È stato tra i primi ad avere il coraggio di capire che una verità storica, quando diventa appannaggio di un gruppo di specialisti, è qualcosa che essi hanno il dovere di mettere a disposizione di tutti
Franco Cardini
Umberto Eco 161 02-04-2014 la repubblica 47
Francesco Perfetti
- il Giornale Mer, 02/04/2014
160 02-04-2014 il sole 24 ore 22
Franco Cardini Avvenire 2 aprile 2014
Mondo della cultura in lutto a Parigi, dove il medievista francese si è spento all’età di 90 anni
Franco Grilli
- il Giornale Mar, 01/04/2014
Dai santi ai banchieri il nostro Medioevo narrato da Le Goff
Lo storico francese è morto ieri a Parigi. Aveva 90 anni È stato il rifondatore degli studi sui secoli XII e XIII
di Agostino Paravicini Bagliani Repubblica 2.4.14
Nato a Toulon nel 1924 - suo padre, bretone, era
professore di inglese e sua madre, insegnante di pianoforte -, vince nel
luglio 1945 il concorso per entrare alla École Normale Supérieure. Nel
1953 è ospite a Roma della Scuola francese di Palazzo Farnese, dove
inizia una tesi di dottorato sulle università medievali (che si
trasformerà in una tesi sul lavoro nel Medioevo, soprattutto
intellettuale). Al suo ritorno in Francia, Michel Mollat lo vuole come
assistente all’università di Amiens. Nell’autunno 1959, Maurice Lombard,
studioso di storia economica del mondo islamico, che Le Goff ha
ammirato alla pari di Marc Bloch, lo chiama ad insegnare all’allora
nascente VIe Section dell’École Pratique des Hautes Études.
Inviato
più volte da Braudel a Varsavia per insegnare nell’ambito di una
convenzione con quell’università, incontra e poi sposa (1961) una
giovane dottoressa polacca specializzata in psichiatria infantile,
Hanka, che gli darà due figli e alla cui memoria dedicherà un
affettuosissimo libro di ricordi ( Avec Hanka, 2008). Più tardi, nel
1968, sempre a Varsavia, assisterà alle repressioni di Gomulka e alla
rottura del suo amico Bronislaw Geremek con il partito comunista.
Fin
dai suoi primi due libri, sui mercanti e i banchieri (1956) e gli
intellettuali (1957), poi con la sua prima grande sintesi, La civiltà
dell’Occi-dente medievale( 1964), forse la sua opera più originale, Le
Goff riesce ad imporre il suo modo di intendere il Medioevo: studiarne
le strutture fondamentali - la foresta, la città e così via -
incrociando i vari contesti sociali con l’immaginario e il simbolico e
con l’analisi di gruppi sociali visti quali figure tipologiche della
società. Non la storia dei monaci ma il monaco. Non i mercanti ma il
mercante, che nel Medioevo è sempre un po’ usuraio, a causa della
condanna dell’usura da parte della Chiesa ( La borsa o la vita,
dall’usuraio al banchiere, 2003). La ricchezza nel Medioevo non è
soltanto di questo mondo, anche se il ruolo del denaro non fa che
crescere dal Mille in poi(Lo sterco del diavolo. Il denaro nel Medioevo,
2010). Studiando l’intellettuale come rappresentante di quel gruppo
sociale che ha il compito di pensare e di insegnare, pur in un contesto
di condanne e di censure, Le Goff apre la porta a una storia delle
università più attenta al contesto sociale. È forse il suo libro più
agile e vivace. Lo aiutarono frequenti conversazioni con un domenicano
geniale, Marie-Dominique Chenu.
Nel 1969, Fernand Braudel lo chiama a
dirigere insieme a Emmanuel Le Roy Ladurie e a Marc Ferro la
prestigiosa rivista degli Annales fondata da Marc Bloch e da Lucien
Febvre. Nel 1972 viene eletto successore di Braudel alla direzione della
VIe Section. Sotto la sua direzione (1975), la VIe Section si trasforma
nell’ormai celebre École des Hautes Etudes en Sciences Sociales.
