giovedì 3 aprile 2014

Gli inediti di Norberto Bobbio su Marx e il marxismo


La posizione di Bobbio su Marx cambia, nel corso della sua evoluzione. E cambia sempre in relazione ai concreti eventi storico-politici. Così, all'attenzione degli anni della Guerra fredda seguirà, da ultimo, un atteggiamento più che altro commemorativo. Assieme al sollievo per aver vinto la guerra.

La sua critica dell'utopismo è però giusta e gli studi marxisti la hanno altrettanto giustamente recepita da tempo [SGA].

Norberto Bobbio: Scritti su Marx. Dialettica, stato, società civile, a cura di Cesare Pianciola e Franco Sbarberi, Donzelli, 2014, pp. XXVIII-132, € 19,50 

Risvolto
«I tre piani su cui si pone il mio incontro con Marx. Filosofico: la filosofia della storia di Marx è ottimistica, la società senza classi. Questa visione della storia mi pare semplicistica. Scientifico: che Marx abbia dato contributi decisivi allo sviluppo della scienza sociale, nessun dubbio. Ma si tratta di contributi; non della scoperta della scienza della società. Politico: la storia procede per rivoluzioni; necessità della rivoluzione; critica del riformismo. La rivoluzione socialista come atto risolutivo. Non è avvenuto nulla di quello che Marx ha previsto».«I miei incontri con Marx sono avvenuti in momenti cruciali della mia vita. Antifascismo militante (Padova 1941-42); problemi della ricostruzione (45-50); crisi universitaria (1968…). Ne sono sempre rimasto affascinato, ma non mai convinto…». È Bobbio stesso a sintetizzare, in una pagina magistrale scritta nel 1969 – e qui pubblicata per la prima volta, come tutti i testi di questo prezioso volume –, i termini in cui si configura il suo corpo a corpo teorico col pensiero di Marx, lungo più di cinquant’anni di riflessione. Affascinato dalla lettura marxiana della storia «dal punto di vista degli oppressi», Bobbio è stato al tempo stesso strenuo avversario Del messianismo rivoluzionario che la caratterizzava. Come osservano Cesare Pianciola e Franco Sbarberi nella loro introduzione, è questa la chiave per entrare in quel vero e proprio laboratorio concettuale che Bobbio costruisce intorno al suo confronto col pensiero di Marx e col marxismo. Marx è vivo – scrive il filosofo torinese –, ma questo non vuol dire che sia valido: non si può prescindere dalla critica di Marx al sistema capitalistico se si vuole comprendere appieno la contemporaneità; il fallimento dei socialismi reali non equivale a una sentenza di morte per il pensiero di Marx.Non ci si può esimere dunque, secondo Bobbio, dal fare i conti con quello che a tutti gli effetti deve essere considerato, al pari di Hobbes o di Hegel, un «classico», rifuggendo però ogni sacralizzazione o la tentazione, divenuta talora quasi un imperativo, di commentare «Marx con Marx o con alcuni scrittori autorizzati». Scelte con maestria e trascritte con estrema cura (decifrando le righe minute di una grafia quasi illeggibile) dai manoscritti depositati presso il Centro studi Piero Gobetti di Torino, queste pagine costituiscono una vera scoperta, non solo per i cultori di Bobbio: rappresentano una testimonianza di come il marxismo abbia lavorato profondamente nella migliore cultura dell’Italia repubblicana, e sfatano al tempo stesso il mito di una subalternità intellettuale verso il marxismo che avrebbe caratterizzato gli intellettuali italiani per tutta una lunga fase della nostra storia recente. Ancora una volta, Bobbio si dimostra un maestro: un maestro di capacità critica, di saggezza e di equilibrio. Un faro del nostro migliore pensiero democratico.


