giovedì 6 marzo 2014

Il '77 ovvero laboratorio del Postmoderno


Ovviamente, non pare essere questa la prospettiva adottata né dall'autore, né dal recensore, nella consueta pagina del Manifesto dedicata al negrismo [SGA].

Danilo Mari­scalco: Dai labo­ra­tori alle masse. Pra­ti­che arti­sti­che e comu­ni­ca­tive nel movi­mento del ‘77, Ombre Corte, pp.159 

Risvolto
Il libro analizza le pratiche comunicative e artistiche del movimento italiano del '77. I corrispondenti fatti letterari (riviste, volantini, libri), figurativi (fumetti, fotografie, locandine, dipinti murali) radiofonici e performativi (le azioni dei cosiddetti "indiani metropolitani") vengono interpretati alla luce di un approccio metodologico in linea con le esperienze dei Cultural Studies internazionali ma con un'impronta italiana che attinge alla tradizione gramsciana e si nutre di alcune recenti elaborazioni del pensiero post-operaista, in particolare di ciò che fonda la nozione di capitalismo cognitivo. È sullo sfondo di queste acquisizioni teoretiche e metodologiche che qui si cercano di rileggere le pratiche culturali del movimento e le loro relazioni con alcuni paradigmi artistici e filosofici del Novecento, ma anche con la diffusione sociale dei mezzi di comunicazione e di produzione intellettuale. La pratica teorica del movimento italiano, già analizzata negli anni della sua affermazione da alcuni studiosi (Eco, Calvesi), è dunque interpretata come un rovesciamento del tradizionale rapporto egemonico che definisce il primato dell'arte e in generale dei "laboratori" intellettuali sulla cultura quotidiana, come una tendenza antagonistica emersa, in piena crisi della società fordista, nella generalizzazione-politicizzazione dell'arte e in forme di "autorappresentazione" successivamente regolate dai dispositivi post-industriali di sussunzione biopolitica del lavoro e del sapere sociale. L'analisi delle pratiche antagoniste del tempo "presente", verso cui è orientata questa ricerca, intende mostrare gli sviluppi e gli "esiti" delle esperienze intellettuali, politiche e culturali degli anni Settanta e definire - questa la sfida - il loro possibile incontro, o una benjaminiana "intesa segreta", con l'oggi.


La luce del futuro che viene dal passato 
Saggi. «Dai laboratori alle masse» di Danilo Mariscalco per ombre corte. Il Settantasette continua ad essere un «oggetto» difficile da analizzare. In questo libro l’autore legge quell’esperienza come l’entrata in scena di un «proletariato intellettuale» e indaga i riflessi che ha avuto nella produzione e consumo culturale

Giorgio Martinico, il Manifesto 6.3.2014 


Pro­ta­go­ni­sta è il Set­tan­ta­sette. Ad inda­gare quel movi­mento, non i suoi pro­ta­go­ni­sti, non il rac­conto «uffi­ciale» o il «discorso sugli anni di piombo» è il volume Dai labo­ra­tori alle masse. Pra­ti­che arti­sti­che e comu­ni­ca­tive nel movi­mento del ‘77 (Ombre Corte, pp.159), scritto da Danilo Mari­scalco, dot­tore di ricerca presso l’Università di Palermo. Un libro che, come sug­ge­ri­sce il titolo, ha l’ambizione di arric­chire il dibat­tito poli­tico e sto­rio­gra­fico su alcuni aspetti (le pra­ti­che artistico-comunicative) rela­tive a quella straor­di­na­ria sta­gione di con­flitto e, anche, di fre­ne­tica pro­du­zione «cul­tu­rale»; allo stesso tempo il volume è il ten­ta­tivo di «arric­chire la cas­setta degli attrezzi uti­liz­zata dai sog­getti impe­gnati nella tra­sfor­ma­zione, dal carat­tere teorico-pratico inscin­di­bile, del reale». 
L’intesa da ricercare 

Obiet­tivo dichia­rato da Mari­scalco è dun­que, per dirla con Louis Althus­ser, veri­fi­care «l’efficacia spe­ci­fica» di quelle pra­ti­che pro­dotte, ope­rate, nar­rate durante quella deter­mi­nata sequenza poli­tica del con­flitto dispie­gato tra «capi­tale, lavoro, sapere sociale». Que­sta inci­denza reale di un inter­vento «sopra­strut­tu­rale» viene con­te­stual­mente posta alla veri­fica dell’oggi. Le tesi di Wal­ter Ben­ja­min — accom­pa­gnate dalle rifles­sioni di Gram­sci sul lavoro dello «sto­rico inte­grale» — sul mate­ria­li­smo sto­rico diven­tano «punto pro­spet­tico» dal quale, il ricer­ca­tore, prova costan­te­mente a sta­bi­lire quell’«intesa segreta tra pas­sato e pre­sente» tanto cara al pen­sa­tore tede­sco. Così, pro­vare a iden­ti­fi­care carat­teri spe­ci­fici di quello «strato sociale che si mette in movi­mento» vuol dire sca­vare come talpe alla ricerca di linee di ten­denza. Que­ste, veri­fi­cata la poten­ziale «attua­lità sto­rica», per­met­tono di leg­gere «il pre­sente alla luce del futuro». 