Quando (1977) lascia la direzione dell’École esce un suo nuovo libro, il
cui titolo- Per un altro Medioevo -è un programma cui aggiunge un altro
concetto a lui molto caro e destinato a diffondersi, quello di un lungo
Medioevo, perché molte sono le strutture dalla feudalità
all’immaginario sociale, sopravvissute fino alla Rivoluzione francese.
Proprio
in quegli anni di pesanti responsabilità amministrative Le Goff inizia a
studiare una struttura dell’immaginario - il Purgatorio - con
fortissime implicazioni di carattere sociale ed economico oltre che
intellettuale eteologico. La nascita del Purgatorio (1981) diventerà uno
dei suoi libri più famosi - i principali sono stati tradotti in Italia
da Laterza, per cui ha diretto, dal 1993, la collana “Fare l’Europa”.
Partendo da una scoperta lessicale - il fuoco purgatorio (aggettivo) di
cui si parla già nei primi secoli del cristianesimo si trasforma nel
corso del XII secolo in un sostantivo - lo storico francese vede nel
Purgatorio una struttura positiva che accompagna l’uscita del Medioevo
dal dualismo inferno-paradiso e permette all’uomo di impadronirsi del
tempo dell’aldilà. In un altro famoso saggio aveva già teorizzato che il
tempo dei mercanti si fosse sostituito al tempo della Chiesa ( Annales,
1960, trad. 2000).
In quel XIII secolo che ha tanto studiato, il re
di Francia Luigi IX incarna l’apogeo dell’Europa cristiana. Il
personaggio lo affascina a tal punto da dedicargli, un po’
controcorrente, una ponderosa biografia(San Luigi, 1996). Come il
mercante e l’intellettuale, anche San Luigi è visto nella sua
singolarità e come figura tipologica (di sovrano medievale).
San
Luigi è anche il re sofferente, ad imitazione del Cristo in croce. Come
Francesco d’Assisi è nelle sue stimmate un alter Christus (San Francesco
d’Assisi, 2000). Ed ecco sorgere uno spiccato interesse per la storia
del corpo che Le Goff tratta come una «delle principali tensioni
dell’Occidente», perché nel Medioevo il corpo è stretto tra una
straordinaria valorizzazione cristiana (Incarnazione, reliquie,
stimmate) e un’altrettanto forte retorica di disprezzo del mondo (Il
corpo nel Medioevo, con Nicolas Truon, 2007). Il dualismo che attanaglia
il corpo si attenua però dal XII secolo in poi, lasciando spazi nuovi
alla medicina e alle scienze del corpo che aprono la via alla modernità.
Sebbene il cristianesimo medievale condanni come errori le novità, Le
Goff scorge verso la fine del Medioevo una società europea creatrice che
innova e prepara la modernità che si consoliderà nell’Umanesimo (
L’Europa medievale eil mondo moderno, 1994). Il Medioevo di Le Goff
affascina perché realtà e immaginario si fondono pur nelle loro
contraddizioni. Il suo Medioevo non è mai senza legami profondi con il
tempo lungo, è sempre attento all’uomo ( L’uomo medievale, 2006) ed è
quindi più vicino a noi.
Il Medioevo è infinito
Ritratti. Muore a novant'anni Jacques Le Goff. Per lo studioso francese, non erano mai esistiti i secoli bui né la storia della modernità era cominciata con il Rinascimento. Fra le sue opere capitali, «La nascita del Purgatorio» Marina Montesano, il Manifesto
Ha suscitato qualche focolaio di polemica anche agli inizi del 2014, Jacques Le Goff, ormai novantenne, quando è uscito un suo breve libro (Faut-il vraiment découper l’histoire en tranches?, per ora pubblicato solo in Francia) nel quale riproponeva un concetto che era andato sviluppando in tanti anni di studi: quello di un «medioevo lungo» che rovesciava le categorie storiografiche dell’Ottocento, epoca nella quale il suo conterraneo (e peraltro ammirato) Jules Michelet aveva «inventato» il termine Renaissance, «Rinascimento», presunta cesura fra il millennio dei secoli bui e la nostra modernità; concetto che sarebbe stato ripreso, ampliato, portato al suo massimo sviluppo dal grande Jakob Burckhardt nella sua monumentale Civiltà del Rinascimento in Italia.