Norberto Bobbio 175 03-04-2014 la stampa 28/29

Marx è vivo?
Vivo certo, per il fatto che nessuno oggi può prescindere da Marx. C’è qualcuno che oggi possa occuparsi dei problemi della società contemporanea senza tener conto di Marx? Anche per criticarlo.
Vivo non vuol dire valido. Bisogna distinguere vitalità da validità. Un pensiero può essere vivo anche se lo giudichi negativamente, anche se ritieni che abbia avuto funeste conseguenze: è vivo cioè e invalido.
Chi è che può negare che Nietzsche è vivo anche se io posso considerarlo responsabile del nazismo?
È necessario distinguere ciò che è da ciò che vorremmo che fosse. Altro è desiderare che Marx sia in soffitta. Altro è ritenere seriamente che ci sia o ci resti.
Tutte o quasi le rivoluzioni del Terzo Mondo, le guerre di liberazione, sono combattute in nome del marxismo (o del marxismoleninismo).
Si potrà obiettare: ma non è il vero Marx. Ma qual è il vero Marx? Qual è il vero Nietzsche, qual è il vero cristianesimo, quello di Pinochet o quello del vescovo Romero?
Si tratta di sapere se possiamo prescindere da Marx per capire il mondo contemporaneo o almeno una parte. Io credo di no.
Pensate alla critica e alla condanna della società capitalistica che dura da più di un secolo, e che non accenna a venir meno. Si potrà non essere d’accordo sui termini di questa critica, dire che non ha tenuto conto della straordinaria capacità del capitalismo di superare le crisi per cui le sinistre europee prima e mondiali poi lo hanno dato mille volte per morto, ma non si può negare che sino a che ci saranno società capitalistiche la critica marxiana non avrà perduto nulla della sua straordinaria forza eversiva.
Voglio dire che non è necessario essere d’accordo con Marx per affermare che Marx è vivo.
Lo stesso accade con il cristianesimo: posso essere un non credente, credere che la discendenza divina di Cristo è una favola, ma sarebbe stolto se io dicessi che il cristianesimo è morto. Con questo non voglio dire che non muoia nulla nella storia. Il paganesimo è ben morto. Il cristianesimo, no. Il marxismo no. Tanto che facciamo tutti i giorni i conti con il suo fondatore e ispiratore.
Personalmente ritengo che le sinistre europee debbano liberarsi da Marx. Ma non posso confondere il mio desiderio con la realtà.
La realtà è quella presentata dal nostro dibattito e da tutti i dibattiti che si svolgeranno nel mondo in quest’anno. Raramente un centenario avrà suscitato più risonanza di questo. Il che mi sembra una prova che Marx è ancora – piaccia o non piaccia – ancora vivo.
[Appunto del 1983]

Socialismo come strumento libertà come fine
[...] A questo punto dobbiamo domandarci: qual è il punto di differenziazione tra noi e i marxisti? In sostanza l’una e l’altra corrente, sia quella democratica sia quella totalitaria, derivano sostanzialmente da Marx. Sono due interpretazioni, diverse sul terreno della attuazione del marxismo, le quali si differenziano nel modo d’intendere come meglio possono attuare quelli che sono i principi del marxismo. Dal punto di vista ideologico entrambe le correnti sono molto simili perché hanno un punto in comune che è fondamentale: cioè pongono come fine dell’azione politica, sia democratica sia totalitaria, l’attuazione di una società socialista, integralmente socialista, di quella società in cui la proprietà sia completamente collettivizzata e in cui, non essendoci più proprietà individuale non ci sono più lotte di classe. La meta finale dei marxisti, sia democratici sia totalitari, è una società senza classi, dove non ci sono più proletari e borghesi, ma soltanto lavoratori, e siccome non ci saranno più classi non ci sarà neppure più bisogno di quello strumento fondamentale di un dominio di una classe sull’altra, che è lo Stato. La società senza classi è anche una società senza Stato. Il termine finale del marxismo, in tutte e due le posizioni, è quindi l’abolizione dello Stato, l’abolizione di quella macchina che serve unicamente allo scopo di dominio di una classe sull’altra.
Qui appare il punto critico del marxismo: una società senza Stato? Ma questo è l’elemento ideologico che salta fuori, perché questa società senza classi e quindi senza Stato è una impossibilità. Le classi (qui sta l’elemento utopistico anche nel socialismo cosiddetto scientifico) non potranno mai essere abolite e quindi non potrà essere abolito neppure lo Stato. L’elemento utopistico del marxismo deriva dal ritenere che sia una meta ultima che si debba raggiungere a ogni costo. Ma la storia [nel documento manca una riga] raggiungendo di volta in volta fini sempre particolari; la meta ultima è al di là di questo mondo.
Questo è il punto critico del marxismo, il punto in cui noi crediamo di poterci contrapporre al marxismo sostenendo una concezione diversa dell’uomo e della storia. La meta fondamentale dell’uomo non è la società senza classi: il problema dell’uomo è uno solo, è il problema della libertà. Tutta la storia umana è storia di libertà; è la storia delle successive liberazioni dell’uomo da tutti i pregiudizi, le superstizioni, le oppressioni fisiche e spirituali, che l’hanno nelle diverse epoche storiche tenuto in vari modi e con diversi legami incatenato. Il progresso della storia umana si può indicare come passaggio graduale dalla società chiusa alla società aperta. Ma se pure questo è lo scopo che dobbiamo raggiungere, non è evidentemente uno scopo finale, ma è un problema da risolvere giorno per giorno; cioè un problema che dobbiamo porci di volta in volta a seconda che ci si presenti l’occasione di compiere una azione feconda di civiltà e di progresso.
Noi dunque diciamo socialismo, ma socialismo in funzione di una maggiore libertà; la meta finale non è il socialismo, ma la libertà. Dunque non socialismo come meta finale, ma socialismo come strumento, come un possibile strumento di libertà umana. Questo vuol dire in sostanza, socialismo liberale.
[Conferenza tenuta all’Università di Padova il 29 maggio 1946]

