «storia emotiva dell'Italia fascista» sarebbe stato certamente attaccato dalla storiografia antifascista militante come uno dei peggiori prodotti del revisionismo della cosiddetta "scuola defeliciana", cioè la scuola allevata da Renzo De Felice, accusato di proporre una «storiografia anti-antifascista» , il cui subdolo scopo era riabilitare il fascismo, sostenendo che il regime ebbe un consenso popolare. Infatti, questa è la tesi sostenuta nel suo libro, pubblicato due anni fa in Inghilterra, dallo storico inglese Christopher Duggan, già autore di una notevole biografia di Francesco Crispi. Duggan stesso ricorda che negli anni Settanta, in Italia, qualunque cosa «fosse suscettibile di suggerire che il fascismo aveva goduto un sostegno genuino era inaccettabile», e cita lo scalpore allora suscitato da De Felice per aver affermato che nel 1936 esisteva un consenso generale al regime, anche se la sua asserzione, precisa Duggan, era basata «non tanto su un'analisi di ciò che gli italiani comuni pensavano, quanto sull'assenza di qualunque visibile o esplicita opposizione».
Quasi quaranta anni dopo, lo storico inglese sembra esser venuto in soccorso dello storico italiano, confermando l'esistenza di un «consenso generale al regime», attraverso la storia dei sentimenti degli «italiani comuni» verso il duce e il regime, basata su alcune decine di diari di gente comune, conservati nell'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, su alcune lettere inviate dal duce dalla gente comune, oltre che su diari e memorie edite di fascisti e antifascisti. Sulla base di questa documentazione, in verità non molto ampia, Duggan si è convinto che il fascismo godette di un largo consenso alimentato principalmente dal mito del duce. A tale consenso emotivo, Duggan attribuisce addirittura «una dimensione religiosa», suscitata da riti e dai miti del regime, che secondo lo storico inglese non può essere ignorata se si vuol comprendere «il modo in cui la gente comune si rapportava al regime». Pur evitando con accurata cautela di avvalersi del concetto di «religione politica», Duggan ne utilizza la funzione interpretativa, fino ad affermare che insistendo sulla «superiorità morale e politica della fede e dell'obbedienza sulla razionalità e sullo spirito critico, il regime fu in grado di mobilitare il consenso di vastissimi settori della popolazione italiana fino allora rimasti estranei alla vita pubblica».
Nel complesso, con la sua «storia intima» dell'Italia mussoliniana, lo storico inglese non aggiunge nulla di nuovo a quanto è già stato ampiamente esplorato dalla storiografia sul fascismo negli ultimi decenni per quanto riguarda l'atteggiamento dell'opinione pubblica verso il regime, il ruolo del "culto del littorio" e del mito del duce nella politica di massa del partito fascista, gli ondeggiamenti dei sentimenti collettivi nei confronti della condotta del regime in politica interna e in politica estera.
Del resto, il ricorso ai diari della gente comune, con la pretesa di ricostruire una verità storica «dal basso» ritenuta più genuina di una verità storica ricostruita «dall'alto», si presta a sostanziali obiezioni, che investono l'intera questione del consenso in un regime totalitario. Basti considerare che quando il fascismo giunse al potere, gli italiani erano 38 milioni nel 1922, aumentati a 45 milioni nel 1942, e di questi, uomini e donne, oltre 23 milioni erano iscritti al partito fascista e alle organizzazioni da esso dipendenti. Quale valore rappresentativo per una «storia intima» di quaranta milioni di italiani possono avere una settantina di diari e una trentina di lettere di gente comune, quanti sono i documenti citati nel libro di Duggan? La stessa considerazione varrebbe per una «storia intima» che giungesse a dimostrare, con documentazione analoga, l'esistenza di un largo dissenso emotivo della gente comune nel regime fascista.
L'impossibilità di sondare i sentimenti intimi di milioni di italiani, uomini, donne, bambini, giovani, vecchi, qualunque sia la fonte utilizzata, è un ostacolo insormontabile per qualsiasi storico che voglia trattare il problema del consenso nel regime fascista o in qualsiasi altro regime totalitario. Qualunque fosse l'atteggiamento dei capi dei regimi totalitari rispetto al consenso della popolazione su cui dominano, è un fatto storico indubitabile che nessuno di loro ha mai fondato il suo potere sul consenso della gente comune, comunque motivato, sollecitato, fabbricato e organizzato, ma solo e sempre sul monopolio politico del partito unico, sulla forza armata, sulla prevenzione ed espressione poliziesca, e sulla irreggimentazione della popolazione, fossero o no consenzienti.
Dopo quaranta anni di polemiche, e dopo la lettura del libro di Duggan, appare confermata la perplessità da noi espressa fin dagli anni Ottanta sulla questione del consenso, che consideravamo allora, e consideriamo tuttora come Francesco De Sanctis considerava la questione di Machiavelli «una questione posta male».

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