Il sistema capitalistico è riuscito a risollevarsi dalla caduta del 2007, ma è ancora molto lontano dal superarne le conseguenze. Eppure, né il pensiero economico dominante né i governi hanno abbandonato i princìpi, le teorie e le azioni che avevano caratterizzato, per quasi un trentennio, il periodo precedente la crisi. Nessuno studioso ha ancora spiegato perché sia così difficile abbandonare le idee del passato, pur nell’evidenza del loro fallimento; e i cambiamenti oggi introdotti nelle politiche economiche sono figli più del pragmatismo che di un pensiero compiuto. Paolo Leon, tra i maggiori economisti contemporanei di scuola keynesiana, affronta le trasformazioni del capitalismo – dal modello rooseveltiano, che mira al profitto, a quello orientato invece all’accumulazione delle riforme conservatrici di Reagan e della Thatcher – e analizza i rapporti tra il capitalismo e lo Stato in una prospettiva macroeconomica. L’obiettivo, quanto mai necessario e finalmente possibile dopo decenni di oscuramento teorico, è ritrovare un’ampiezza di visione che permetta di leggere le azioni economiche nella loro complessità e relazione, ponendo le basi anche per la previsione delle loro conseguenze.
domenica 9 marzo 2014
Neokeynesismo continentale: "Il capitalismo e lo Stato" di Paolo Leon
Risvolto
Il sistema capitalistico è riuscito a risollevarsi dalla caduta del 2007, ma è ancora molto lontano dal superarne le conseguenze. Eppure, né il pensiero economico dominante né i governi hanno abbandonato i princìpi, le teorie e le azioni che avevano caratterizzato, per quasi un trentennio, il periodo precedente la crisi. Nessuno studioso ha ancora spiegato perché sia così difficile abbandonare le idee del passato, pur nell’evidenza del loro fallimento; e i cambiamenti oggi introdotti nelle politiche economiche sono figli più del pragmatismo che di un pensiero compiuto. Paolo Leon, tra i maggiori economisti contemporanei di scuola keynesiana, affronta le trasformazioni del capitalismo – dal modello rooseveltiano, che mira al profitto, a quello orientato invece all’accumulazione delle riforme conservatrici di Reagan e della Thatcher – e analizza i rapporti tra il capitalismo e lo Stato in una prospettiva macroeconomica. L’obiettivo, quanto mai necessario e finalmente possibile dopo decenni di oscuramento teorico, è ritrovare un’ampiezza di visione che permetta di leggere le azioni economiche nella loro complessità e relazione, ponendo le basi anche per la previsione delle loro conseguenze.
Il sistema capitalistico è riuscito a risollevarsi dalla caduta del 2007, ma è ancora molto lontano dal superarne le conseguenze. Eppure, né il pensiero economico dominante né i governi hanno abbandonato i princìpi, le teorie e le azioni che avevano caratterizzato, per quasi un trentennio, il periodo precedente la crisi. Nessuno studioso ha ancora spiegato perché sia così difficile abbandonare le idee del passato, pur nell’evidenza del loro fallimento; e i cambiamenti oggi introdotti nelle politiche economiche sono figli più del pragmatismo che di un pensiero compiuto. Paolo Leon, tra i maggiori economisti contemporanei di scuola keynesiana, affronta le trasformazioni del capitalismo – dal modello rooseveltiano, che mira al profitto, a quello orientato invece all’accumulazione delle riforme conservatrici di Reagan e della Thatcher – e analizza i rapporti tra il capitalismo e lo Stato in una prospettiva macroeconomica. L’obiettivo, quanto mai necessario e finalmente possibile dopo decenni di oscuramento teorico, è ritrovare un’ampiezza di visione che permetta di leggere le azioni economiche nella loro complessità e relazione, ponendo le basi anche per la previsione delle loro conseguenze.
La strana cecità degli economisti
Il saggio di Leon sulle storture “inconsce” del capitalismo
di Guido Carandini Repubblica 8.3.14
Immaginate
qualcosa che assomiglia alla psicanalisi ed è infatti una indagine
sulle inconsce motivazioni e sugli inconsapevoli effetti delle azioni
individuali nell’ambito dell’economia. Quella indagine viene condotta da
un economista decisamente critico delle analisi “standard” della
«microeconomia» insegnata nelle accademie, principalmente perché tali
analisi sono fondate sulla opposta e ritenuta errata ipotesi che nei
loro comportamenti gli individui sono consapevoli delle conseguenze che
producono sulla economia nel suo complesso chiamata «macroeconomia », e
che quindi può spiegarne gli esiti la semplice somma degli intendimenti e
delle azioni individuali. Questo afferma dunque la teoria
microeconomica che studia l’insieme di quelle azioni e che pertanto
costituirebbe il fondamento della macroeconomia come in effetti
generalmente si ritiene.