Il primato dell’economia sulla politica
[...] Mi domando però se non vi siano almeno due tesi generali, generalissime, di Marx, che mantengono la loro forza dirompente: a) il primato dell’economia sulla politica e sulla ideologia, il che si può constatare continuamente anche nelle nostre libere democrazie in cui il peso del potere economico per determinare le scelte degli elettori è enorme; b) il processo di mercificazione universale prodotto dall’universalizzazione del mercato, per cui ogni cosa può diventare merce, dai figli agli organi, e, per restare nell’ambito delle società democratiche, ai voti, purché ci sia uno che domanda e l’altro che offre. Esiste un limite etico alla mercificazione universale. E se è bene che esista, chi deve porlo? E in base a quali criteri? Il mercato può autolimitarsi? E se non può, è bene che non vi siano limiti (in fondo si potrebbe sostenere che se una madre per sopravvivere è costretta a vendere i propri figli, è libera di farlo), oppure che questi limiti vengano posti dall’esterno, ma allora da chi?
Ciò su cui sono totalmente d’accordo con te, e che anch’io riterrei essere stata la prima causa del mio non marxismo, è una certa diffidenza morale per la spregiudicatezza di Marx nei riguardi dell’uso dei mezzi, e nel disprezzo usato verso gli avversari. Anch’io non ho dubbi sul fatto che il fascino di questi atteggiamenti abbia avuto effetti disastrosi.
[Lettera a Paolo Sylos Labini del 19 maggio 1991]


Franco Sbarberi 176 03-04-2014 la stampa 28

La scelta degli inediti di Bobbio su Marx e il marxismo, che ho raccolto con Cesare Pianciola, è stata effettuata sulla base di una ricognizione delle carte di Bobbio depositate dalla famiglia presso il Centro studi Piero Gobetti. Nella prefazione del 1984 alla sua Bibliografia Bobbio ha indicato una «decina» dei suoi «autori». Per l’età moderna la scelta è sembrata «quasi obbligata» intorno ai nomi di Hobbes, Locke, Rousseau, Kant e Hegel. Quanto a Marx, pur non rientrando tra i pensatori della modernità che lo hanno maggiormente coinvolto come studioso e come teorico della politica, egli lo ricorda perché ha compiuto una radicale «rottura della tradizione del pensiero politico razionalistico».Nove anni prima Bobbio era stato altrettanto netto nell’individuare in Marx il primo pensatore politico moderno che ha coniugato «una concezione realistica della storia con una teoria rivoluzionaria della realtà». Gli inediti del dopoguerra e della seconda metà del ’900 dimostrano che Bobbio si inserisce autorevolmente nella discussione internazionale su ciò che è vivo e ciò che è morto del pensiero di Marx, attratto da quella lettura della storia «dal punto di vista degli oppressi», ma contemporaneamente respinto dal messianismo rivoluzionario che attraversa l’intera produzione marxiana.


Kelsen aveva sottolineato sin dal 1923 l’aspetto messianico della nuova dottrina. I documenti che abbiamo raccolto indicano che anche per Bobbio Marx ha introdotto una visione provvidenzialistica della vicenda umana scandita dai movimenti della caduta (il lavoro salariato ridotto a merce) e della redenzione (la «rivoluzione socialista come atto risolutivo della storia»). Ciò nondimeno, l’analisi di Marx, intesa «come sociologia critica, come critica dell’esistente», ha sollevato il problema ineludibile delle conseguenze della mercificazione del lavoro nella società capitalistica su cui Bobbio continuerà a riflettere sino alla fine. Lo dimostrano con grande chiarezza il primo e l’ultimo documento pubblicati nel libro: la conferenza Marxismo e liberalsocialismo del 1946 e la lettera a Paolo Sylos Labini del maggio 1991. I problemi e le domande sollevati da Bobbio sono più che mai attuali, come suggeriscono anche i lavori più recenti di Martha Nussbaum e di Luciano Gallino, di Joseph Stiglitz e di Paul Krugman che, non diversamente da lui, non si sono mai dichiarati marxisti, ma neppure marxofobi.
Più in generale, come tutti i classici del pensiero politico, Marx possiede per Bobbio tre caratteristiche fondamentali: essere stato un interprete autentico del proprio tempo; aver elaborato teorie-modello che hanno travalicato la sua epoca; mantenere una costante attualità attraverso letture diverse, e talora contrastanti. Ma è sul duplice volto di Marx, cui hanno guardato alcuni dei suoi critici, che si è soffermato più frequentemente Bobbio: lo scienziato e il profeta; il sociologo e il filosofo della storia; il teorico dell’antagonismo sociale e il fautore dell’estinzione di ogni conflitto sociale nel comunismo.


