NOI europei del Ventesimo secolo ci troviamo sospesi tra un passato pieno di orrori e un futuro distante pieno di rischi. Non possiamo sapere cosa ci aspetterà in futuro. A oggi ogni soluzione che concordiamo di fronte al succedersi di sfide e dissensi emana un’aria di temporaneità. Sembra essere, e il più delle volte dimostra infatti di essere, valida «sino a nuova comunicazione», con una clausola ad hoc che ne rende possibile la revoca, così come ad hoc sono le nostre divisioni e coalizioni, fragili e incerte. Su Le Monde del due febbraio scorso Nicolas Truong, riferendosi ai concetti espressi ripetutamente da Daniel Cohn-Bendit e Alain Finkielkraut, ha delineato due opposti scenari per il futuro della nostra convivenza, di noi europei. Cohn-Bendit ha pubblicato con Guy Verhofstadt il manifesto Per l’Europa!, nel quale promuove una via rapida per eludere e superare il mito della sovranità territoriale dello Stato- nazione per costruire una Federazione europea basata con forza sull’”identità europea”, la quale deve ancora essere costruita, pazientemente e uniformemente. Finkielkraut invece è convinto altrettanto fermamente del fatto che il futuro dell’Europa risieda nella sua unità, ma ritiene che questa debba corrispondere a un’unità (convivenza? cooperazione? solidarietà?) di identità nazionali. Finkielkraut ricorda l’insistenza con cui Milan Kundera affermava che l’Europa è rappresentata dalle sue conquiste, i suoi paesaggi, le sue città e i suoi monumenti; Cohn-Bendit invoca invece l’autorevolezza di Jürgen Habermas, Hannah Arendt e Ulrich Beck, uniti nella loro opposizione al nazionalismo. A rigor di logica, queste sono le due strade che si presentano ai nostri occhi nel luogo in cui ci siamo collettivamente raccolti alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Senza dubbio l’attuale, incoerente struttura istituzionale dell’Unione Europea -nella quale le regole senza politica promosse da Bruxelles contrastano con la politica senza regole per cui il Consiglio europeo è famoso, mentre il Parlamento è tutto chiacchiere e poco potere -alimenta simultaneamente entrambe queste tendenze. Ottant’anni fa Edmund Husserl ammoniva: «Il pericolo più grave che minaccia l’Europa è la sua stanchezza».
sabato 29 marzo 2014
Zygmunt Bauman sta con Schulz. Oppure con Tachipirinas, dipende dall'ora. E' uguale.
I palazzi della politica si riprendano il poteredi Zygmunt Bauman Repubblica 29.3.14
NOI europei del Ventesimo secolo ci troviamo sospesi tra un passato pieno di orrori e un futuro distante pieno di rischi. Non possiamo sapere cosa ci aspetterà in futuro. A oggi ogni soluzione che concordiamo di fronte al succedersi di sfide e dissensi emana un’aria di temporaneità. Sembra essere, e il più delle volte dimostra infatti di essere, valida «sino a nuova comunicazione», con una clausola ad hoc che ne rende possibile la revoca, così come ad hoc sono le nostre divisioni e coalizioni, fragili e incerte. Su Le Monde del due febbraio scorso Nicolas Truong, riferendosi ai concetti espressi ripetutamente da Daniel Cohn-Bendit e Alain Finkielkraut, ha delineato due opposti scenari per il futuro della nostra convivenza, di noi europei. Cohn-Bendit ha pubblicato con Guy Verhofstadt il manifesto Per l’Europa!, nel quale promuove una via rapida per eludere e superare il mito della sovranità territoriale dello Stato- nazione per costruire una Federazione europea basata con forza sull’”identità europea”, la quale deve ancora essere costruita, pazientemente e uniformemente. Finkielkraut invece è convinto altrettanto fermamente del fatto che il futuro dell’Europa risieda nella sua unità, ma ritiene che questa debba corrispondere a un’unità (convivenza? cooperazione? solidarietà?) di identità nazionali. Finkielkraut ricorda l’insistenza con cui Milan Kundera affermava che l’Europa è rappresentata dalle sue conquiste, i suoi paesaggi, le sue città e i suoi monumenti; Cohn-Bendit invoca invece l’autorevolezza di Jürgen Habermas, Hannah Arendt e Ulrich Beck, uniti nella loro opposizione al nazionalismo. A rigor di logica, queste sono le due strade che si presentano ai nostri occhi nel luogo in cui ci siamo collettivamente raccolti alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Senza dubbio l’attuale, incoerente struttura istituzionale dell’Unione Europea -nella quale le regole senza politica promosse da Bruxelles contrastano con la politica senza regole per cui il Consiglio europeo è famoso, mentre il Parlamento è tutto chiacchiere e poco potere -alimenta simultaneamente entrambe queste tendenze. Ottant’anni fa Edmund Husserl ammoniva: «Il pericolo più grave che minaccia l’Europa è la sua stanchezza».