La lunga durata
Dalle pagine del Corriere della Sera, in quell’occasione, uno studioso legato a una visione essenzialmente storicista qual è Giuseppe Galasso aveva ribadito che intorno al Quattrocento una cesura, un inizio di ciò che chiamiamo modernità c’è effettivamente stato, mentre Franco Cardini, storico italiano fra i più vicini alla visione antistoricistica delle Annales, sosteneva con Le Goff la necessità di superare questa idea e cogliere nella storia la lunga durata (altra espressione venuta fuori dal circolo delle Annales e da un altro dei suoi massimi esponenti, Fernand Braudel) di tanti fenomeni che siamo abituati a pensare come prettamente «medievali» o come esclusivamente «moderni».Non che Jacques Le Goff, nato nel gennaio 1924 e scomparso ieri, fosse estraneo alla visione ottocentesca del Medioevo; magari di quello eroico, cavalleresco e romantico, se è vero che uno dei suoi primi approcci con quest’epoca gli giunse grazie alla lettura dell’Ivanhoe di Walter Scott. Ma la sua esperienza di storico in formazione è venuta proprio da quella prima metà del Novecento, tanto drammatica sotto il profilo politico, sociale e militare quanto feconda per gli studi storici in generale e medievistici in particolare.
Nel 1929 Marc Bloch e Lucien Febvre avevano dato vita alla rivista Annales d’histoire économique et sociale, attorno alla qualle si preparava il terreno per una grande rivoluzione sul piano del metodo storiografico. Le Goff non poté conoscere direttamente Bloch, fucilato nel 1944, ma fu allievo di alcuni grandi nomi che partecipavano al rinnovamento di quegli anni, avendo studiato e discusso la sua tesi con Charles-Edmond Perrin, Maurice Lombard, lo stesso Braudel, nonché con lo storico belga Henri Pirenne.
Questi primi passi, compiuti nella Francia di Vichy, li ha ricordati lui stesso nell’intervista-biografia Una vita per la storia, uscita in Francia nel 1996 e poi tradotta anche in Italia per Laterza. Si apprendono i suoi trascorsi universitari a Praga, a Oxford e a Roma, la sua convivenza non sempre facile con l’Accademia, il suo approdo nel 1969 alla pestigiosa direzione delle Annales, condivisa con Emmanuel Le Roy Ladurie e l’ingresso con compiti direttivi nell’École des hautes études en sciences sociales a partire dagli anni Settanta; ossia in quella fucina di idee e di studi che ampliavano la visione storiografica verso nuovi lidi e nuove espressioni: la storia seriale, la storia materiale, la storia quantitativa, la storia delle mentalità, l’antropologia storica.
I risultati che ne sarebbero usciti ci possono sembrare appartenere a indirizzi diametralmente opposti, ma sono comunque il portato di un unico, collettivo sforzo di ripensamento del modo di fare storia. Dall’intervista si apprende anche la storia di un uomo profondamente laico e profondamente francese, che ha trascorso l’esistenza a interessarsi con passione di un’epoca in cui la cultura religiosa è ovunque, cercando di guardarla in una prospettiva globale, mai localistica.
Modelli colti e popolari
La storia delle mentalità e l’antropologia storica sono senz’altro i settori nei quali ha operato Jacques Le Goff, raro esempio di specialista che riesce a giostrare fra tematiche ed epoche anche lontane tra loro. Ai primi decenni della sua carriera appartengono opere come Gli intellettuali nel medioevo (prima edizione 1957), La civiltà dell’Occidente medievale (prima edizione 1964), la direzione con Pierre Nora dell’opera collettiva Fare Storia. Una pietra miliare è, nel 1981, il volume La nascita del Purgatorio, monografia nella quale sembra confluire tutto ciò che Le Goff ha realizzato fino a quel momento.Da una parte la straordinaria conoscenza delle fonti del medioevo latino e volgare, della cultura teologica di quell’epoca, dei suoi modelli «colti»; dall’altra il tentativo di andare oltre tutto questo per comprendere i grandi fenomeni culturali condivisi, il modo in cui gli uomini e le donne di un’epoca hanno plasmato la società in base a determinate idee, e in che modo tali idee hanno poi condizionato la società. In tal senso, quella di Le Goff è stata una vera antropologia storica, secondo la migliore lezione di Marc Bloch che invitava a calarsi nel passato come un antropologo si calerebbe in una civiltà «altra» rispetto alla sua.
