lunedì 17 marzo 2014
Geniali proposte di estinzione della democrazia moderna
Da molla del progresso a perpetuazione di élite? In un saggio e in quest’intervista lo storico belga David Van Reybrouck esprime delusione per il voto. «I rappresentanti vanno scelti in altro modo»
Stefano Montefiori La Lettura
Il Senato che vorremmo
Deve essere un organo con chiari compiti di garanzia: ambiti e funzioni devono essere protetti dalle maggioranze politiche
di Carlo Melzi d'Eril e Giulio Vigevani Il Sole 24Ore Domenica 16.3.14
La scelta del Parlamento di modificare la legge elettorale della
sola Camera dà per scontato che si realizzi poi, quasi in automatico, la
riforma del Senato, ignorando che questa è un'impresa a dir poco
titanica, quale che ne sia il contenuto.
Già la scelta della Costituente
di avere due assemblee elette direttamente e con le medesime funzioni
fu l'esito dell'incapacità di individuare una soluzione condivisa sulla
composizione e il ruolo della seconda Camera.
Allo stesso modo, nei
molti decenni in cui si è discusso in Italia di riforma del
bicameralismo, le innumerevoli ricette avanzate da politici e studiosi
si sono dimostrate nel complesso poco convincenti, oltre che nei fatti
irrealizzabili. E ciò non accade solo in Italia: si sono arenati, ad
esempio, anche tutti i tentativi del legislatore inglese dell'ultimo
quindicennio di riformare la House of Lords.
Oggi, però, avviata ormai
questa "riforma a metà" della legge elettorale, qualcosa si deve
necessariamente fare, se non si vuole la paralisi dell'intero sistema
istituzionale.
E dunque, per evitare i fallimenti del lontano e recente
passato, bisogna prima di tutto definire quale funzione e quale ruolo
affidare a una eventuale seconda Camera e solo dopo ragionare sulle
modalità di selezione.
Quindi, per quanto concerne i compiti, forse
occorre cambiare schema in modo radicale rispetto a tutte le opzioni che
ancora oggi lasciano una porzione importante del potere legislativo in
mano anche al Senato. La via più innovativa e insieme più percorribile
ci pare quella di un sostanziale monocameralismo con una ulteriore
assemblea che non partecipi al procedimento legislativo – salvo forse
per le leggi di revisione costituzionale – né dia la fiducia al Governo.
Immaginiamo, cioè, un organo con funzioni principalmente di garanzia
che si riunisca e intervenga in ambiti che debbono essere in qualche
modo protetti dalla invadenza della politica. A esso si potrebbe
affidare, ad esempio, l'elezione di parte dei giudici costituzionali e
dei membri del Csm, le nomine dei componenti delle authorities e del cda
della Rai. Ma si può essere più arditi e attribuirgli il potere, ora
del Capo dello Stato, di rinviare le leggi approvate dalla Camera
politica e quello di sottoporre preventivamente le stesse alla Corte
costituzionale.
In questa prospettiva, il reclutamento può prescindere
dalla logica della rappresentanza politica. Questo nuovo organo,
infatti, non deve contribuire alla definizione dell'indirizzo politico
della Nazione, ma è concepito come una sorta di "contropotere", che ha
la funzione di contenere il potere politico all'interno degli argini
previsti dalla Costituzione e di garantire l'autonomia e il pluralismo
degli organi che contribuisce a nominare.
Dunque, in concreto, come
scegliere i "nuovi" senatori? Sicuramente ha senso che siano presenti le
città e le regioni, per dare voce alle molte realtà di un territorio
tanto vario e per rispettare anche la tradizione di un Paese che da
secoli trova la propria identità soprattutto nel comune.
Ma forse ancora
più senso sembra avere una non simbolica rappresentanza delle
competenze, della cultura e (soprattutto) della scienza del nostro
Paese. Ciò in quanto proprio da questo ambito pare poter più facilmente
provenire un gruppo di persone che vigili sul buon andamento delle
istituzioni e freni la fisiologica tendenza del potere allo
straripamento.
Ben sappiamo che tale proposta presta il fianco a
importanti obiezioni, soprattutto tenuto conto di peculiarità (vogliamo
dir difetti?) tutte italiane.
La prima: chi sono nella nostra società i
"sapienti"? Rispondere è difficile, specie per il processo di ormai
avanzata demolizione di autorevolezza delle istituzioni della nostra
società civile: scuola e università; partiti; sindacati; giornali; Rai;
ordini professionali e associazioni imprenditoriali. Ciò si accompagna a
una drammatica carenza di istituzioni culturali che rappresentino il
meglio di scienza, arte e sapere in genere. Così non è in Francia, ove
ad esempio vi è una pubblica amministrazione la cui autorevolezza è
unanimemente riconosciuta. Così non è nemmeno nei Paesi anglosassoni,
che hanno corpi sociali storicamente forti e ben organizzati.
La
seconda: chi li seleziona? Quale meccanismo può portare alla scelta dei
"migliori" e insieme limitare le interferenze della politica? Il rischio
della lottizzazione, la tentazione di usare il sempreverde manuale
Cencelli, la tendenza a spartirsi ogni sgabello con logiche di mero
potere sono tutte caratteristiche da un lato quasi endemiche di ogni
"luogo" ove domina la politica, dall'altro nemiche di ogni riforma in
senso meritocratico dell'istituzione. D'altra parte non si può certo
pensare di affidare al Presidente della Repubblica la nomina di un
numero di "cittadini illustri" ben superiore ai cinque senatori a vita.
Un'ipotesi potrebbe essere quella di affidare a una commissione il
compito di individuare alcune personalità indipendenti, ritenute
meritevoli della nomina. Così avviene – per citarla ancora una volta –
per la House of Lords, anche se ben sappiamo che le importazioni sono
sempre a rischio di rigetto.
Altri potrebbero essere gli interrogativi
su un "Senato delle autonomie e delle competenze", ma fatichiamo a
trovare idea migliore del coinvolgimento dei molti saperi presenti nella
società italiana in un'assemblea che voglia essere realmente garante
del corretto funzionamento delle istituzioni repubblicane. E questo non
per risparmiare qualche lira sugli stipendi dei senatori, ma per dare
alla classe dirigente della società italiana, in cui vi sono molti
talenti, la responsabilità di contribuire a formare istituzioni
autorevoli.
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