NOI europei del Ventesimo secolo ci troviamo sospesi tra un passato pieno di orrori e un futuro distante pieno di rischi. Non possiamo sapere cosa ci aspetterà in futuro. A oggi ogni soluzione che concordiamo di fronte al succedersi di sfide e dissensi emana un’aria di temporaneità. Sembra essere, e il più delle volte dimostra infatti di essere, valida «sino a nuova comunicazione», con una clausola ad hoc che ne rende possibile la revoca, così come ad hoc sono le nostre divisioni e coalizioni, fragili e incerte. Su Le Monde del due febbraio scorso Nicolas Truong, riferendosi ai concetti espressi ripetutamente da Daniel Cohn-Bendit e Alain Finkielkraut, ha delineato due opposti scenari per il futuro della nostra convivenza, di noi europei. Cohn-Bendit ha pubblicato con Guy Verhofstadt il manifesto Per l’Europa!, nel quale promuove una via rapida per eludere e superare il mito della sovranità territoriale dello Stato- nazione per costruire una Federazione europea basata con forza sull’”identità europea”, la quale deve ancora essere costruita, pazientemente e uniformemente. Finkielkraut invece è convinto altrettanto fermamente del fatto che il futuro dell’Europa risieda nella sua unità, ma ritiene che questa debba corrispondere a un’unità (convivenza? cooperazione? solidarietà?) di identità nazionali. Finkielkraut ricorda l’insistenza con cui Milan Kundera affermava che l’Europa è rappresentata dalle sue conquiste, i suoi paesaggi, le sue città e i suoi monumenti; Cohn-Bendit invoca invece l’autorevolezza di Jürgen Habermas, Hannah Arendt e Ulrich Beck, uniti nella loro opposizione al nazionalismo. A rigor di logica, queste sono le due strade che si presentano ai nostri occhi nel luogo in cui ci siamo collettivamente raccolti alla vigilia delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Senza dubbio l’attuale, incoerente struttura istituzionale dell’Unione Europea -nella quale le regole senza politica promosse da Bruxelles contrastano con la politica senza regole per cui il Consiglio europeo è famoso, mentre il Parlamento è tutto chiacchiere e poco potere -alimenta simultaneamente entrambe queste tendenze. Ottant’anni fa Edmund Husserl ammoniva: «Il pericolo più grave che minaccia l’Europa è la sua stanchezza».
Nel corso degli ultimi
cinquant’anni i processi di deregolamentazione originati, promossi e
controllati dai governi statali che si sono uniti volontariamente (o
sono stati indotti a farlo) alla cosiddetta “rivoluzione neo-liberale”
hanno prodotto una separazione sempre più acuta e crescenti probabilità
di separazione tra il potere (ovvero, la capacità di fare) e la politica
(ovvero, l’abilità di decidere cosa deve essere fatto). I poteri un
tempo racchiusi nella cornice dello Stato-nazione sono per lo più
evaporati e sono finiti in una terra di nessuno, quella dello “spazio
dei flussi” (secondo la definizione data da Manuel Castells), mentre la
politica resta, come in passato, ancorata e confinata al territorio.