Essere marxista secondo Bobbio
I testi inediti dello studioso radunati in un volumetto I curatori - Cesare Pianciola e Franco Sbarberi - hanno selezionato dall’archivio scritti tra il 1949 e il 1991 incentrati sul filosofo tedesco
di Bruno Gravagnuolo l’Unità 12.4.14

QUATTROCENTOTRENTA FALDONI E QUATTROMILA UNITÀ ARCHIVISTICHE. E I FALDONI NUMERATI HANNO UN NOME RICAVATO DAL POSTO IN CUI STAVANO IN ORIGINE: «stanza corridoio, stanza laboratorio» etc. Scarne note da catasto, che ci parlano però di qualcosa di vitale. Sono i numeri e i luoghi dell’archivio di Norberto Bobbio, oggi al centro Gobetti, e proveniente da un primo archivio: casa Bobbio in Via Sacchi a Torino (perciò le stanze e i corridoi). Dal coacervo ben ordinato, Cesare Pianciola e Franco Sbarberi hanno tratto per Donzelli un volumetto. Di eminente valore filologico e non solo: Norberto Bobbio, scritti su Marx. Dialettica, stato e società civile (pp.128, Euro, 19,50). Val la pena di possederlo, nonché di leggerlo. Poiché si tratta di testi inediti del filosofo scomparso nel 2004. Conferenze, scalette, appunti per saggi e lezioni, lettere, in un arco di tempo dal 1949 al 1991. Una scelta che tralascia foglietti più minuti e corrispondenza varia. E si concentra su un certo asse strutturato del laboratorio inedito di Bobbio. L’asse si chiama Karl Marx, gioia e tormento del filosofo, che con Marx si misurò tutta la vita, e ancor di più allorché le sue dottrine si inabissarono (dopo il 1989). Proviamo a isolare qualche punto. Bobbio fu socialista liberale ed azionista. Il primo a tradurre in Italia Popper ma anche il primo fin dal 1949 a misurarsi con il giovane Marx e a curarlo per Einaudi. Siamo ben prima del pur grande Della Volpe, che agli «scritti giovanili» si dedicò con dottrina e genio. Quel Della Volpe marxista che con Togliatti fu avversario di Bobbio, sull’autonomia della cultura dalla politica.
Tutto questo ritorna nella fucina del libro, e alla radice dei problemi. Marx, scriveva Bobbio, prima di uscire allo scoperto, è dapprima filosofo anti- filosofo dell’«autocoscienza». Che inclina verso il messianismo e il finalismo. E che però in seguito accede a un punto di vista sociologico e critico contro una ben precisa «alienazione»: non più solo hegeliana o speculativa. Alienazione capitalistica e incarnata dalle merci. Ecco il nesso già intravisto da Lukàcs tra umanesimo e critica del capitalismo. Senza finalismo e necessità intrinseca altresì. E senza voler essere scienza esatta o fatalistica, scrive Bobbio. Si gettano così le basi negli inediti di una feconda distinzione: il Marx profetico e il Marx critico. Il Marx quasi scienziato e quello biblico e totalizzante. Tutti temi che torneranno in fine anni 60 nel famoso Da Hobbes a Marx di Bobbio stesso, o nella celebre querelle di Colletti del 1974 sulla pseudo scienza in Marx, viziata appunto dalla «dialettica» (non scientifica, né logica per definizione). Bobbio però, al contrario di Colletti, fin dall’inizio tiene ferme alcune distinzioni. Primo: il finalismo non inficia la critica all’alienazione. Secondo: la dialettica è scienza dell’argomentare in virtù del «principio di non contraddizione ». Che funziona bene in Marx nella denuncia dell’alienazione della coscienza, rivelando scarti, conflitti e ineguaglianze in cerca di riscatto. E non funziona però come rovesciamento totalizzante dei conflitti.
Dunque, «Né con Marx né contro Marx», per citare il titolo di una raccolta bobbiana curata da Carlo Violi. A conferma di una vocazione critica che vide Bobbio accanto alla sinistra storica. E in perenne funzione di pungolo. Sulla democrazia, sulla libertà, sull’assenza di una teoria dello stato in Marx. Fomite di totalitarismo oltre le intenzioni marxiane. Un tema quest’ultimo, giocato contro Althusser, Guastini e Poulantzas e che divenne cavallo di battaglia della polemica tra comunisti e socialisti di fine anni ’70 (Quale socialismo?). Bobbio «revisionista» quindi, ma mai post-azionista velleitario o decisionista. Anzi, difensore di partiti, parlamento e corpi intermedi. Dentro le regole della democrazia. Contro populismo e carismatismo. E con una certa idea di socialismo, vicina a Rosselli e non a La Malfa: il socialismo come «via» alla libertà della persona. Come mezzo e non «fine» chiuso. Insomma, socialismo non «liberal», né posticcio «liberismo sociale». E con chiara distinzione destra/sinistra. Idea ben compendiata dalla citazione di Jon Elster, apposta nel 1997 da Bobbio alla prefazione della raccolta di Violi: «Non è possibile essere marxisti nel senso tradizionale... io credo sia possibile essere marxisti in un senso differente del termine... la critica dell’alienazione e dello sfruttamento rimane centrale».