La storia delle mentalità, espressione oggi poco apprezzata e piuttosto passata di moda, era il tentativo di cogliere questa complessa fenomenologia. In particolare, un tema che allo studioso francese stava a cuore, così come a molti altri tra anni ’60 e ’70, era il rapporto tra società e cultura, tra stratificazione sociale e motivi culturali, in sintesi tra cultura dotta e popolare: un tema che una parte della storiografia pure cresciuta in seno alle Annales, ma con una più forte influenza marxiana, tendeva a risolvere in termini di dicotomia, lì dove Le Goff preferiva prestare attenzione alla circolazione di modelli (secondo la lezione mai dimenticata di Jakobson e Bogatyriev) tra ceti sociali.
Vedeva nella cultura popolare una delle fucine creatrici, in particolar modo per secoli — quelli del medioevo centrale — nei quali la cultura scritta era appannaggio dei chierici e i laici, anche quelli dei ceti elevati, partecipavano di idee, concezioni, modi di pensare legati a quella che viene chiamata «cultura folklorica».
L’Europa sorgiva
Negli anni più tardi, Jacques Le Goff non ha mai abbandonato queste passioni; in fondo, anche la monumentale biografia su San Luigi (uscita nel 1996) aveva alle spalle già degli scritti sul tema precedenti di un paio di decenni. Ma la sua produzione più recente mostra anche un’attenzione agli sviluppi della storiografia contemporanea (si vedano i suoi lavori sulla concezione del corpo), nonché un interesse per gli sviluppi della società tout court: a questo secondo filone appartengono le riflessioni sull’Europa e le sue radici, che era poi soprattutto una riflessione per i suoi esiti politici presenti e futuri.Aveva cominciato la sua vita accademica (e non solo) in un momento in cui l’Europa si dibatteva fra le guerre, ha fatto in tempo a sognare insieme a molti un’Europa diversa, si è spento quando questo sogno pare ormai sulla via del tramonto.
Le Goff mito della Storia (nonostante gli storici)
2 apr 2014 Libero MARCO GORRA
È scomparso a 90 anni il grande medievista che rivoluzionò la storiografia attraverso i testi sociali Ma quelli che oggi lo rimpiangono sono gli eredi di chi, nell’ambiente accademico, lo mise alla gogna
L’ultimo affronto, al solito, arriva a salma ancora calda. Il
tempo perché si diffonda la notizia della morte di Jacques Le Goff (il
grande storico del Medioevo si è spento ieri a Parigi all’età di
novant’anni), che si scatena il coccodrillo collettivo a botte di
«venerato maestro», «insigne studioso», «faro di conoscenza» e via
tromboneggiando. Sul sito di un noto quotidiano italiano appare persino
il video-obituary intitolato “Una vita per la storia”, manco il defunto
fosse il professor Malipiero di gaberiana memoria.
Ora, di tutti i destinatari possibili di simile tromboneggiamento
stereo, Le Goff era davvero il meno indicato. E questo non perché non
meritasse gli elogi (tutt’altro), ma perché quegli elogi sono il marchio
di fabbrica di una mentalità e di un mondo - quello dell’accademia e
della comunità storica - di cui Le Goff incarnava l’antipode. Un mondo
che contro il legoffismo ha condotto per anni durissima lotta. Un mondo
che lo ha provato a trattare da paria finché ha potuto e che ha fatto di
tutto per impedirgli di ottenere il successo ed il riconoscimento che
meritava (e che si sarebbe preso nonostante tutto). Perché Jacques Le
Goff è stato, prima di tutto, un rivoluzionario. E si sa che negli
ambienti storici (dove l’idea stessa di conservazione gode di inesausto
fascino) i rivoluzionari sono visti con estremo sospetto.