L’economista qui descritto nelle vesti di
virtuale psicanalista è Paolo Leon che esprime quella sua critica nel
suo libro appena pubblicato Il capitalismo e lo Stato, denso di sapienza
accumulata in lunghi anni di studi, di frequentazione di grandi
istituzioni internazionali e infine di insegnamento. La tesi principale
di quel libro è «la “cecità” dei capitalisti, vale a dire
l’impossibilità, connaturata alla loro essenza, che essi si rendano
consapevoli degli effetti delle loro azioni sull’economia nel suo
complesso». Di conseguenza per comprendere le trasformazioni del
capitalismo, come il miope ha bisogno degli occhiali, così i capitalisti
hanno bisogno dello Stato, il solo che può essere capace di rendersi
conto della loro presenza e dei loro effetti. Questo è un vero e proprio
rovesciamento di uno dei presupposti della teoria standard poiché, al
contrario di essa, conferisce alla macroeconomia, in quanto interprete
dell’economia nel suo complesso, un ruolo fondamentale nella
comprensione delle trasformazioni del capitalismo.
Ma Leon sostiene
che quel rovesciamento non è il frutto di analisi recenti poiché invece
si può legittimamente far risalire addirittura al capostipite della
scienza economica, dunque ad Adam Smith che nel 1776, e perciò nel bel
mezzo della prima Rivoluzione industriale inglese, già se ne faceva
interprete. Nella sua opera La ricchezza delle nazioni sosteneva infatti
la ben nota opinione che l’individuo «perseguendo il proprio interesse
spesso persegue quello della società» ma aggiungeva dell’altro che,
osserva Leon, è sfuggito a molti. E che cioè quell’individuo
«generalmente… né intende promuovere l’interesse pubblico né sa di
quanto lo stia promuovendo». Dunque questo cosiddetto “velo
dell’ignoranza” che caratterizza i singoli capitalisti aveva già per
Smith un duplice significato perché da un lato costituisce la prima
presa d’atto della loro indifferenza nei confronti della società cui
appartengono e del suo benessere ma, d’altro lato, anche dell’importanza
della macroeconomia quale insieme non intenzionale ma del tutto reale
dei comportamenti dei singoli capitalisti.
E a conferma di questa
ipotesi Leon nel corso del suo libro fa numerosi esempi empirici. Come
la piena occupazione che insieme ad altri fenomeni è in balia di
interessi microeconomici e che tuttavia solo lo Stato, quale interprete e
agente della macroeconomia, è in grado di promuovere dato che gli
operatori capitalisti, anche se aggregabili, determinano effetti
macroeconomici indipendentemente dalla loro volontà, siano essi
portatori di crisi o di ripresa. E che le crisi siano sempre possibili
deriva dal fatto che sebbene i comportamenti micro hanno sempre effetti
macro, i singoli soggetti sono nella impossibilità di conoscere le
conseguenze delle loro decisioni sull’economia nel suo complesso. Il
fatto è che malgrado si possa concepire e osservare il capitalismo come
un sistema, esso è poi in definitiva la somma di imprenditori, di
proprietari di capitale, di lavoratori e di corpi intermedi nessuno dei
quali è in grado di rappresentarsi l’operare della loro aggregazione a
vantaggio o ai danni dell’economia complessiva e quindi anche della
società. E poiché lo Stato è l’agente della società, se il capitalismo è
sempre in conflitto con essa, sarà anche in conflitto con lo Stato.
Le
trasformazioni del capitalismo hanno sempre avuto bisogno
dell’intervento pubblico, ma nelle successive crisi i rapporti fra Stato
e capitalisti mutano ogni volta nella ricerca di un reciproco
vantaggioso compromesso. Questo è in estrema sintesi il succo
dell’analisi di Leon che costituisce nel suo insieme una guida
indispensabile alla conoscenza dell’intreccio di problematiche che
Keynes, riconosciuto da Leon come suo maestro, definiva così:
«L’economia è una scienza dove si pensa in termini di modelli, insieme
all’arte di scegliere quelli che sono rilevanti per il mondo
contemporaneo ». Nel suo libro Paolo Leon dimostra che nel nostro mondo
sono non soltanto irrilevanti ma anche dannose le tante teorie che
ancora si affannano a dimostrare la validità di possibili «equilibri»
che i mercati, malgrado siano perennemente affetti da squilibri e da
crisi, potrebbero ritrovare solo che cessasse l’eccessivo intervento
pubblico. La cecità è quindi un difetto non soltanto connaturato ai
capitalisti, ma anche e soprattutto a una moltitudine di economisti che,
inconsapevolmente, producono danni rilevanti alla macroeconomia, cioè
alla realtà entro la quale inconsapevolmente tutti viviamo, ma di cui
essi non tengono il dovuto conto.
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