Bobbio e Marx
di Sebastiano Maffettone Il Sole Domenica 4.1.15
Per Norberto Bobbio, Karl Marx era un grande classico, nel senso che appartiene al passato ma serve anche oggi a pensare. Ma non era nel Pantheon degli autori prediletti della modernità con Hobbes, Locke, Rousseau, Kant e Hegel. La ragione di questa solo apparente contraddizione sta nel fatto che Bobbio considerava assai importante parte dell'analisi di Marx, a cominciare dall'interpretazione materialistica della storia, ma non era per nulla convinto dall'afflato "religioso" del Marx rivoluzionario. Bene hanno fatto così Cesare Pianciola e Franco Sbarberi a rendere diffusa la consapevolezza di questo atteggiamento bobbiano, pubblicando e commentando gli inediti di Bobbio su Marx.
Il volume che li raccoglie, intitolato con sobrietà che Bobbio avrebbe apprezzato Scritti su Marx, pubblica manoscritti e appunti bobbiani – che vanno dall'inizio degli anni 1940 alla fine del secolo scorso – conservati presso il Centro Studi Pietro Gobetti di Torino e riordinati con acribia filologica. Il volume è diviso in cinque aree tematiche e storiche: marxismo teorico in Italia, Manoscritti e giovane Marx, Studi sulla dialettica, Marxismo e Stato, Marxismo e scienze sociali (cui si aggiungono le lettere a Macchioro e Sylos Labini). Nella prima parte, emerge una lettura critica della recezione italiana di Marx, con la proposta di Labriola, la sostanziale bocciatura – diversamente motivata – di Croce e Gentile, la ripresa dellavolpiana del tema. A questa si aggiunge la discussione sempre viva che Bobbio ebbe con il marxismo di Gramsci e con la sua teoria dell'egemonia, con Mondolfo, e con il liberal-socialismo. Si può solo aggiungere, da questo punto di vista, che gli autori del marxismo italiano non sono, neppure da noi, letti e studiati abbastanza nonostante il loro livello teorico per nulla trascurabile. Le parti del volume su dialettica e ruolo dello stato in Marx, confermano quel quadro di luci e ombre che, come si diceva, caratterizza la lettura tutta di Marx da parte di Bobbio.
La rilevanza del momento economico è un elemento essenziale della lezione di Marx così come invece la carenza di quello istituzionale la rende meno utile. La discussione sui Manoscritti del 1844 getta luce anche sul complesso rapporto tra Bobbio e il 1968 (non gli piaceva troppo pur amandone lo spirito libertario e la voglia di cambiamento). Nel complesso si può solo dire che, al di là delle disparità di tono e livello che necessariamente caratterizzano un volume di scritti inediti come questo, la tesi centrale di Bobbio su Marx – sarebbe a dire un classico ma da prendere con le molle – è nella sostanza condivisibile.
Se andiamo a consultare le opere di Marx ci accorgiamo poi che Marx scrisse tantissimo sul capitalismo e assai poco sul comunismo, e che in sostanza la pars destruens e l'analisi critica del capitale sono quello che conta nella sua opera, mentre la pars cosntruens e il rimedio (il comunismo) lasciano il tempo che trovano. Buona ragione quest'ultima per studiare Marx, ripetendo con lui stesso e con Bobbio: «io non sono marxista!».

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