Tale processo tende a essere sempre più intenso e autoindotto. I governi
nazionali, ormai privi di potere e sempre più deboli, sono obbligati a
cedere una ad una le funzioni un tempo considerate monopolio naturale e
inalienabile degli organi politici dello Stato, per affidarle alle cure
di forze di mercato già “deregolamentate”, sottraendole così all’ambito
della responsabilità e del controllo da parte della politica. Ciò
provoca il rapido dissolversi della fiducia popolare nei confronti
dell’abilità dei governi di fronteggiare con efficacia le minacce alle
condizioni di vita dei loro cittadini. Questi credono sempre meno che i
governi siano capaci di tener fede alle loro promesse. Per dirla in
breve: la nostra crisi attuale è innanzitutto e soprattutto dovuta a una
crisi dell’azione di governo -benché in definitiva sia una crisi di
sovranità territoriale.
Gli europei, così come la maggior parte degli
altri abitanti del pianeta, stanno attualmente attraversando una crisi
della “politica così come la conosciamo” e al tempo stesso sono
costretti a trovare o inventare soluzioni locali a sfide globali. Gli
europei, come la maggior parte degli abitanti del pianeta, ritengono che
le modalità attualmente impiegate per “fare le cose” non funzionino a
dovere, mentre all’orizzonte ancora non si vedono modalità alternative
ed efficaci (una situazione che il grande filosofo italiano Antonio
Gramsci definì come stato di “interregno” - ovvero una situazione nella
quale il vecchio è già morto o sul punto di morire, ma il nuovo non è
ancora nato). I loro governi, come tanti altri al di fuori dell’Europa,
si trovano di fronte a un dilemma irrisolvibile. Tuttavia, a differenza
della maggioranza degli abitanti del Pianeta, il mondo degli europei è
un edificio a tre -non a due -piani. Tra i poteri globali e le politiche
nazionali c’è infatti l’Unione Europea.
L’intrusione di un anello
intermedio nella catena di dipendenza confonde la divisione, altrimenti
palese, tra “noi” e “loro”. Da quale parte sta l’Unione europea? Da
quella della “nostra” politica (autonoma), o del “loro” potere
(eteronimo)? Da un lato, l’Unione è considerata uno scudo protettivo che
difende l’aggregato dei singoli Stati. Dall’altro, appare come una
sorta di quinta colonna dei poteri globali, un satrapo degli invasori
stranieri, un “nemico interno” e un avamposto di forze che cospirano per
erodere e in definitiva annullare la possibilità che nazione e Stato
mantengano la propria sovranità. Una percezione, questa, che viene
spregiudicatamente e slealmente sfruttata dalle sirene dei
neonazionalisti, che a poche settimane dalle elezioni europee stanno
guadagnando sempre più consensi, come abbiamo visto alle ultime elezioni
locali in Francia, dove ha trionfato il Front National. I
neonazionalisti presentano il sogno della sovranità nazionale/
territoriale come cura di tutti i mali causati, secondo loro, dalla
realtà odierna.
Proprio come il resto del Pianeta, l’Europa oggi è
una discarica dei problemi e delle sfide generate a livello globale.
Tuttavia, a differenza del resto del Pianeta, l’Unione europea è anche
un laboratorio, forse unico, nel quale ogni giorno si progettano,
discutono e collaudano nuove proposte per far fronte a quelle sfide e a
quei problemi. Mi spingerei sino a suggerire che questo è un fattore
(forse l’unico) che rende l’Europa, il suo retaggio e il suo contributo
al mondo straordinariamente significativi per il futuro di un pianeta
oggi di fronte a una seconda e cruciale trasformazione della convivenza
umana nella storia moderna -e cioè del passaggio incredibilmente
faticoso dalle “totalità immaginate” degli Stati-nazione alla “totalità
immaginata” dell’umanità. Questo processo, che è ancora agli inizi e
che, se il pianeta e i suoi abitanti sopravvivranno, è destinato a
proseguire, l’Unione europea incarna un’opportunità molto concreta.
Tuttavia, l’obiettivo non è facile da raggiungere. Non c’è alcuna
garanzia di successo e sottoporrà la maggior parte degli europei, hoi
polloi, e dei loro leader eletti, a una forte frizione tra priorità
contrastanti e scelte difficili.
L’idea dell’Europa forse era e
rimane un’utopia. Ma è stata e rimane un’ utopia attiva, che si sforza
di fondere e consolidare azioni altrimenti disconnesse e
multidirezionali. Un’utopia la cui attività dipenderà, in definitiva,
dai suoi attori.
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