La rivoluzione di Le Goff - in estrema sintesi - fu la seguente: innestare nello studio della storia medievale le cosiddette scienze sociali come l’antropologia e la sociologia (alle volte spingendosi fino alla psicanalisi). L’intuizione di Le Goff fu, come di prammatica, semplice ma geniale: essendo il Medioevo un periodo storico a progresso molto lento dove sovente il tempo si misura in manciate di generazioni, bisognerà porre maggiore attenzione alla dimensione della quotidianità, dal cui lento ed inesorabile stratificarsi trarre le indicazioni per risalire al grande quadro. Si teorizza dunque un’inversione di prospettiva che ha del copernicano: invece di pretendere di desumere il particolare dall’universale si parte dagli elementi a valle, li si mette insieme e si tirano le somme.
Che le teorie del giovane Le Goff fossero destinate ad incontrare
la resistenza della comunità storica era inevitabile. Intanto perché,
nei rigidi Cinquanta e Sessanta, che la storia potesse e dovesse
procedere unicamente per massimi sistemi era opinione accettata ed
incontestabile. Ma soprattutto perché, spostando l’attenzione sui
sistemi minimi, Le Goff pretendeva di far entrare dalla finestra
discipline universalmente disprezzate come la sociologia (parola al cui
solo suono il bravo storico snob e con la puzzetta sotto il naso mette
mano alla fondina urlando alla deriva presentista) nel salotto buono
dell’accademia. Peggio ancora: lo sconsiderato pretendeva pure di
scrivere sui giornali e di parlare in tv di storia medievale onde
coinvolgere il grande pubblico. Per i parrucconi che a stento si erano
ripresi dalla comparsa della sociologia, lo sdoganamento della
divulgazione (altro termine che in determinati ambienti non sta bene
nemmeno pronunciare) era troppo. Nonostante l’opposizione del bel mondo
accademico, Le Goff incontrò tuttavia un successo planetario. Il motivo è
molto semplice: aveva ragione su tutto.
Aveva ragione sul metodo: l’approccio multidisciplinare portò linfa nuova nell’intera materia, formando secondo il nuovo criterio almeno due generazioni di storici che nei decenni successivi avrebbero fatto fare passi da gigante alla ricerca. E non fu solo la storia a trarne giovamento: anche gli altri ambiti di studio (segnatamente l’economia e la religione) avrebbero tratto benefici dall’ibridazione con la storia.
Soprattutto, aveva ragione nel merito. Ovvero che per la storia medievale esisteva una domanda da parte del grande pubblico e che per soddisfare questa domanda era necessario solo abbattere qualche barriera. Grazie a Le Goff, tanti lettori che mai sarebbero stati in grado di affrontare le mattonate classiche di - poniamo - storia dell’economia potevano leggersi La borsa e la vita o Il tempo della Chiesa e il tempo del mercante e guadagnarne una conoscenza della storia che altrimenti mai avrebbero avuto.
Aveva ragione sul metodo: l’approccio multidisciplinare portò linfa nuova nell’intera materia, formando secondo il nuovo criterio almeno due generazioni di storici che nei decenni successivi avrebbero fatto fare passi da gigante alla ricerca. E non fu solo la storia a trarne giovamento: anche gli altri ambiti di studio (segnatamente l’economia e la religione) avrebbero tratto benefici dall’ibridazione con la storia.
Soprattutto, aveva ragione nel merito. Ovvero che per la storia medievale esisteva una domanda da parte del grande pubblico e che per soddisfare questa domanda era necessario solo abbattere qualche barriera. Grazie a Le Goff, tanti lettori che mai sarebbero stati in grado di affrontare le mattonate classiche di - poniamo - storia dell’economia potevano leggersi La borsa e la vita o Il tempo della Chiesa e il tempo del mercante e guadagnarne una conoscenza della storia che altrimenti mai avrebbero avuto.
Perciò, che Le Goff sia stato il primo storico compiutamente
mediatico dell’età contemporanea è qualcosa di cui bisogna essere grati.
Perché se oggi è finalmente opinione comune che la famosa storia del
Medioevo epoca buia è una solenne panzana, il merito va a lui che,
pazientemente e un libro alla volta, ha lavorato perché quanta più gente
possibile potesse toccare con mano la vitalità e il dinamismo dell’Età
di mezzo. Rendendo al Medioevo un servizio mille volte più prezioso di
quello reso dai professoroni che, al solo sentire nominare Le Goff, si
stracciavano le vesti chiedendosi dove saremmo andati a finire di questo
passo.
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