Nella sua ricerca Mari­scalco sce­glie pre­cise gri­glie ana­li­ti­che a cui si atterrà fedel­mente nel testo. La chiave di let­tura pro­po­sta è quella di una «scienza della cul­tura» che sap­pia rela­zio­narsi con la mar­xiana «dif­fe­renza reale»; che possa cioè evi­den­ziare emer­genti o can­gianti «linee di classe»; che possa, infine, fare in modo che ogni «astra­zione deter­mi­nata» sia imme­dia­ta­mente col­lo­cata all’interno del con­flitto sociale in atto. In que­sto senso, l’ipotesi pre­li­mi­nare for­mu­lata dall’autore vede la pos­si­bi­lità di leg­gere quell’enorme coa­cervo di pra­ti­che artistico-comunicative come espres­sione del biso­gno di auto­nar­ra­zione delle classi sociali subal­terne, i cosi­detti «non-garantiti». Tale cate­go­ria gram­sciana va però qua­li­fi­cata. Non basta, infatti, ricon­durre all’unità descrit­tiva la stra­ti­fi­ca­zione sociale e la com­po­si­zione di classe che si andava strut­tu­rando attorno la figura dell’ope­raio sociale e all’emersione del cosid­detto «pro­le­ta­riato gio­va­nile». È nel ter­mine «anta­go­ni­sta» che Mari­scalco indi­vi­dua l’elemento capace di «ricon­durre il subal­terno gram­sciano alla con­ce­zione mate­ria­li­stica della storia». 

Il sog­getto della ricerca è, quindi, l’identificazione, attua­liz­zan­dola, dell’efficacia sociale delle pra­ti­che di quel tempo, sovra­strut­tu­rali e anta­go­ni­ste; ma, anche, il pos­si­bile inve­ra­mento, anche solo par­ziale, delle ipo­tesi che, da li in avanti, hanno annun­ciato e/o pro­ble­ma­tiz­zato la que­stione dell’intellettualità dif­fusa, del gene­ral intel­lect mar­xiano e della dif­fu­sione delle nuove tec­no­lo­gie comunicative. 

Nel libro tutte le sud­dette que­stioni sono espo­ste già nella pre­messa del volume. L’autore sa bene di adden­trarsi lungo sen­tieri sci­vo­losi. Per que­ste ragioni rifiuta – con «deter­mi­na­zione» — le faci­lo­ne­rie idea­li­sti­che, molto fre­quenti quando si sce­glie il tema della pro­du­zione arti­stica e cul­tu­rale. Innan­zi­tutto: il sog­getto della ricerca non può essere col­lo­cato all’esterno dello scon­tro di classe, delle sue nuove forme poli­ti­che, delle nuove sog­get­ti­vità pro­ta­go­ni­ste di que­sto. Solo a quel punto Mari­scalco può pro­ce­dere alla rico­stru­zione dei limiti sto­rio­gra­fici e delle genea­lo­gie che hanno por­tato all’affacciarsi sul pal­co­sce­nico della sto­ria quelle due parole dive­nute tanto famose: auto­no­mia ope­raia. Suc­ces­si­va­mente, a essere ana­liz­zato è il para­digma arti­stico dell’«inaudita avan­guar­dia di massa». Sulla scia trac­ciata, a suo tempo, da Umberto Eco — la «stu­pe­fa­cente dif­fu­sione (quella) pro­po­sta cul­tu­rale» – si ana­lizza il nesso tra avan­guar­die, mas­si­fi­ca­zione di lin­guaggi, con­sumo cul­tu­rale, fino a giun­gere al tema della vio­lenza e al ruolo degli intel­let­tuali orga­nici alla luce delle «teo­rie del complotto». 
La poli­tica del desiderio 

Il terzo capi­tolo opera una rico­gni­zione su tutte le «pra­ti­che di comu­ni­ca­zione sov­ver­siva» come forme di auto­rap­pre­sen­ta­zione: le coor­di­nate sono qui costi­tuite dalle nuove tec­ni­che di pro­du­zione e dalla loro «pro­le­ta­riz­za­zione». È sem­pre qui che ven­gono pro­ble­ma­tiz­zati il supe­ra­mento e/o la poli­ti­ciz­za­zione dell’arte e la cen­tra­lità politico-artistica del «desi­de­rio» che, scon­tra­tosi «con la repres­sione ideo­lo­gica e mili­tare, con i ricon­fi­gu­rati dispo­si­tivi di pro­du­zione e di con­sumo, con la sus­sun­zione capi­ta­li­stica» fini­sce per essere «catturato». 

L’ultimo capi­tolo svi­luppa, infine, il «con­creto dive­nire del gene­ral intel­lect» alla luce delle tra­sfor­ma­zioni con­tem­po­ra­nee. Per l’autore, «scienza della cul­tura» e cri­tica all’economia poli­tica si mischiano e si sovrap­pon­gono in que­sto con­creto divenire. 

