domenica 9 marzo 2014

Neokeynesismo continentale: "Il capitalismo e lo Stato" di Paolo Leon


coperitna di Il capitalismo e lo statoPaolo Leon: Il capitalismo e lo Stato. Crisi e trasformazione delle strutture economiche, Castelvecchi

Risvolto
Il sistema capitalistico è riuscito a risollevarsi dalla caduta del 2007, ma è ancora molto lontano dal superarne le conseguenze. Eppure, né il pensiero economico dominante né i governi hanno abbandonato i princìpi, le teorie e le azioni che avevano caratterizzato, per quasi un trentennio, il periodo precedente la crisi. Nessuno studioso ha ancora spiegato perché sia così difficile abbandonare le idee del passato, pur nell’evidenza del loro fallimento; e i cambiamenti oggi introdotti nelle politiche economiche sono figli più del pragmatismo che di un pensiero compiuto. Paolo Leon, tra i maggiori economisti contemporanei di scuola keynesiana, affronta le trasformazioni del capitalismo – dal modello rooseveltiano, che mira al profitto, a quello orientato invece all’accumulazione delle riforme conservatrici di Reagan e della Thatcher – e analizza i rapporti tra il capitalismo e lo Stato in una prospettiva macroeconomica. L’obiettivo, quanto mai necessario e finalmente possibile dopo decenni di oscuramento teorico, è ritrovare un’ampiezza di visione che permetta di leggere le azioni economiche nella loro complessità e relazione, ponendo le basi anche per la previsione delle loro conseguenze.


La strana cecità degli economisti

Il saggio di Leon sulle storture “inconsce” del capitalismo

di Guido Carandini Repubblica 8.3.14


Immaginate qualcosa che assomiglia alla psicanalisi ed è infatti una indagine sulle inconsce motivazioni e sugli inconsapevoli effetti delle azioni individuali nell’ambito dell’economia. Quella indagine viene condotta da un economista decisamente critico delle analisi “standard” della «microeconomia» insegnata nelle accademie, principalmente perché tali analisi sono fondate sulla opposta e ritenuta errata ipotesi che nei loro comportamenti gli individui sono consapevoli delle conseguenze che producono sulla economia nel suo complesso chiamata «macroeconomia », e che quindi può spiegarne gli esiti la semplice somma degli intendimenti e delle azioni individuali. Questo afferma dunque la teoria microeconomica che studia l’insieme di quelle azioni e che pertanto costituirebbe il fondamento della macroeconomia come in effetti generalmente si ritiene.
L’economista qui descritto nelle vesti di virtuale psicanalista è Paolo Leon che esprime quella sua critica nel suo libro appena pubblicato Il capitalismo e lo Stato, denso di sapienza accumulata in lunghi anni di studi, di frequentazione di grandi istituzioni internazionali e infine di insegnamento. La tesi principale di quel libro è «la “cecità” dei capitalisti, vale a dire l’impossibilità, connaturata alla loro essenza, che essi si rendano consapevoli degli effetti delle loro azioni sull’economia nel suo complesso». Di conseguenza per comprendere le trasformazioni del capitalismo, come il miope ha bisogno degli occhiali, così i capitalisti hanno bisogno dello Stato, il solo che può essere capace di rendersi conto della loro presenza e dei loro effetti. Questo è un vero e proprio rovesciamento di uno dei presupposti della teoria standard poiché, al contrario di essa, conferisce alla macroeconomia, in quanto interprete dell’economia nel suo complesso, un ruolo fondamentale nella comprensione delle trasformazioni del capitalismo.
Ma Leon sostiene che quel rovesciamento non è il frutto di analisi recenti poiché invece si può legittimamente far risalire addirittura al capostipite della scienza economica, dunque ad Adam Smith che nel 1776, e perciò nel bel mezzo della prima Rivoluzione industriale inglese, già se ne faceva interprete. Nella sua opera La ricchezza delle nazioni sosteneva infatti la ben nota opinione che l’individuo «perseguendo il proprio interesse spesso persegue quello della società» ma aggiungeva dell’altro che, osserva Leon, è sfuggito a molti. E che cioè quell’individuo «generalmente… né intende promuovere l’interesse pubblico né sa di quanto lo stia promuovendo». Dunque questo cosiddetto “velo dell’ignoranza” che caratterizza i singoli capitalisti aveva già per Smith un duplice significato perché da un lato costituisce la prima presa d’atto della loro indifferenza nei confronti della società cui appartengono e del suo benessere ma, d’altro lato, anche dell’importanza della macroeconomia quale insieme non intenzionale ma del tutto reale dei comportamenti dei singoli capitalisti.
E a conferma di questa ipotesi Leon nel corso del suo libro fa numerosi esempi empirici. Come la piena occupazione che insieme ad altri fenomeni è in balia di interessi microeconomici e che tuttavia solo lo Stato, quale interprete e agente della macroeconomia, è in grado di promuovere dato che gli operatori capitalisti, anche se aggregabili, determinano effetti macroeconomici indipendentemente dalla loro volontà, siano essi portatori di crisi o di ripresa. E che le crisi siano sempre possibili deriva dal fatto che sebbene i comportamenti micro hanno sempre effetti macro, i singoli soggetti sono nella impossibilità di conoscere le conseguenze delle loro decisioni sull’economia nel suo complesso. Il fatto è che malgrado si possa concepire e osservare il capitalismo come un sistema, esso è poi in definitiva la somma di imprenditori, di proprietari di capitale, di lavoratori e di corpi intermedi nessuno dei quali è in grado di rappresentarsi l’operare della loro aggregazione a vantaggio o ai danni dell’economia complessiva e quindi anche della società. E poiché lo Stato è l’agente della società, se il capitalismo è sempre in conflitto con essa, sarà anche in conflitto con lo Stato.
Le trasformazioni del capitalismo hanno sempre avuto bisogno dell’intervento pubblico, ma nelle successive crisi i rapporti fra Stato e capitalisti mutano ogni volta nella ricerca di un reciproco vantaggioso compromesso. Questo è in estrema sintesi il succo dell’analisi di Leon che costituisce nel suo insieme una guida indispensabile alla conoscenza dell’intreccio di problematiche che Keynes, riconosciuto da Leon come suo maestro, definiva così: «L’economia è una scienza dove si pensa in termini di modelli, insieme all’arte di scegliere quelli che sono rilevanti per il mondo contemporaneo ». Nel suo libro Paolo Leon dimostra che nel nostro mondo sono non soltanto irrilevanti ma anche dannose le tante teorie che ancora si affannano a dimostrare la validità di possibili «equilibri» che i mercati, malgrado siano perennemente affetti da squilibri e da crisi, potrebbero ritrovare solo che cessasse l’eccessivo intervento pubblico. La cecità è quindi un difetto non soltanto connaturato ai capitalisti, ma anche e soprattutto a una moltitudine di economisti che, inconsapevolmente, producono danni rilevanti alla macroeconomia, cioè alla realtà entro la quale inconsapevolmente tutti viviamo, ma di cui essi non tengono il dovuto conto.

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