Quella sul Set­tan­ta­sette resta un’analisi non facile; forme e limiti, cause e con­se­guenze, sono campi aperti di discus­sione e con­fronto. Il con­cetto di auto­no­mia che emerge da que­sto volume è sol­tanto una delle pos­si­bili varianti di essa. L’autore, che ben cono­sce il tema, sce­glie di con­ce­dere lo spa­zio nar­ra­tivo a coloro i quali par­la­vano di «auto­no­mia intesa non come orga­niz­za­zione, ma come ten­denza sto­rica latente». Così, nella par­zia­lità, nor­male per una ricerca di que­sto tipo, risul­tano forse sacri­fi­cate le ipo­tesi di chi, in que­gli anni, ope­rava e ipo­tiz­zava una diversa auto­no­mia: diciamo, orga­niz­zata. Resta il dato di un movi­mento scon­fitto (forse) per­ché non in grado, nella sua forza sog­get­tiva, di svi­lup­pare a pieno il poten­ziale di auto­no­mia, auto­va­lo­riz­za­zione, e con­trap­po­si­zione delle nuove figure del con­flitto sociale e di classe: un pro­le­ta­riato in via di intellettualizzazione. 

La par­tita è tut­ta­via ancora aperta: sep­pur siano nel frat­tempo cam­biate stra­te­gie, tec­no­lo­gie, e com­po­si­zioni, la neces­sità subal­terna di sod­di­sfa­ci­mento dei pro­pri biso­gni sociali radi­cali non ha mai abban­do­nato il campo. Magari molto pre­sto rive­dremo il cielo cadere sulla terra!


Le officine multimediali del Settantasette
Memoria. Incontri, video e testi sul marzo 1977 bolognese

In Ita­lia, gli anni Set­tanta sono il periodo attorno al quale esi­ste una ricca pro­du­zione di memo­ria­li­stica. Ne è testi­mo­nianza la mole di libri scritti da pro­ta­go­ni­sti o ano­nimi par­te­ci­panti ai movi­menti di que­gli anni. Mate­riali spesso di qua­lità, che non hanno mai la pre­tesa di fare la sto­ria di que­gli anni, ma di offrire punti di vista par­ziali e par­ti­giani, cioè di parte sugli avve­ni­menti che hanno visto par­te­cipe chi ne scrive. Emerge il fatto che la memo­ria non può mai essere con­di­visa. È sem­pre par­ziale e spesso si carat­te­rizza come cri­tica mili­tante a quanto postula la sto­ria dei vin­ci­tori. Così par­lare degli anni che vanno dal 76 al 79 a Bolo­gna vuol dire par­lare del movi­mento del Set­tan­tan­ta­sette e del con­flitto di quel movi­mento con il Pci. Ma anche di riflet­tere su per­corsi di poli­ti­ciz­za­zione e del fio­rire di stru­menti comu­ni­ca­tivi alter­na­tivi a quelli domi­nanti (le radio libere: per Bolo­gna, radio alice). Nel caso dei due lavori messi in campo da Offi­cina mul­ti­me­diale ci tro­viamo di fronte a un terzo inco­modo. A rac­con­tare que­gli anni non sono le parole scritte, ma le imma­gini, le foto di que­gli anni. Si tratta di due video dedi­cati alla morte di Fran­ce­sco Lorusso e agli “auto­nomi” bolognesi.
Lorusso fu ucciso da un colpo di arma da fuoco spa­rato dai cara­bi­nieri men­tre stava con­te­stando un con­ve­gno di Comu­nione e Libe­ra­zione nel marzo del 1977. Gli «auto­nomi» di allora erano gli «unto­relli», i «dician­no­vi­sti» che secondo il Pci vole­vano distrug­gere il sistema demo­cra­tico. Il più forte, allora, par­tito comu­ni­sta dell’Europa occi­den­tale si sca­gliò con­tro quel movi­mento con ogni mezzo neces­sa­rio. Alcuni, tanti dei mili­tanti del Set­tan­ta­sette conob­bero le patrie galere, il Pci si con­se­gnò alla scon­fitta poli­tica e al suo lento, ma inar­re­sta­bile declino. Del Pci ormai girano leg­gende metro­po­li­tane sulle sue capa­cità di com­pren­dere la società di allora, al punto che un recente film di Wal­ter Vel­troni su Enrico Ber­lin­guer rimuove la ferita del Set­tan­ta­sette, pri­vi­le­giando le Bri­gate Rosse come inter­lo­cu­tore per rico­struire la figura del lea­der comu­ni­sta. Molti mili­tanti auto­nomi di allora pro­vano invece a sbro­gliare il ban­dolo di una matassa che ha rischiato di ridurli al silen­zio. Due video che fanno certo appello alla memo­ria, ma che pro­vano tut­ta­via a cer­care gli ele­menti di attua­lità di un per­corso poli­tico certo scon­fitto, ma che ha cose da dire sul presente.
Un’immersione nel pas­sato, quindi, ma che cerca tut­ta­via di par­lare del presente.

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